Settantacinque anni fa, reduci da una delle pagine più brutte della nostra storia, le istituzioni italiane, unite nel tentativo di sopprimere per sempre il germe del totalitarismo e della dittatura, diedero vita a uno dei più grandi capolavori letterari della tradizione italiana: la nostra Costituzione. Decantata da ogni parte d’Europa e del mondo come uno dei massimi esempi di norme giuridiche nazionali, la nostra Costituzione è motivo di vanto per l’enorme valore simbolico che porta con sé, ma dopo settantacinque anni quale bilancio possiamo farne?
Quel 27 dicembre di settantacinque anni fa…
La Costituzione italiana nasce dalle ceneri di un popolo distrutto che, soffocato da vent’anni di dittatura fascista, elevò questo corpo di norme giuridiche a stella polare per l’agenda politica dell’Italia. Essa è frutto della collaborazione di tutte le forze politiche del tempo, unite dalla volontà di dotare le future generazioni di uno strumento istituzionale che impedisse l’emergere di parabole politiche come quella che si era appena conclusa.
Lontano dall’essere manifestazione del volere di un singolo, è espressione della volontà di tutto il popolo italiano e dei suoi rappresentati eletti tramite elezioni libere e democratiche. La Costituzione doveva essere il primo mattone per costruire un nuovo ordine nazionale, dove la possibilità di una dittatura non era contemplata e dove la libertà di espressione facesse da garante per una società libera e democratica.
“Ogni parola della Costituzione sprigiona una forza evocativa e rivoluzionaria come le opere d’arte […]. Ci mostra una realtà diversa da quella che abbiamo davanti agli occhi, ci fa sentire che viviamo in un paese che può essere giusto e bello” afferma Roberto Benigni, dal palco del Festival di Sanremo 2023, in uno degli interventi più iconici fatti in occasione dell’anniversario. Ed è proprio così perché settantacinque anni dopo, la forza che aveva guidato le nostre madri e i nostri padri costituenti nel redigere questo “pezzo di carta” e che al tempo appariva così rivoluzionaria, permane ancora la nostra esistenza e sancisce i nostri diritti, le nostre libertà e i nostri doveri.
Un compito da portare avanti ogni giorno
Ma la Costituzione non è solo un testo da leggere, è prima di tutto un insieme di valori e principi che plasmano e uniscono la comunità di cui facciamo parte e che devono essere vissuti e fatti propri.
Ancora oggi la nostra Costituzione ha un valore sociale enorme e riesce a interloquire anche con le giovani generazioni, ma è indubbio affermare che le esigenze che avevano guidato i Costituenti nel redigere quelle norme, trascritte secondo precise formule, non sono le stesse di oggi. Meuccio Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione, all’alba del 22 dicembre 1947 affermava le seguenti parole:
Questa Carta che stiamo per darci è, essa stessa, un inno di speranza e di fede. Infondato è ogni timore che sarà facilmente divelta, sommersa, e che sparirà presto. No; abbiamo la certezza che durerà a lungo, e forse non finirà mai, ma si verrà completandolo e adattando alle esigenze dell’esperienza storico. […] E così avverrà; la Costituzione sarà gradualmente perfezionata; e resterà la base definitiva della vita costituzionale italiana.
Le madri e padri costituenti erano consapevoli che il tempo avrebbe introdotto delle esigenze e delle necessità che alla metà degli anni Quaranta non erano ancora pensabili e che, per questo, non erano state inserite tra le pagine della Costituzione.
Si può fare un bilancio della storia della Costituzione?
Forse è stata la consapevolezza di vivere in un mondo molto diverso da quello di settant’anni fa che ha spinto la precedente legislatura a modificare l’articolo 9 e l’articolo 41. Al primo articolo è stata aggiunta la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi. Di conseguenza il testo dell’articolo 9 modificato ha assunto la seguente formula:
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.
Mentre all’articolo 41, che parla dell’iniziativa economica privata, è stato aggiunto «che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana». Inoltre diventa compito della legge assicurarsi «che l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali».
Questo fatto è una rivoluzione vera e propria perché ha segnato una grande passo in avanti nella lotta contro il cambiamento climatico perché viene imposto alle imprese e alle istituzioni l’obbligo di agire nell’interesse delle future generazioni e, quindi, di adeguarsi sempre di più ai principi di sostenibilità ambientale. Per la prima volta nella storia dell’Italia, infatti, è stata apportata una modifica nella parte riguardante i principi costituzionali che mira ad inserire il concetto di giustizia tra le generazioni. Da questo momento in poi, quindi, il legislatore e la Corte costituzionale saranno obbligati a reggersi in equilibrio tra gli interessi di questa generazione e quelli della generazione futura.
