In questi ultimi mesi, l’Italia è attraversata da polemiche intorno al caso Alfredo Cospito. Le manifestazioni a supporto dell’anarchico si intrecciano con quelle che criticano il 41 bis, il cosiddetto carcere duro. Tra chi lo sostiene e chi lo condanna, il carcere duro solleva dubbi giuridici ed etici.
41 bis: cos’è e come funziona
Il carcere dei mafiosi
Il 41 bis è un regime carcerario speciale, introdotto nell’ordinamento penitenziario italiano all’indomani delle stragi mafiose di Capaci e Via D’Amelio (1992). Rimasto per anni una misura “emergenziale”, è solo con la l. 279/2002 che entra a tempo indeterminato nel regime carcerario. Nel 2009 (con la l. 94/2009) è stato adeguato ad alcuni rischi di incostituzionalità, data l’incoerenza con il principio rieducativo della pena, sancita dall’art. 27 della Carta. È una forma di detenzione particolarmente dura, istituzionalizzata ufficialmente per inibire la criminalità organizzata. Antigone, onlus per i diritti e le garanzie nel sistema penale, lo definisce come uno strumento “ineludibile (e indiscutibile) della guerra alla mafia”.
Questo regime è, infatti, spesso considerato il regime carcerario dei boss mafiosi, che costituiscono effettivamente la maggior parte dei detenuti al “carcere duro”. Nell’edizione 2022 della Relazione sull’amministrazione della giustizia elaborata dal’omonimo ministero, risulta che le persone detenute al 41 bis siano 728. Di questi, quattro (tra cui Cospito) sono detenuti per terrorismo, gli altri appartengono alla criminalità organizzata: 242 camorristi, 232 membri di Cosa nostra e 195 ‘ndranghetisti, venti membri della Sacra Corona Unita e tre quelli della Stidda (organizzazione attiva nelle province siciliane di Agrigento, Caltanissetta e Ragusa), trentadue detenuti appartengono ad altre mafie.
In cosa consiste il carcere duro
Il 41 bis, o carcere duro, prevede una serie di norme particolarmente restrittive per evitare al massimo i contatti tra il detenuto e l’esterno e tra questo e gli altri detenuti in regime carcerario regolare. Cosa prevede quindi questo regime carcerario? La prima misura è quella dell’isolamento: il detenuto al 41 bis ha una camera singola molto ristretta e non accede agli spazi comuni. Altre misure riguardano l’ora d’aria, concessa come a tutti gli altri detenuti, ma limitata (solo due ore al giorno e in isolamento) e un regime di sorveglianza costante e speciale, effettuato da un corpo apposito della polizia penitenziaria. Anche i contatti con l’esterno sono fortemente limitati. I detenuti godono di un colloquio al mese con la famiglia, senza contatto fisico (in presenza di un vetro divisorio) e di durata limitata. Chi non effettua colloqui può essere autorizzato a chiamare una volta al mese per dieci minuti i familiari. La posta è controllata e censurata. Altre norme e limitazioni cambiano da carcere a carcere. In alcuni istituti penitenziari ai detenuti al 41 bis è anche vietato tenere all’interno della cella matite, penne e supporti cartacei.
[1/3] Lo scorso anno 26 persone sono passate dal 41-bis alla libertà. Da un giorno all'altro, dal non poter vedere nessuno (salvo i familiari più stretti, una volta al mese, dietro un vetro, osservati e ascoltati), a poter incontrare tutti, senza nessun controllo.
— AssociazioneAntigone (@AntigoneOnlus) February 20, 2023
La legittimità giuridica del 41 bis
Il carcere duro ha da sempre sollevato grandi polemiche e critiche legate alla sua legittimità. Nato non come strumento punitivo, ma come strumento che impedisca la comunicazione del detenuto, soprattutto con l’esterno, il 41 bis si distingue per la sua rigidità. Questo carattere di durezza ha acceso più volte critiche nei confronti del 41 bis, accusato di incostituzionalità. Il dibattito sul carcere duro si sviluppa fondamentalmente intorno a una domanda fondamentale: le norme fortemente restrittive del 41 bis pesano inevitabilmente sulla vita del detenuto, sui suoi diritti fondamentali e sulla sua dignità? Detto in altre parole: il 41 bis è legittimo o, al contrario, soffre d’incostituzionalità?
