P38: le BR in musica a processo

La band

Dietro il “collettivo musicale artistico-insurrezionale” – come si definiscono – chiamato P38 si nascondono quattro trapper che rispondono ai nomi d’arte di Astore, Yung Stalin, Jimmy Pentothal e Dimitri.

La band, prima di annunciare il proprio scioglimento a giugno, faceva riferimento a un’iconografia e a un immaginario ben precisi, caratterizzati da riferimenti all’Unione Sovietica, agli anni di piombo e alle Brigate Rosse.

Tra brani più “comedy” e altri più seri, le loro hit più ascoltate – e criticate – sono per lo più brani provocatori ed evidentemente inquadrati politicamente – come Renault, un richiamo all’auto in cui fu ritrovato il corpo di Aldo Moro, Nuove BR e Giovane Stalin, come lo pseudonimo di uno dei membri – che di certo hanno smosso gli animi.

In un’intervista con Livore, Jimmy Pentothal fa un identikit base della band, la quale si allontana dal veicolare messaggi “ipocriti e reazionari” e che trasmette ciò che ha da dire attraverso l’ispirazione della musica italiana del momento, che viene poi rielaborata con frasi richiamanti principalmente a Stalin, alle B.R. e altri moti della sinistra radicale durante il processo creativo del gruppo.

Il progetto

La reazione di fronte a un primo ascolto di un brano della P38 è stupore, per alcuni con un po’ di indignazione, e parecchia curiosità e confusione: si tratta di quattro neo-brigatisti violenti e pericolosi o, più semplicemente, di artisti estrosi con la libertà di esprimersi con il proprio linguaggio, seppur pungente e moralmente discutibile, per spingere una riflessione nei propri ascoltatori?

Viene spontaneo chiedersi perché, in una società di polemica e così legata a una cultura della cancellazione ininterrotta che non risparmia nessuno, questo gruppo musicale si sia spinto a scrivere di argomenti e personaggi così delicati da trattare senza temere ripercussioni, e a rispondere sono proprio loro:

«Quando si parla di arte e musica, è spesso la provocazione a scuotere gli animi, a far voltare le teste. Siamo estremi? Sì. Siamo provocatori? Sì. Tutto questo è voluto. L’oltraggio al caso Moro? Su questo ci concediamo di essere netti. Aldo Moro è stato un morto, come lo sono i morti di overdose nelle periferie abbandonate dallo Stato, come lo sono i morti sul lavoro nelle fabbriche che ignorano le norme di sicurezza, come lo sono i morti di una pandemia gestita disastrosamente dalle istituzioni».

Quindi da una parte per provocazione e dall’altra per combattere delle battaglie sociali, i P38 parlano di reati violenti e spaccio, come gran parte degli artisti che praticano un certo genere di musica ma che non hanno mai pagato un tale prezzo.

Da gruppo musicale a indagati a processo

Se inizialmente girava semplice aria di disapprovazione, la questione P38 si è poi trasformata – non inaspettatamente, a detta dei membri del gruppo – in un’indagine che ha portato la loro musica in un processo che ha coinvolto non solo la band trap, ma anche i gestori delle strutture nelle quali questa si è esibita, per istigazione a delinquere e apologia di reato.

Diventa emblematico il concerto che la band tenne il primo maggio 2022 al circolo Arci Tunnel di Reggio Emilia in occasione della Festa dell’Unità Comunista, in cui i P38 hanno esposto le bandiere delle Brigate Rosse, della Corea del Nord e dell’Unione Sovietica.

Terrorismo o arte?

In seguito allo sgomento provocato dalla notizia sul concerto del gruppo musicale che si è esibito il Primo Maggio a Reggio Emilia, il 25 novembre sono iniziate le indagini per apologia di terrorismo.

Ancor prima del concerto a Reggio Emilia, i P38 avevano già dato nell’occhio l’aprile scorso per le proprie esibizioni a Pescara, che hanno colto l’attenzione e la sensibilità di Bruno D’Alfonso, figlio di un carabiniere rimasto vittima delle BR, che sarebbe entrato a conoscenza del gruppo attraverso il figlio musicista che aveva suonato nello stesso circolo Arci. Colpita dalla notizia, Maria Fida Moro si è invece espressa dicendo che non si tratta assolutamente di libertà di pensiero ma di istigazione al terrorismo.

Sul «Corriere della Sera» si espone, in difesa del gruppo, Alberto Franceschini – uno dei fondatori delle Brigate Rosse – che riconosce quella della Gang P38 come una “strumentalizzazione finalizzata a fare pubblicità”; d’altronde la musica è da sempre politica.

Quelle al terrorismo non sono le uniche accuse volte al gruppo: c’è chi, come il senatore di FdI Giovan Battista Fazzolari, ha infatti voluto vedere inneggi alla violenza sulle donne nel testo di Moda italiana, con riferimenti alla neo Presidente del Consiglio, che cita “Poi vota Fratelli d’Italia/Se avessi davanti la faccia di Giorgia/ Ti giuro che le servirebbe una plastica”.

Complici di reato?

La band musicale non è stata l’unica colpita dalla bufera di polemiche generata dalle loro esibizioni canore: il figlio di Marco Biagi, ucciso dalle Nuove BR nel 2002, ha puntato il dito non solo contro Marco Vicini, proprietario dell’Arci che li ha difesi, ma anche il fatto stesso che il gruppo sia in primo luogo invitato ad esibirsi nei locali.

