L’inflazione: cosa sta succedendo

Da qualche tempo gli italiani (o, per essere più precisi, i loro portafogli) assistono a un aumento del costo della vita; andare a fare la spesa è più costoso, per non parlare delle utenze salite vertiginosamente, diventate nel 2022 un vero e proprio incubo per le famiglie e le imprese nella penisola.

In effetti, in questi ultimi anni, una serie di eventi ha causato molteplici shock alla nostra economia: prima abbiamo dovuto fronteggiare una pandemia, un evento più unico che raro nella nostra memoria recente, e, quindi, sono state adottate le correlate misure sanitarie restrittive. In seguito, abbiamo assistito allo scoppio del conflitto militare tra la Federazione Russa e l’Ucraina e a quello economico collegato con l’Unione Europea, gli Stati Uniti e gli alleati più stretti come protagonisti.

L’andamento degli ultimi anni

Tutto questo coglie abbastanza impreparati i consumatori visto l’andamento del tasso d’inflazione degli anni precedenti. L’aumento dei prezzi è confermato dai dati sull’inflazione di Assolombardia, basati sull’indice dei prezzi al consumo calcolato dall’ISTAT a partire dal 2005.

Se analizziamo la serie di dati dal 2005 al 2021, vediamo che l’indice dei prezzi al consumo N.I.C. (calcolato con riferimento ai consumi dell’intera popolazione) varia tra il dato minimo del 2020 (-0,2%) ed il dato più alto del 2008 (inflazione al 3,3%). Per i sedici anni precedenti il 2022, l’aumento dei prezzi è stato abbastanza contenuto: in alcuni anni il tasso d’inflazione era sotto l’1% e si è pure assistito a un’inflazione negativa per un certo periodo.

Questo è cambiato del tutto nell’anno appena passato. Nel 2022, secondo i dati dell’ISTAT, i prezzi al consumo hanno invece subito un aumento pari all’8,1% (variazioni medie 2022-2021), mentre la variazione tendenziale tra dicembre 2022 e dicembre 2021 dell’indice N.I.C. è dell’11,6%. Questo è un dato a dir poco rilevante se confrontato agli anni precedenti. Le previsioni per il 2023, seppur prevedendo una riduzione, non dipingono un ritorno alla normalità: Prometeia e il Centro Studi Confindustria prevedono rispettivamente per l’anno in corso un’inflazione del 5,8% e del 4,5%.

L’impatto sulla supply chain

Come anticipato, una delle cause è collegata alla pandemia, come spiega la stessa BCE. Durante l’emergenza sanitaria il governo italiano (come molti altri nel mondo intero), per impedire il rapido diffondersi del Coronavirus, ha imposto una severa chiusura di tutte le attività, impedendo a volte ai cittadini di uscire di casa se non per gravi motivi.

Ciò ha essenzialmente portato a un blocco delle attività economiche, che non solo non potevano rifornirsi, ma, soprattutto, non avevano più clienti. Ciò ha portato a un “congelamento” momentaneo delle linee di approvvigionamento globali. Secondo un sondaggio condotto da Ernst & Young tra 200 direttori esecutivi degli approvvigionamenti a livello globale tra il 2020 e il 2022, il 2% delle aziende solamente era pienamente preparato per un cataclisma di questa portata e il 72% di esse ha dichiarato che il COVID-19 ha avuto un effetto negativo sulle operazioni della compagnia.

Inoltre va considerato l’impatto sulla forza lavoro: il 47% delle imprese considerate nell’indagine ha visto la propria forza lavoro fortemente colpita. Mentre alcuni alcuni dipendenti si sono “semplicemente” spostati dall’ufficio a casa con un PC, in alcuni casi, soprattutto in ambienti di lavoro come le fabbriche e in settori principalmente labor-intensive, le misure sanitarie hanno richiesto un ripensamento dell’organizzazione degli spazi e degli orari di lavoro.

La ripresa delle attività quotidiane

Tuttavia, finite le misure di restrizione sociale, sono iniziate di nuovo le attività economiche: la gente è uscita, è ritornata a fare la spesa nuovamente, ad andare nei ristoranti, a uscire con gli amici e a spendere tutto il denaro non speso durante la serrata.