41 bis: pro e contro
Le opinioni a riguardo sono molte e diverse. Da una parte ci sono i difensori del carcere duro, tra cui figura lo stesso ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Nordio, all’indomani del Consiglio dei ministri sul caso di Alfredo Cospito ha infatti ribadito la linea del governo sul carcere duro, dicendo:
In questo momento storico il 41 bis è indispensabile, è necessario mantenerlo e non può essere messo in discussione. Non si tocca, è auspicabile semmai che venga ridotto di fatto con un mutamento di atteggiamento da parte di chi vi è sottoposto.
Dalla parte opposta, ci sono invece i critici del carcere duro, tra i quali figura inaspettatamente anche Corrado Pagano (legale di Roberto Adinolfi, il manager di Ansaldo Nucleare, gambizzato da Alfredo Cospito). L’avvocato ha infatti dichiarato: “A prescindere dal caso singolo, ritengo che l’ergastolo e il 41 bis siano contrari alla Costituzione“. Parlando del carcere duro, Pagano l’ha definito “disumano”. Molti contrari definiscono così il 41 bis, sostenendo che non c’è equilibro tra la tutela dei diritti fondamentali del detenuto e la salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica. Chi critica questo regime carcerario lo accusa di essere troppo limitante e lesivo dello sviluppo della persona, di essere inutilmente restrittivo e degradante. A sostegno di queste tesi si invocano, per esempio, gli articoli 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, secondo i quali “nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
Una posizione interessante è quella di Fabio Gianfilippi, magistrato del Tribunale della Sorveglianza di Spoleto, che ha dichiarato che “il 41 bis serve ma non deve trasformarsi in vessazioni”. Gianfilippi, che ha cercato di migliorare le condizioni dei detenuti al carcere duro, spiega le problematiche di tale regime:
La quotidianità detentiva in regime differenziato è caratterizzata da forti limitazioni anche se funzionali agli scopi del regime. Una detenzione a lungo protratta, sopportandole, non è quindi sempre esente da un logoramento psico-fisico cui la Corte europea chiede sia data particolare attenzione. […] Tra le tante problematiche, resta particolarmente importante che sia loro assicurato un contatto significativo con l’area educativa dell’istituto penitenziario, che siano ridotti gli ostacoli all’esercizio deldiritto allo studio e che possa esservi un accesso tempestivo alle cure necessarie, un problema che, in realtà, non riguarda solo i detenuti in regime differenziato, e che impone una costante attenzione di tutte le istituzioni coinvolte.
41 bis: i problemi etici
Il 41 bis solleva diversi problemi anche a livello etico. Il primo dubbio riguarda la sua umanità. In una società democratica e di diritto, costituita da uomini tutti uguali, figlia legittimità degli stati etici, il rispetto della vita e dei diritti altrui è fondamentale. Il carcere limita, temporaneamente, uno di questi diritti, quello alla libertà. Ma se il carcere limita il diritto alla libertà, il dubbio è che, consapevolmente o meno, questo limiti anche altri diritti fondamentali, privando il detenuto della propria umanità.
Un secondo dubbio etico riguarda lo scopo stesso del carcere italiano: la rieducazione. Un regime carcerario che obbliga il detenuto all’isolamento, a una sorveglianza costante e a un contatto fortemente limitato con la sua famiglia risponde ancora ai criteri di una pena rieducativa? O diventa inevitabilmente, per il detenuto al 41 bis, una punizione alienante della sua condizione umana? Una delle lotte che sono state portate avanti per migliorare la condizione del carcere duro riguarda per esempio la tutela del diritto allo studio, fortemente limitato al 41 bis.
Un terzo dubbio si iscrive nella tradizione filosofica di Cesare Beccaria, padre del diritto penale moderno. Nella sua maggiore opera, Dei delitti e delle Pene, Beccaria ha militato contro l’eccessiva rigidità delle pene (prima fra tutte la pena di morte). La sua idea filosofica sostiene che, in una società di uomini liberi e uguali che hanno acconsentito a sottomettersi a un unico potere civile, un uomo che infrange la legge acconsente ad essere privato della sua libertà. Per dirlo diversamente, un uomo che acconsente a vivere in società è consapevole dei pericoli a cui va incontro infrangendo la legge. La pena carceraria è così legittima nell’ottica di Beccaria. Ci si può chiedere allora se legittimo è anche il 41 bis: un uomo che infrange la legge acconsente all’isolamento e alle altre norme “speciali” a cui viene sottoposto nel carcere duro?