È una guerra aperta, quella che il governo Meloni ha lanciato contro le Ong. Con il “decreto migranti”, il governo ha approvato un nuovo codice di condotta per le organizzazioni umanitarie, introducendo sanzioni fino a 50mila euro e confische delle navi per chiunque decida di salvare vite in mare senza rispettare le norme vigenti. Il fine di tutto questo? Limitare gli sbarchi, anche se i dati smentiscono l’efficacia di questo provvedimento.
Che cosa afferma il decreto?
Con lo scopo di garantire la sicurezza pubblica e assicurare l’incolumità delle persone che vengono salvate in mare, il nuovo decreto delinea un codice di condotta abbastanza rigido. In primis, introduce uno stop ai soccorsi multipli, a meno che non siano richiesti dalle autorità delle zone SAR (“Search and Rescue”, ovvero “cerca e salva”) e vieta il trasbordo dei naufraghi, ovvero quella pratica secondo cui una nave più piccola può trasferire le persone che trasporta su una nave più grande per continuare a operare altri interventi di salvataggio. Viene poi imposto l’obbligo di chiedere il porto di sbarco all’Italia, che deve essere raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso; e viene, infine, data la possibilità ai migranti di chiedere asilo direttamente a bordo delle navi, anche quelle straniere, senza doverlo fare nel Paese di primo approdo.
Come prevedibile, l’accoglienza del decreto ha suscitato enormi polemiche, sia da parte dell’opposizione che da parte delle Ong. Ma non sono solo le dirette interessate ad aver alzato la voce: molte associazioni del terzo settore e la stessa Cei (Conferenza Episcopale Italiana, ovvero l’assemblea permanente dei vescovi italiani) si sono unite al coro di voci, chiedendone l’abrogazione immediata. «Questo decreto» afferma Chiara Cardoletti, rappresentante dell’agenzia Onu per i rifugiati «non fermerà le partenze».
Porti di sinistra e porti di destra
Un altro motivo di attrito tra governo e opposizione è stata la questione dei porti verso cui sono state indirizzate le navi delle Ong. L’accusa lanciata dal centrosinistra e dal Terzo Polo è che il Governo sta mettendo in piedi una strategia per cui il criterio di scelta dei porti non si basa su motivazioni oggettive ma su criteri esclusivamente politici. Il governo ha tenuto a specificare che i porti, così come il sistema dell’accoglienza del Sud, sono ormai prossimi al collasso e che, quindi, è preferibile uno sbarco più sicuro a uno più vicino. Ma l’opposizione non ci sta e insiste che vengano date maggiori spiegazioni a riguardo. «È un governo abbastanza curioso perché sta mandando le navi con i migranti in porti lontani rispetto a dove potrebbe attraccare e far scendere gente che arriva da luoghi della disperazione e li sta mandando in porti di Comuni tutti governati dal centro sinistra» afferma Stefano Bonaccini (PD), presidente della Regione Emilia-Romagna.
Una perdita di tempo?
C’è chi afferma che l’introduzione del decreto legittima la logica degli “sbarchi selettivi”, ignorando il principio per cui salvare una persona in mare, prima che essere un obbligo giuridico, è un obbligo morale. Questa svolta, infatti, viola il valore della salvaguardia della vita umana e impone alle Ong dei costi di soccorso senza precedenti. «Noi stiamo spendendo più soldi in legali che nella ricerca e nel soccorso» afferma Juan Matias Gil, capo missione di Medici Senza Frontiere, allo sbarco della Geo Barents a Taranto. «Noi stiamo salvando vite e stiamo consultando i legali per contestare ogni misura, ogni nuova regola per vedere se questo è in linea con la normativa».
Come molti hanno avuto la premura di far notare, il decreto non indurrà alcun effetto significativo sul fenomeno migratorio. Dichiarare guerra alle Ong è poco utile ai fini che si vogliono raggiungere. Le Ong, infatti, intervengono all’apice di un processo che ha ragioni molto complesse e molteplici risvolti, ma che non si limita alla sola traversata del Mediterraneo. Se la si pensa così, è solo perché in questa fase la cosa ci tocca più da vicino (seppur in un modo relativo). A essere soccorsa dalle Ong, infatti, è solo una piccola minoranza di tutti coloro che arrivano in Italia, perché gran parte delle persone continua ad arrivare in maniera autonoma.
E l’Europa dov’è?
La questione migranti è tornata nell’agenda dell’Europa quando, il novembre scorso, una vicenda ha scatenato una crisi diplomatica tra Italia e Francia. La questione è ruotata intorno allo sbarco della nave Ocean Viking, della ong SOS Mediterranée, con a bordo 234 persone. Dopo quasi tre settimane di sosta obbligata in acque internazionali, la nave è approdata a Tolone, in Francia. Questo fatto, che è stato motivo di attrito tra i due paesi, ha trovato un lieto fine grazie a una “cordiale telefonata” che si è svolta tra i due capi di stato diverse settimane dopo (metà gennaio circa). Tuttavia, aldilà delle conseguenze della vicenda, il caso Ocean Viking porta a due consapevolezze. La prima è che, sulla questione migranti, l’Europa non condivide ancora un indirizzo unico e condiviso da tutte le parti; la seconda è che il Mediterraneo centrale non è l’unica rotta della migrazione clandestina, ma a questa si affianca anche un’altra strada altrettanto attiva: quella dei Balcani.
È possibile giungere a un’intesa?
In Europa esistono delle leggi che regolano la migrazione, ma non tutti gli aspetti di questo fenomeno sono regolati a livello internazionale. Ad esempio, il Regolamento di Dublino III, sancito nel 2013, ha stabilito che la competenza per esaminare la domanda di asilo debba ricadere su quello Stato che ha svolto un ruolo più significativo in relazione all’ingresso del richiedente. Quindi, una persona che arriva in Europa dall’Italia non ha la libertà di stabilirsi dove preferisce, ma è obbligata a rimanere nel luogo in cui è sbarcata. Di conseguenza, un rifugiato riconosciuto come tale dall’Italia non lo è anche per la Germania. Un approccio simile non tiene conto di molti aspetti e non è prolungabile per molto. È per questo che nel prossimo Consiglio europeo, che si terrà tra il 9 e il 10 febbraio, il tema del fenomeno migratorio sarà al centro del dibattito. È sul tavolo l’ambizioso progetto di un «Patto europeo per l’immigrazione» che dovrebbe prevedere un meccanismo di solidarietà obbligatoria. Tuttavia, poiché si vota all’unanimità, sarà piuttosto difficile raggiungere questo obiettivo, a causa dell’opposizione di alcuni paesi che non considerano la questione migratoria come una emergenza.
Ancora una volta l’Europa si mostra divisa da una frattura così profonda da non poter convivere con i principi di solidarietà che stanno alla base dei suoi fondamenti.
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