"Migrant Child", Banksy

Arte ed ecoattivismo: un possibile connubio?

Negli ultimi anni un’ondata di variopinta irriverenza sembra essersi riversata sulle opere d’arte di tutto il mondo. Dalle statue abbattute negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, a quelle imbrattate in tutta Europa (ne sa qualcosa quella di Indro Montanelli, che si è vista rifare il look diverse volte), in pochi sono stati risparmiati: nel mirino dell’ecoattivismo sono finiti Van Gogh, Cattelan, Vermeer, Leonardo, Constable, Botticelli, Goya e questi solo per citare i casi più eclatanti.

“Purché se ne parli”

Ma a cosa, o a chi, si deve quest’accensione improvvisa dei riflettori sull’arte?
I responsabili, nei casi sopracitati, sono giovani attivisti ambientalisti che scelgono di mandare un segnale forte e chiaro per sensibilizzare il mondo nei confronti di un problema sempre più impellente, utilizzando una strategia che permea il mondo dell’arte almeno dagli anni Sessanta: la performance.
Gruppi come Just Stop Oil, Extintion Rebellion e Ultima Generazione portano all’estremo il concetto di “purché se ne parli”, attraverso gesti eclatanti come imbrattare quadri del valore di milioni di euro, spruzzare vernice spray contro statue che svettano nello spazio pubblico (spesso simboli di potere e privilegi lungamente conservati) o incollarsi ai muri dei musei più influenti al mondo.

 

manifestante di Extinction Rebellion
Manifestante del gruppo Extinction Rebellion in corteo

E, infatti, se ne parla. Eccome. Le azioni dei giovani attivisti si trascinano dietro un seguito di tweet, commenti e hashtag da far invidia ai Ferragnez. Mentre i direttori dei musei lanciano accorati appelli, l’opinione pubblica si divide tra chi condanna e chi appoggia, chi lancia invettive furibonde contro “gli imbratta-musei” e chi, invece, cerca di scostare il velo di Maya per vederci più chiaro. I toni del dibattito riguardo all’ecoattivismo si scaldano in seno a entrambe le fazioni, arricchendosi talvolta di venature politiche e le reazioni ricordano vagamente quelle suscitate qualche anno fa dall’Isis in Medio Oriente, quando le notizie di statue ridotte in pezzi, prese a martellate e fatte saltare in aria erano all’ordine del giorno. Oggi come allora, però, è fondamentale porsi una domanda: è semplice vandalismo o qualcosa di più?

Arte e ambiente: precedenti illustri

Spiral Jetty, Robert Smithson
Spiral Jetty, opera del 1970 di Robert Smithson, è ancora oggi visibile nel Great Salt Lake, nello Utah

La tematica ambientalista è da anni al centro delle preoccupazioni dell’arte visiva.
Alla fine degli anni Sessanta una nuova modalità di espressione si affacciò nel mondo dell’arte contemporanea: si trattava della Land Art, etichetta onnicomprensiva che racchiudeva in sé la spettacolarità e la monumentalità di opere, che fuggivano dal museo tradizionale per appropriarsi (o ri-appropriarsi) dello spazio naturale e urbano, e l’urgenza della questione ambientalista, che proprio in questi anni inizia a essere considerata con maggiore attenzione, sia dalla politica sia dall’opinione pubblica.
Artisti come Robert Smithson, i coniugi Christo e Jeanne-Claude e Walter de Maria si servono dell’arte per denunciare un pericolo che si fa di giorno in giorno più concreto, inserendo le loro gigantesche opere in contesti talvolta degradati, o in fase di degradazione, monitorando il territorio e creando progetti ad hoc.

 

Gli stessi anni vedono emergere di un gruppo di artisti italiani legati al critico Germano Celant, che si rivolge loro nel 1967 sulla rivista Flash Art, coniando la formula con cui il gruppo passerà alla storia: ”Arte povera”. Il gruppo, sotto molti punti di vista eterogeneo, condivide però l’interesse nei confronti della questione ambientalista e del rapporto uomo-natura, che si concretizza in diverse opere. Tra queste, Continuerà a crescere tranne che in quel punto del 1968 e Albero del 1969, entrambe di Giuseppe Penone, ben rappresentano l’influenza della tematica all’interno dell’opera di questi artisti.