Il movimento di destra Reggio Emilia Identitaria ha chiesto la chiusura del locale che ha permesso “un tale scempio, nella totale mancanza di rispetto verso i familiari caduti per mano brigatista”. In consiglio comunale, invece, Fratelli d’Italia e La Lega hanno chiesto che venisse revocata l’assegnazione dello spazio della ex centrale del latte cittadina al centro sociale Crash, che in passato aveva ospitato concerti del gruppo.

L’uscita di scena

In un comunicato stampa di risposta, il gruppo si rivolge in modo provocatorio alle attenzioni delle forze dell’ordine e della stampa italiana, scrivendo “A quanto pare il giorno è giunto: il variopinto mondo del giornalismo italiano si è finalmente accorto di noi. Benvenuti, siete in ritardo, ma vi aspettavamo”, dichiarazione che conferma il vero intento della band: farsi conoscere.

Meglio tardi che mai dato che, al momento della risposta, il progetto P38 era già giunto al termine: i componenti del gruppo si tolgono il passamontagna per “tornare in mezzo a noi come persone, come amici, come compagni. Ma non più come P38″.

Pochi giorni prima che la band annunciasse il suo scioglimento, però, realizzò un’intervista per «VD», in cui due dei componenti affermano di non essere un collettivo o un’organizzazione politica.

Utilizziamo la provocazione per portare all’estremo perché all’estremo poi nascono le conseguenze

Il loro si presentava come un lavoro artistico che con le BR condivideva solo la rabbia e il tentativo di un riscatto politico. Con un immaginario tragico e a tratti insidioso hanno creato una “trap comunista” priva di sessismo, omofobia e razzismo che mette in luce delle lotte e dei valori sociali che forse molti non percepiscono nemmeno più.

Quando la musica non era a processo

Ciò che non si può dire e ciò che non si può tacere, la musica lo esprime” disse Victor Hugo, il quale non aveva però considerato che si sarebbe affermato, sotto forma di un sistema complesso e inesorabile, il fenomeno della censura. Sesso libertino e omosessualità oggi sono temi di cui si può finalmente parlare apertamente in strada e in musica, eppure dagli anni ’60 agli ’80 la musica così considerata “spregiudicata” era ritenuta a dir poco oscena, è il caso di Renato Carosone con i riferimenti sessuali espliciti in La Pansè e Dio è morto di Guccini, ritenuta blasfema.

Più vicino alla storia della P38 è stato Gaber, che con la sua Se io fossi Dio scrive un monologo contro l’Italia con riferimenti al terrorismo e allo stesso Aldo Moro, per cui il singolo non poteva essere prodotto se non dallo stesso autore. Tra chi si è “azzardato” di parlare di politica in musica c’è anche il gruppo Elio e le Storie Tese, che attaccò i politici degli anni ’90 a cominciare da Giulio Andreotti.

La lunga storia tra il festival di Sanremo e la censura

Il Festival di Sanremo è da sempre al centro della discussione quando si parla di censura di brani musicali: dai primi anni del Festival fino alla settantatreesima edizione del 2023, i testi del Festival della Canzone italiana sono sempre stati sottoposti a un rigido controllo.

Nel 1980 a Francesco Magni venne imposto un cambiamento nel brano Voglio l’erba voglio. Nella serata finale però, per ribellione o per dimenticanza, il cantautore cantò il verso censurato scatenando pesanti critiche. Il 1994 è l’anno in cui venne presentata Signor tenente di Giorgio Faletti, con tema le stragi di mafia di pochissimi anni prima e che l’allora conduttore Pippo Baudo consigliò di censurare.

Tra coloro che sono riusciti a portare i loro brani così come sono stati scritti riconosciamo alcuni dei più recenti concorrenti del festival, come Gianluca Grignani, che nel 2002 pubblicò L’aiuola in cui sono presenti riferimenti sessuali, e Donatella Rettore, che tratta molto esplicitamente il medesimo tema nel brano Kobra.

Rosa Chemical e la sua “rivoluzione fluida”

È di freschissima data l’ultima delle critiche a un concorrente che ha avuto il proprio debutto al Festival all’edizione di quest’anno, Rosa Chemical. Se per il caso di Gaber – e della P38 – si trattava di discordanze politiche, la questione attuale si scontra con divari ideologici e generazionali.

Fautrice delle contestazioni ai testi del giovane autore, Maddalena Morgante – deputata di Fratelli d’Italia – che in un intervento presso la Camera dei Deputati si è detta molto preoccupata per quello che sarebbe venuto sul palco dell’Ariston con la presenza dell’artista, che a sua detta sarebbe promotore di una “propaganda transgender”.

Morgante afferma che la “rivoluzione fluida” era già da tempo sul palco dell’Ariston, forse riferendosi ad Achille Lauro, che da quando si esibisce promuove un modello di mascolinità da sempre contrastato da FdI, ma – continua la deputata – “trasformare Sanremo nell’appuntamento più gender fluid di sempre è del tutto inopportuno. La tv rimane il principale mezzo di informazione e i minori sono la fascia principale di ascoltatori” e per questo motivo ne chiede l’espulsione dal Festival, provvedimento che il conduttore ha prontamente eluso e su cui si è apertamente espresso.

Quanto affermato da Maddalena Morgante non potrebbe essere più lontano dal messaggio di Rosa Chemical, che condivide con il suo giovane pubblico la freschezza di testi che “danno parola a tutti“, come ha dichiarato il cantante stesso, e che rompono i tabù a cui l’Italia – o per lo meno gran parte – è ancora incatenata.

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