Non tutte le imprese, tuttavia, erano pronte a ciò. Le linee di rifornimento in un mondo globalizzato possono essere molto complesse e articolate, non possono essere riunite di nuovo in pochi secondi. La domanda di beni (in particolare di dispositivi elettronici, che si sono rivelati particolarmente utili durante l’emergenza per mantenere le comunicazioni con i propri cari, ma anche per lavorare da remoto) è riesplosa. Le aziende, tuttavia, hanno faticato a tenere il passo nei primi tempi per via della difficoltà di rifornirsi, e questo ha portato a un notevole aumento dei prezzi.

I prezzi dell’energia

Oltre alla pandemia, dobbiamo considerare il conflitto russo-ucraino, a seguito del quale i paesi dell’Unione Europea hanno iniziato un processo mirante all’indipendenza dalle esportazioni russe in campo energetico. Ciò ha causato un forte rincaro dei prezzi nel suddetto settore, essendo che la Federazione Russa era per essa un partner rilevante. Il rincaro ha notevolmente aggravato le spese per le utenze delle famiglie e delle imprese, che hanno visto pesare questa voce sempre di più nei bilanci.

I dati statistici espongono, a tutti gli effetti, un quadro disarmante: l’ISTAT, con una comunicazione di dicembre 2022, conferma che l’aumento dei prezzi è fortemente impattato anche dall’andamento inflazionista nel settore “Energia”, mostrando un aumento nel suddetto del 50,9% nel 2022, a fronte di un aumento del 14,1% nel 2021.

La reazione della Banca Centrale Europea

Conseguentemente a tutto questo, la Banca Centrale Europea, presieduta oggi da Christine Lagarde, ha di fronte una situazione macroeconomica molto diversa da quella presentatasi negli anni precedenti.

Dopo la crisi finanziaria globale del 2008 la BCE, guidata da Mario Draghi, dal 2015 aveva avviato una politica monetaria molto espansiva, il ben noto Quantitative Easing”. Essa si era resa necessaria perché i tassi di interesse erano già prossimi allo 0% e non potevano essere più virtualmente abbassati per stimolare ulteriormente l’economia. Lo scopo dell’allentamento quantitativo, infatti, era di acquistare asset finanziari come titoli di stato, obbligazioni aziendali o asset-backed securities; tutto ciò con lo scopo di iniettare liquidità nell’economia, aprire le linee di credito per famiglie e imprese, stimolare la crescita e far tornare l’inflazione al target del 2%.

La politica monetaria sopracitata, tuttavia, è attuata per stimolare l’inflazione. Mantenere tale traiettoria in un momento di già alto aumento dei prezzi in cui ci troviamo potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione e condurre a un tasso d’inflazione insostenibile. Infatti, a conferma delle aspettative, a febbraio 2023 la BCE ha aumentato di 50 punti base (corrispondenti in altri termini allo 0,5%) i tassi di interesse. I tassi d’interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginali e sui depositi presso la BCE salgono rispettivamente al 3%, al 3,25% e al 2,5% in tal modo.

Inoltre l’istituzione finanziaria ha ribadito di voler aumentare i tassi ancora successivamente “in modo significativo” e a “un ritmo costante”, di modo da garantire quanto più tempestivamente possibile un ritorno all’inflazione obiettivo del 2%. La BCE ha anche annunciato che a marzo 2023 avrebbe avviato una riduzione del portafoglio accumulato con il Quantitative Easing.

Prospettive future

Nonostante i miglioramenti previsti per quest’anno sul fronte dell’andamento dei prezzi, bisogna comunque considerare che le prospettive presentate dall’ISTAT non consentono di prevedere un rapido ritorno alla normalità.

L’inflazione, per il momento, sembra ancora destinata a pesare sulle nostre tasche (anche se in misura inferiore), inoltre, anche se la pandemia sta volgendo di fatto al termine con la cessazione nel mondo delle misure restrittive, vi è ancora il nodo problematico del conflitto russo-ucraino, che, a seconda di come si potrebbe evolvere, rischia di impattare ulteriormente l’economia mondiale, e in particolar modo quella dei paesi dell’Unione Europea.

Una potenziale escalation militare tra i due contendenti, con il conseguente e probabile inasprimento delle sanzioni verso la Russia, potrebbe causare un ulteriore shock in altri settori, col rischio di aggravare una situazione economica che, tra un debito pubblico molto elevato, un prodotto interno lordo che stenta a decollare e le tasche dei consumatori sempre più provate, già adesso risulta precaria.

 

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