 

7000 querce, Joseph Beuys
Alcune delle querce piantate durante il progetto 7000 querce di Joseph Beuys

L’ambientalismo è una costante anche nel lavoro di un altro artista, il tedesco Joseph Beuys, che negli anni Ottanta realizza il progetto Difesa della natura, organizzato in vari capitoli. Uno di questi, intitolato significativamente 7000 querce vede la messa a dimora di settemila alberi in Abruzzo, un progetto che intende rappresentare l’unione tra uomo e natura e la necessità di salvaguardare questo importante patrimonio.

Più di recente, la tematica è stata affrontata con diverse modalità da numerosi artisti.
Il cinese Ai Weiwei, dopo aver utilizzato il suo blog (trasformato poi in un libro, in Italia edito da Johan & Levi) per denunciare la responsabilità del regime nei confronti delle centinaia di migliaia di morti provocate da disastri naturali succedutisi nel Paese, si dedica a un’arte di stampo ambientalista attraverso cinema, architettura e arte figurativa. Nel 2009 realizza l’opera Snake Ceiling, un’enorme installazione dalle sembianze serpentine composta da zaini, usati come simbolo delle morti bianche causate dal terremoto del Sichuan del 12 ottobre 2008.

Snake Ceiling, Ai Weiwei
Snake Ceiling di Ai Weiwei

Post del 12 maggio 2009, tratto dal blog dell’artista:

Bambini di Karamay, bambini di Fuyang, bambini intossicati dalla melamina, bambini malati di AIDS a Henan, bambini fra i mattoni di Shanxi, bambini uccisi nel terremoto: la vostra disgrazia è la maledizione più efficace sulla nostra nazione, qualcosa di cui il suo volto non potrà mai disfarsi, un marchio di vergogna che non potrà mai essere lavato via e che tragicamente condanna il destino di questa razza.”

 

O ancora, Olafur Eliasson e il suo Ice Watch (2014). L’opera, composta da dodici grandi blocchi di ghiaccio separatisi dalla Groenlandia e poi disposti a orologio nella piazza del municipio di Copenaghen fino al completo scioglimento, trasmette un messaggio inequivocabile: il tempo stringe. O, per dirlo con le parole dello scienziato e attivista Peter Kalmus, there is no art on a dead planet”.

 

I don't believe in global warming, opera di Banksy a Londra
L’opera di Banksy sul Regent’s Canal a Londra

Anche la street art, da sempre sensibile alle tematiche di stringente attualità socio-politica, si occupa spesso di ambientalismo. Uno dei suoi più celebri esponenti, l’inglese Banksy, lo fa con opere dalla forte carica polemica: l’ironica scritta comparsa più di dieci anni fa sopra il Regent’s Canal a Londra trova un suo corrispettivo nel più recente Migrant Child veneziano, raffigurante un bambino semisommerso dalle acque del canale mentre agita un fumogeno.

Paura e delirio al museo

Tanto si è detto e poco si è fatto riguardo all’ambiente. L’arte, che da sempre trova linfa vitale nei problemi e nelle sollecitazioni del proprio presente, ha detto e fatto, ma non sempre ha ottenuto il risultato sperato.
Oggi più che mai, in un mondo sempre meno proteso verso l’ascolto, è necessario attirare l’attenzione: l’asticella si alza sempre più, fino a suscitare indignazione e incomprensione.
È ormai pregnante la necessità di ascoltare gesti come quelli compiuti dai giovani ecoattivisti, e non basta solo guardare, è ormai pregnante. Azioni come queste “nascondono” (ma nemmeno troppo) sempre una riflessione che guarda oltre: oltre il gesto in sé, oltre l’arte in sé. L’indignazione, sembrano volerci dire queste performance, è un sentimento lecito. Ma è più giusta l’indignazione rivolta a opere d’arte al sicuro in un museo o quella rivolta alle persone che muoiono a causa dell’incapacità dei governi nel prendere provvedimenti concreti per la salvaguardia del pianeta?

 

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