Sulla scia di questo esempio molto significativo è naturale domandarsi se il testo della Costituzione sia ancora attuale. Come detto in precedenza, la Costituzione italiana ha un valore attuale molto forte e i principi che contiene vanno mantenuti perché sono alla base della nostra società. Tuttavia, in un momento di importanza storica come quello che stiamo vivendo (sia per la precarietà dell’equilibrio internazionale, sia per la ricorrenza che si è festeggiata il 27 dicembre 2022) è importante riflettere sul valore di un simile testo di legge e valutare l’effettiva applicazione. In questo mare di lodi, esaltazione e declamate infatuazioni di massa diventa difficile approcciarsi alla Costituzione e fare un bilancio oggettivo di quella che è stata la sua storia. Leggendo gli articoli che la compongono, infatti, non si può fare a meno di notare l’asimmetria tra le parole di cui si fa portatrice e la situazione reale dell’Italia.
Articolo 3: ma quale uguaglianza?
La portata ideologica di questo articolo, che senza dubbio è uno dei fondamentali di tutta la nostra Costituzione, è enorme. Proclamando le seguenti parole “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge”, il popolo italiano viene dotato di uno strumento per sancire il fatto che tutti i cittadini italiani, senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali (manca ancora la dicitura riguardante l’orientamento sessuale) hanno la garanzia di un principio di uguaglianza che contrasti i privilegi.
Ma non è tutto perché la Costituzione, oltre a decretare l’uguaglianza assoluta a livello sociale, politico e giuridico, affida alla Repubblica il compito di far sì che questo principio diventi realtà. Ciò significa che è dovere del legislatore battersi per costruire una società giusta dove i fattori che impediscono il pieno raggiungimento dell’uguaglianza siano eliminati per il bene comune. Per questa ragione nelle aule di tribunale campeggia la scritta “la legge è uguale per tutti”, visibile da ogni prospettiva affinché rimanga incisa nella mente di tutti.
Ma è risaputo che ci sono due pesi e due misure e che la legge non è uguale per tutti. Gli uomini non sono uguali alle donne, i giovani non sono uguali ai vecchi, i ricchi non sono uguali ai poveri. Ognuno parte da un grandino di lancio differente e ha opportunità diverse a seconda del contesto in cui è nato e cresciuto. Ad esempio, se una persona è nata in contesto più privilegiato ha opportunità di studiare e di intraprendere una carriera universitaria, ma se la stessa nasce in un contesto meno abbiente è costretta ad affrontare maggiori difficoltà e in gran parte dei casi rimane indietro, facendo dell’istruzione un’opportunità elitaria. Il proposito costituzionale dell’uguaglianza rimane ancora incompiuto e la strada per arrivare al giorno in cui non esisteranno più disuguaglianze è ancora lunga e forse non finirà mai.
L’Articolo 37 e la disparità del lavoro femminile
In Italia le donne hanno un’istruzione scolastica maggiore e conseguono risultati migliori dei loro coetanei uomini, ma questo non basta a sanare le differenze che li separano: per quanto siano stati fatti dei passi avanti, le donne lavorano meno e il loro apporto al mondo del lavoro è mortificato da un sistema che non riesce a valorizzarle come dovrebbe. Eppure, l’articolo 37, oltre a imporre delle norme specifiche per il lavoro minorile, sancisce la parità tra uomo e donna sul mondo del lavoro.
Tuttavia, c’è un’incongruenza di fondo che caratterizza questo articolo, ovvero il fatto che rivendicare i diritti delle donne sulla base di quella “essenziale funzione materna” che era stata la causa del loro allontanamento non rispecchia il valore innovativo che l’articolo dovrebbe avere. Per la Costituzione la maternità rimane l’unico tratto “essenziale” di una donna e inevitabilmente il lavoro femminile rimane subordinato a quello maschile. Fin dalla Costituzione, quindi, le donne partono in salita e sono costrette ad affrontare difficoltà maggiori dei loro colleghi uomini. Non può stupire molto se il lavoro femminile non risulta uguale a quello maschile e che il cosiddetto gender pay gap (divario di genere per la retribuzione) sarà colmato solo tra 135 anni.
Ancora oggi le statistiche più recenti confermano una situazione poco incoraggiante, in cui l’occupazione femminile si attesta solo al 51,3% della forza lavoro. A peggiorare ulteriormente la situazione ha contribuito l’avvento del Covid, che sembra aver riportato la parità di genere indietro di una generazione. Sono passati settantacinque anni da quando questo articolo, che pur rispecchiando una visione tradizionale della donna, è stato formulato ma ancora quell’obbiettivo non è stato raggiunto. Nel Global Gender Gap Report 2022 l’Italia si attesta solo al 63° posto e, ora, con la crisi del costo della vita non si prospettano orizzonti di speranza. Sono passati settantacinque anni ma per raggiungere la parità di genere ce ne vorranno ancora 135.
