Il dibattitto intorno al Reddito di cittadinanza non è destinato a trovare un punto di accordo. Ogni settimana i discorsi intorno a questo provvedimento sono moltissimi e le notizie che lo riguardano acquistano una visibilità enorme. Fin dalla sua introduzione, nel lontano 2019, il Reddito è stato presentato al mondo come una misura di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale e, per questo, è stato difeso dai loro promotori (il Movimento 5 Stelle) con incredibile vigore. Ma se questi sono i fini per cui è stato istituito, perché il dibattito non sembra destinato a esaurirsi?
Un popolo di imbroglioni?
Ogni settimana le notizie di truffeai danni dello Stato sono all’ordine del giorno, per quanto riguarda il Reddito di cittadinanza. Solo nella prima settimana del mese di febbraio 2023 sono state denunciate più di sessanta persone con l’accusa di percepire il Reddito senza presentare le condizioni adeguate. Dopo aver creato un sistema per frodare l’Inps, queste persone percepivano una mensilità che poteva arrivare anche a 700 euro, per un totale di circa 430 mila euro truffati. Il dibattito pubblico si concentra proprio su questo punto: il Reddito di cittadinanza è davvero uno strumento per combattere la povertà o si è rivelato l’ennesimo trucco per facilitare i furbetti?
A guardare gran parte delle notizie che lo riguardano, sembra che a prevalere siano i secondi. Migliaia e migliaia di truffatori che pur di non lavorare si ingegnano a trovare il modo migliore per continuare a campare non facendo nulla. È con questa retorica che gli oppositori si scagliano con tutte le loro forze contro il Reddito, definendolo come “uno strumento culturalmente e socialmente sbagliato” (solo per usare le parole di Flavio Tosi, ex sindaco di Verona e parlamentare per Forza Italia). Fin dalla sua istituzione il Reddito è finito al centro delle polemiche, diventando bersaglio di critica da parte di tutte le forze politiche. Quest’anno poi, durante l’estenuante campagna elettorale, ha fatto da ago della bilancia e ancora oggi continua a dividere l’elettorale in fazioni opposte.
Tra fannulloni e amanti del divano
“Se te ghet trent’ann e non c’hai problemi va a lavurà”, è con queste parole che Matteo Salvini chiude la campagna elettorale di Attilio Fontana, presidente uscente della Regione Lombardia. “In Brianza, a Cinisello e a Sesto il contribuente si alza ai ses de la matina per andà a lavurà”, continua, prendendo di mira i percettori del reddito di cittadinanza. Non che ci si aspettasse qualcosa di diverso da uno che aveva fatto dell’opposizione al Reddito di cittadinanza uno dei capisaldi della sua campagna elettorale, ma in discorsi come questo il rischio di cadere nella “caccia al povero” non è così lontano. Quando a essere presa di mira è la persona e non il contesto in cui questa si trova a vivere, si cade nella generalizzazione. Etichettare coloro che percepiscono il Reddito come dei “fannulloni” (o “cani e porci, spacciatori e delinquenti”, per riprendere le delicate parole di Daniela Santaché) che non hanno voglia di lavorare, banalizza la loro situazione e fa ricadere la colpa su di loro.
Purtroppo, aldilà di tutti i commenti retorici che si fanno intorno al Reddito, l’illegalità esiste e continuerà a esistere. Allo stesso modo continueranno a esistere anche coloro che preferiranno scegliere una scorciatoia alla retta via, ma non per questo bisogna fare di “tutta l’erba un fascio”. A ingannare lo Stato è solo una minoranza di coloro che percepiscono il Reddito, ma che viene ingigantita dall’enorme dibattito che ruota intorno alla questione e dall’opinione di molti esponenti politici, che hanno fatto dell’opposizione al Reddito il pilastro delle loro battaglie politiche.
Il Reddito tra giochi d’accuse reciproche
Una commissione ministeriale presieduta dalla professoressa Chiara Saraceno, sociologa e ricercatrice, insieme a Caritas, Alleanza contro la povertà e altri professionisti del settore sta lavorando per migliorare l’impostazione del Reddito di cittadinanza e farlo diventare un provvedimento più efficace. “Per incoraggiare a lavorare ufficialmente, scontate il reddito dal lavoro affinché lavorare ufficialmente paghi davvero” afferma la professoressa Saraceno in un’intervista rilasciata a La7.
Da parte di tutte le forze politiche emerge l’idea che qualcosa debba cambiare e che l’impostazione attuale non riesce a raggiungere gli obiettivi desiderati, ma in un clima di costante tensione e accuse reciproche si fa fatica a mettere in atto dei provvedimenti seri e a concretizzare quegli slogan confezionati per guadagnare consenso (“metadone di Stato”, “reddito di criminalità”, “una grande truffa e una grande porcheria di clientela politica” e “soldi rubati”, gli appellativi che il Reddito si è guadagnato sono moltissimi e provengono da ogni fazione politica). Ma nel gioco delle accuse reciproche la tendenza è quella di dare la colpa proprio ai poveri, accusati di non fare la propria e di essere causa della propria disgrazia.
Se sei povero è colpa tua
In un governo che enfatizza il merito e lo eleva a valore fondamentale, la povertà si intreccia alla meritocrazia e agli occhi dei potenti essere poveri diventa un crimine. Lo ribadiscono le parole di Giorgia Meloni che punta il dito contro gli stessi poveri, accusati di non aver fatto abbastanza e di essere la motivazione del fallimento del Reddito di cittadinanza. Ma la povertà non è una colpa e gli esponenti politici dovrebbero smetterla di interpretarla in questo modo.
Stigmatizzare l’indigenza sterilizza il dibattito e fa convergere la figura del bisognoso a quella del furbetto e dello scansafatiche. Una simile narrazione non aiuta la dignità delle persone e restituisce un’immagine di povertà che si allontana dalla realtà delle persone che sono costrette a viverla. Complice è anche la narrazione giornalistica, che di frequente tende a ricondurre la questione a un rapporto di causa-effetto (rifiuti un lavoro, allora non hai voglia di lavorare), ignorando il fatto che non sempre avere un lavoro permette di uscire dalla povertà. Negli anni, spesso, è prevalsa l’idea di dover accettare qualsiasi lavoro, a prescindere dalle condizioni umane ed economiche che offre. Una simile dinamica ricalca le disuguaglianze e disincentiva la mobilità sociale perché non tiene conto del fatto che il gradino di partenza non è uguale per tutti. Per questo motivo ricondurre problematiche di questo genere allo slogan conciso de “la gente vada a lavorare” fa perdere il centro di un provvedimento come quello del Reddito: ovvero che il problema di questo Paese non è il Reddito di cittadinanza, ma le disuguaglianze.