Un impeachment tentato, un golpe sventato, l’arresto di un presidente e le proteste. Breve storia delle avventure e dei tentativi politici di Pedro Castillo, ex presidente del Perù.
Tutto inizia (o sembra iniziare) la mattina di mercoledì 7 dicembre 2022, quando Pedro Castillo, allora Presidente in carica del Perù da un anno, ha annunciato lo scioglimento del Congresso e lo stato d’emergenza nazionale. Si trattava, in realtà, di un tentativo di colpo di stato per restare al potere. Il golpe però non è riuscito e ha portato all’arresto immediato del Presidente. L’esercito e la polizia infatti non hanno appoggiato la scelta di Castillo che ha tentato la fuga verso l’ambasciata messicana per chiedere asilo. Nel primo pomeriggio il Congresso ha votato per la terza volta l’impeachment nei confronti del presidente, ottenendo la maggioranza, il presidente è stato quindi esautorato e condannato alla reclusione.
L’orologio non torna indietro
La mossa azzardata da Pedro Castillo purtroppo non rappresenta un caso particolare negli sviluppi della politica peruviana degli ultimi decenni. Si tratta infatti della stessa strategia adottata da Alberto Fujimori, presidente dal 1990 al 2000. Durante il 1992 organizzò, supportato dai militari, un autogolpe al suo governo per forzare il sistema democratico. Sospese il Congresso e l’esercizio della magistratura per instaurare un governo di emergenza di stampo autoritario e un congresso per scrivere la costituzione.
Sono passati trent’anni da questi fatti. Fujimoto è stato ripetutamente condannato per i crimini e le violenze che sono state perpetrate sotto il suo comando per consentirgli di mantenere il potere e per porre termine alla guerra civile, fomentata dal Sendero Luminoso, che da anni insanguinava tutto il Perù. Negli anni seguenti, la situazione politica peruviana non si è mai effettivamente stabilizzata, rendendosi tristemente nota per i continui e ripetuti scandali di corruzione. Dal 2016 a oggi sono cambiati sei presidenti e due congressi, incrementando il disagio sociale e la fragilità istituzionale.
Pedro Castillo, il personaggio
Il 51esimo presidente peruviano è apparso sulla scena politica come un fulmine a ciel sereno. Candidato con il partito di stampo marxista-leninista “Perù Libero”, ha vinto alle elezioni del 2021 contro Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente simbolo dell’élite del paese. Ha vinto con lo slogan “non più poveri in un paese ricco”. E secondo molti ha vinto per la sua autenticità.
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— Pedro Castillo Terrones (@PedroCastilloTe) March 13, 2021
Il primo presidente di sinistra da più di una generazione. Figlio di contadini analfabeti, per venticinque anni ha insegnato in una scuola elementare. Si è fatto notare come sindacalista in particolare durante lo sciopero indetto nel 2017 che ha coinvolto tutta la nazione. Un volto nuovo eppure così familiare. Lontano dalle grandi città, Lima in particolare, lontano dalla corruzione della politica che da anni affligge il sistema amministrativo peruviano. Eppure così vicino allo stile di vita di molti, alla semplicità del quotidiano, alla voglia di vedere le cose cambiare. Sembrava l’inizio di una nuova storia, a cui manca però il lieto fine.
Se è vero che la politica è un’arte, di certo Pedro Castillo non ha avuto molto tempo per praticarla. Il Congresso infatti – composto per circa il 70% da rappresentanti di forze di centro o destra – ha dimostrato fin dal primo giorno di legislatura un’opposizione radicale e sistematica a ogni proposta del presidente. Questo in realtà si colloca perfettamente in linea con la narrazione, non solo retorica, che ha caratterizzato la campagna elettorale e ha portato all’elezione di Castillo.
I politici peruviani sono stati descritti e considerati, a torto o a ragione, corrotti. Una casta di intoccabili che governano sugli interessi di tutti, ma considerando solo i propri. E Pedro Castillo, vaso di coccio tra i vasi di ferro, osteggiato fin dal primo giorno. In un clima di tensione sempre crescente, come da copione gli scandali per corruzione e i tentativi di impeachment sono stati all’ordine del giorno. Sei le inchieste per corruzione contro il presidente, otto i governi succedutisi senza riuscire a concretizzare riforme strutturali. Il tutto è culminato nel suo arresto.
Le proteste, perché
Già dalle prime ore del fatidico 7 dicembre, i cittadini peruviani sono scesi in piazza a protestare chiedendo giustizia e rispetto della democrazia. Così come sono stati ritenuti illegittimi i due precedenti tentativi di destituzione di Castillo, conclusi in un nulla di fatto, i manifestanti non accettano il suo arresto. Infatti, dopo neanche sei mesi di presidenza, il Congresso ha tentato di destituire Castillo con l’accusa di “incapacità morale” (prerogativa costituzionale dell’unica camera del Parlamento, che può usare questo strumento contro capi del governo ritenuti mentalmente incapaci e/o pericolosi per la democrazia, ndr), reiterata nel marzo 2022. Il Congresso, in virtù dei propri poteri, ha negato al presidente l’autorizzazione di compiere i viaggi istituzionali che aveva in programma – in Colombia, Thailandia, Vaticano e Messico, per una riunione dell’ Alleanza del Pacifico.
Gli elettori dell’ormai ex-presidente lamentano il fatto che il loro voto sia stato inascoltato e che, di fatto, l’arresto sia finalizzato a impedire di compiere le innovazioni previste nel suo programma. Castillo è considerato dai suoi sostenitori come una vittima, l’ennesima, del sistema corrotto della politica peruviana. Il popolo peruviano chiede nuove elezioni – al momento riprogrammate per il 2024 tra mille polemiche – e una nuova costituzione che bilanci gli attuali notevoli poteri dell’unica camera del Parlamento (molti parlano di bicameralismo). Contestualmente sono scesi in campo per far sentire la propria voce anche i detrattori di Castillo – che alle elezioni ha vinto con poco più di 50 mila voti di scarto – mettendo in atto un movimento di contro-protesta che secondo alcuni osservatori potrebbe deflagrare in guerra civile.
Prospettive politiche
Per evitare questa possibilità Dina Boluarte, subentrata nel ruolo di Castillo in quanto sua vice-presidente, ha dispiegato le forze dell’esercito e di polizia. Si è dichiarata sconvolta dal tentativo di autogolpe consumatosi nella prima settimana di dicembre. Nel suo primo discorso da presidente fa appello all’unità nazionale. Intanto però ci sono proteste e blocchi armati in circa il 40% del Paese.
L’intervento dei militari voluto da Boluarte si sta rivelando dannoso e divisivo. Gli scontri con i manifestanti sono ferocissimi, ufficialmente si contano già più di sessanta morti. La brutalità con cui le autorità, dopo aver dichiarato lo stato di emergenza, stanno provando a raffreddare gli animi ha già attirato l’attenzione dell’OSA (Organizzazione degli Stati Americani) che ha mandato una delegazione della commissione interamericana per i diritti umani a verificare le condizioni effettive in cui si stanno svolgendo le proteste.
Se, in un primo momento, l’insediamento di Dina Boluarte è sembrato una risposta di resistenza, pur nella fragilità, del sistema democratico peruviano, a oggi non si può dire la stessa cosa. La deriva autoritaria, istituzionalmente sfiorata da Pedro Castillo, si sta realizzando nella violenza messa in atto negli ultimi due mesi e che non accenna a fermarsi. Le lotte dei peruviani continueranno, è una sfida per la libertà a cui non ci sono alternative.