La Costituzione rifiuta la guerra?
Per rimarcare ulteriormente il distacco con il passato, i costituenti decisero di inserire tra i dodici articoli fondamentali, anche quello pacifista. L’articolo 11 impegna il Paese a rifiutare fermamente l’utilizzo della violenza armata come strumento di offesa o come mezzo per la risoluzione dei conflitti tra popoli.
Nel suo discorso Benigni, per esaltarne l’importanza, lo ha paragonato a una poesia (“è come dire ‘M’illumino d’immenso'” ha detto). Ma è la scelta del termine “ripudia” che racchiude in sé la ferma condanna politica e morale verso la guerra e il militarismo, e che eleva l’articolo 11 ad essere figlio di quella volontà che voleva fare della nuova Repubblica un mondo del tutto diverso da quello costruito dal fascismo.
Questo articolo è tornato al centro dell’attenzione quando, il 24 febbraio dello scorso anno, in Europa si è affacciata nuovamente la guerra e si è riacceso il dibattito su come sostenere i Paesi invasi. Fin dai primi istanti di guerra l’Italia e gli altri paesi del blocco Occidentale hanno condannato fermamente la decisione della Russia di invadere un Paese libero e si sono schierati in difesa dell’Ucraina, sostenendola direttamente attraverso l’invio di armamenti. È stato in questo momento che molti hanno posto il dubbio che manifestare questo tipo di sostegno potesse andare in contrasto con i principi della Costituzione. Di fronte a questo dilemma l’opinione dominante è stata quella che, trattandosi di una guerra di difesa e non di attacco, è legittimo fornire armi all’Ucraina. Per quanto questa decisione non sia apprezzata da oltre il 55% degli italiani (come affermano i sondaggi), l’Italia è costretta ad allinearsi alle norme sovranazionali e alle scelte dei paesi con cui ha sottoscritto dei contratti internazionali.
La Costituzione, inoltre, ripudia la guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali ma non la ripudia in generale, quindi inviare armi all’Ucraina non va contro i principi costituzionali. Tuttavia, c’è chi afferma che non è con le armi che si può risolvere una guerra perché non è con la speranza che cada l’ultimo fucile che si può costruire la via di una pace giusta.
L’Italia: la Repubblica del lavoro povero
Nonostante la Costituzione sia dotata di un principio che tutela le condizioni lavorative e afferma che il lavoratore ha il diritto a una retribuzione adeguata e proporzionale alla professione che svolge, si sente spesso parlare di sfruttamento del lavoro o di “lavoro povero”. Con la prima espressione si intende una situazione di sopraffazione in cui un datore di lavoro non rispetta le norme minime imposte dalla legge per proteggere i lavoratori; mentre con la seconda si intende quel fenomeno per cui un’occupazione è remunerata con un salario talmente modesto che non permette di superare la soglia di povertà.
Nonostante la tutela prevista con l’articolo 36 della Costituzione, ad oggi, il mondo del lavoro in Italia appare in una situazione alquanto critica che contempla ancora situazioni in cui l’applicazione di tale articolo risulta difficile e alquanto lontana. Secondo il Rapporto annuale dell’Inps presentato lo scorso anno emerge come il 23% dei lavoratori italiani (pari circa a quattro milioni di persone) guadagna meno di sei mila euro annuali (quindi sotto la soglia del Reddito di cittadinanza). A essere colpiti da queste situazioni di precarietà sono soprattutto le donne e i giovani. Recentemente è diventato virale un video di una giovane ingegnera, Ornela Casassa, che denunciava un’offerta di lavoro che le proponeva una retribuzione mensile di soli 750 euro. Simili condizioni, oltre a favorire disuguaglianze e iniquità, incrementa il fenomeno della “fuga dei cervelli” perché è inevitabile che se il Paese non permette di coltivare le proprie capacità, si trovino soluzioni alternative spostandosi all’estero.
Nel leggere il testo costituzionale si può cadere nella tentazione di affermare che sia dovuto tutto e subito. Ma la Costituzione detta le linee guida della politica italiana e non è una bacchetta magica in grado di esaudire ogni desiderio. È quindi normale constatare quanto le parole contenute in essa si differenzino dalla realtà in cui viviamo. I nostri costituenti erano di certo consapevoli della difficoltà di realizzare ciò che venne trascritto sulla carta, ma forse il loro desiderio era quello di erigere un mondo che ancora oggi, settantacinque anni più tardi, non esiste ancora.
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