L’origin story di “Pearl”

È stato presentato a Venezia79 l’attesissimo film di Ti West, Pearl. Quello che non tutti sanno però, è che poco prima rispetto al periodo in cui è stato girato il film, il regista aveva realizzato anche X: A sexy horror story nonché il suo seguito. Nel primo viene raccontata la storia della giovane Pearl, nel secondo, com’è diventata negli anni e di conseguenza la sua fine.

È una cosa interessante il fatto che mentre facevamo X: A sexy horror story sapevamo che avremmo fatto anche Pearl. Io l’ho sempre considerato come un unico grande film con un lungo vuoto temporale in mezzo. 

L’inizio della fine

La protagonista di Pearl è interpretata sempre da Mia Goth, in due ruoli completamente diversi, o meglio, così sembrerebbe. Questo prequel racconta l’ascesa della feroce serial killer Pearl, che nel precedente nel film aveva rivelato la sua anima tormentata e feroce dando vita ad una strage sanguinosa.

Uscito nelle sale cinematografiche, Pearl è passato quasi in sordina a causa forse della troppa vicinanza d’uscita rispetto al film precedente. Nonostante ciò, si rivela un prodotto ben confezionato e per nulla scontato. La storia infatti non si concentra sui primi crimini della ragazza, da tempo tormentata da una famiglia assente e dalla voglia di raggiungere il successo. Bensì sul suo percorso psicologico verso una lenta ma inesorabile perdita di lucidità che la porterà alla pazzia.

Gli anni 20 secondo West

La narrazione si apre con un’inquadratura che richiama ancora una volta il famosissimo Sentieri selvaggi di John Ford, mostrando una quieta fattoria americana degli inizi del secolo. Gli uccellini cinguettano, una campagna rigogliosa si mostra in tutta la sua bellezza, una musica trionfante ci accompagna dentro la narrazione: che cosa potrebbe mai andare storto? Già dai titoli di testa (in stile tipicamente anni 40) si percepisce l’ammirazione del regista nei confronti di un certo tipo di cinema: pensiamo a Secondo amore di Douglas Sirk, o a tutte quelle pellicole che mettono in scena una borghesia quasi stucchevole sempre alla ricerca della perfezione e alla lunga stereotipata e fallimentare.

C’è sicuramente stata l’intenzione di evocare quest’era cinematografica e il tipo di meraviglia che ne derivava guardando questi film. Mi sembrava un contrasto interessante da realizzare vista la storia che volevamo narrare. 

Il Cinema è nato da pochissimo (da notare il dettaglio del manifesto di Cleopatra con Theda Bara del 1917) e Pearl ne è ossessionata. Il suo sogno più grande è infatti quello di diventare una star e ballare insieme alle più belle dive. Ma questo sogno è ridicolo per sua madre, una donna che assomiglia più ad un soldato nazista che ad una figura di riferimento. Ma Pearl sa di non essere destinata alla stessa vita che conduce la sua famiglia. Passa infatti le sue lunghe e noiose giornate a indossare abiti eleganti immaginando di esibirsi davanti al pubblico (in realtà le mucche della loro fattoria), acclamata e desiderata da tutti.

Un musical dal sapore horror

Pearl è una ragazza vivace, piena di sogni e ambiziosa con una luce potentissima pronta ad esplodere alla prima scintilla. L’atmosfera è fin troppo gioiosa, addirittura ottimista per essere il prequel di un film horror. Lo si potrebbe confondere per un musical se non si prestasse attenzione ai dettagli che il regista dissemina per tutta la pellicola fornendoci i primi indizi dell’imminente delirio.

Sincero omaggio al Technicolor, il film ha un’estetica cinematografica che sembra ispirarsi al magico mago di Oz — qualcun altro ha notato lo spaventapasseri? —. Pearl è da guardare come una vera origin story, un viaggio introspettivo nella psiche di una protagonista che piano piano si rende conto di essere un’inetta, e di dover trovare un modo per evadere ed essere ricordata. Iconica la scena del provino per una piccola compagnia di ballo clericale, durante il quale Pearl sfoggia il suo sorriso migliore per essere poi scartata brutalmente con la banale scusa “ne abbiamo tante di ragazze come te“. Da quel momento una già instabile ed emotiva ragazza diventa una serial killer assetata di vendetta e riscatto. Nasce in Pearl un istinto omicida intenzionato a liberarsi di chiunque rappresenti un ostacolo verso il suo ambito successo.

L’origine del male

La performance di Mia Goth esalta la sua bravura attoriale grazie ad una mimica straordinariamente efficace. Una mimica capace di far trapelare tutte le emozioni della protagonista, dalla più ingenua a quella più ripugnante. Il suo corpo si muove con una leggerezza disarmante, volteggiando come una bambina che sogna ad occhi aperti un futuro radioso. Il tutto viene completato dall’utilizzo del colore: una saturazione particolarmente vivida riempie le inquadrature quasi a sottolinearne l’incontaminata purezza. Il rosso vivo che permea la seconda metà della pellicola viene ripreso nel vestito indossato dalla protagonista, in netto contrasto con la fattoria. Questa, ormai cupa e destinata all’abbandono è caratterizzata da toni grigi e malinconici simbolo di rimpianto verso un passato mai esistito.

La narrazione procede con un ritmo sostenuto ma al tempo stesso non tralascia nessun dettaglio, fornendo allo spettatore una panoramica completa dell’origine del male. Un motore distruttivo che era rimasto latente fino a quel momento esplode in tutta la sua ferocia trasportandoci in un vortice di emozioni per certi versi inaspettato. Si tende per certi versi ad entrare in empatia con la ragazza: chi non ha mai lottato per raggiungere un sogno? Chi non è mai stato ostacolato dagli affetti o si è sentito inadatto per un ruolo piuttosto che un altro?

Di certo chi si aspettava un horror cruento e ricco di suspence rimarrà probabilmente deluso, perché Pearl assomiglia più al Joker di Phoenix: l’inizio di una villain story inesorabilmente distruttiva.

 

FONTI

youtube.com

 

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