“Decision to leave”: il neo noir di Park Chan-wook

Registi come Park Chan-wook sono ormai nomi intoccabili nell’industria cinematografica. A maggior ragione se si tratta di autori provenienti dall’estremo oriente, che ultimamente sta accogliendo non pochi apprezzamenti. Un fenomeno probabilmente partito dalla vittoria agli Oscar di Parasite; il cinema orientale si sta finalmente affermando ricevendo le attenzioni che si merita.

Partendo dal lontano 2003, Park Chan-wook inizia a farsi un nome grazie alla pellicola che diventerà un cult del cinema noir sudcoreano: Oldboy. Facente parte della cosiddetta Trilogia della vendetta — iniziata nel 2002 con Mr. Vendetta e che si concluderà nel 2005 con Lady Vendetta — il film racconta una storia paradossalmente molto semplice, ma che viene arricchita da suspence e colpi di scena che lo faranno diventare il capolavoro che è considerato oggi.

Si capisce quindi che il tema della vendetta è fin da subito molto caro al regista, tanto da dedicarci la sua intera carriera arrivando al 2022 con Decision to leave. Una storia diversa dalle sue precedenti per alcune scelte narrative, ma che appartiene comunque pienamente al suo stile registico e contenutistico. Questa pellicola trasuda umanità, distaccandosi così dalla sfarzosità dei lavori precedenti, in cui spesso la forma annientava il contenuto (si pensi a Mademoiselle del 2016).

La vendetta

Un uomo viene trovato morto ai piedi di un dirupo. È caduto, oppure qualcuno l’ha spinto nel vuoto? Da questo caso il  detective Hae-joon (Park Hae-il) inizierà la caccia al colpevole, ritrovandosi però intrappolato in una spirale di inganno e desiderio.

Una trama lineare, che si sviluppa in 139 lunghi minuti che però non gravano sullo spettatore, ma anzi, lo accompagnano durante tutto il suo svolgimento. La prima differenza che si nota rispetto ai lavori precedenti di Park Chan-wook, è il ritmo lento della narrazione. Gli eventi si susseguono in modo naturale senza forzature, innescando nel pubblico una curiosità sempre più pungente verso la risoluzione degli enigmi.

Una classica struttura da film noir come si poteva trovare già negli anni 40: il delitto (in genere un omicidio) e l’indagine di un detective sono i due fattori che costituiscono il tipo di intreccio prevalente. I personaggi principali sono il detective e la femme fatale, in questo caso la moglie della vittima, Seo-rae (Tang Wei). Apparentemente fragile e innocente, si svelerà per la sua vera natura manipolatrice e ingannevole. Il tema della vendetta è quindi movente principale della storia, anche se Park Chan-wook non lo riduce a mero capriccio amoroso. Vi inserisce delle tematiche e degli intrecci particolarmente efficaci che contribuiscono ad una costruzione sempre più complessa dei personaggi principali.

La manipolazione che la donna utilizza nei confronti del detective, un uomo sensibile che vuole a tutti i costi riuscire nei suoi intenti, finisce per avere la meglio facendo precipitare Hae-joon in un vortice di passione incontrollabile che si rivelerà altamente tossico. Una sorta di sindrome di Stoccolma al contrario: il detective sviluppa un’ossessione morbosa per la sospettata, ma che si rivela reciproca e per tale motivo ancora più pericolosa. Vittima e carnefice si annientano a vicenda stravolgendo completamente i rispettivi ruoli.

La lingua

Una tematica degna di attenzione è sicuramente l’utilizzo di idiomi differenti. Lei è una migrante proveniente dalla Cina il cui coreano è ancora da perfezionare. Per tale motivo spesso utilizza il traduttore vocale del cellulare per comunicare col detective. Questa barriera linguistica diventa quindi fondamentale per comprendere l’approccio con cui si deve interpretare Decision to leave. 

Due lingue e due ruoli completamente diversi. Due mondi che faticano ad incontrarsi e a capirsi totalmente. Hae-joon si trova davanti ad una sorta di rompicapo: dall’altra parte la femme fatale è indubbiamente capace di sedurre l’uomo con l’inganno mostrando la sua falsa fragilità e moralità. Un thriller stratificato che non lascia spazio a troppe riflessioni, continuando ad alimentare la fame dello spettatore con domande ed enigmi che sembrano concatenati ma senza una reale soluzione.

L’artificiosità di alcune loro conversazioni, che avvengono quindi grazie alla presenza dello strumento tecnologico, fanno sembrare i due così lontani ma al tempo stesso così vicini. I loro sguardi si incontrano e comunicano senza proferire parola.

Significati nascosti

I personaggi si muovono come dei danzatori in questi ambienti curati nel dettaglio dal regista. La macchina da presa li segue silenziosamente con dei movimenti lenti, indiscreti e silenziosi, quasi come se si addentrasse sempre di più nei loro pensieri fino quasi a percepirli.

I continui giochi di riflessi dati dalla presenza di specchi, vetri e finestrini delle macchine, diventano degli escamotage narrativi che assumono un preciso valore semantico: la presenza continua di doppi ci fa capire la natura ambigua dei personaggi, la presenza di menzogne e sotterfugi nascosti. Ognuno ha un proprio riflesso e quindi una doppia natura con cui deve fare continuamente i conti. A quale delle due si deve credere?

Impossibili da non notare anche i tantissimi raccordi di movimento. Nel linguaggio cinematografico, questi prevedono che un movimento cominciato in un’inquadratura si concluda nell’inquadratura successiva. Si possono spesso utilizzare per rafforzare la l’importanza di un’azione o di un gesto, o semplicemente far notare allo spettatore la similarità di alcune scene. È un tipo di montaggio che aumenta il ritmo della narrazione ma che qui viene usato in un modo diverso da quello appena descritto. L’azione sì, si conclude nell’inquadratura successiva, ma in un contesto spaziale e temporale completamente diverso da quello precedente. Un esempio può essere: un uomo nella prima inquadratura chiude la portiera della macchina, in quella immediatamente successiva chiude lo sportello del frigorifero. Il movimento inizia in un fotogramma e finisce in quello appena dopo, ma in due situazioni differenti.

Doppio finale

La cosa che forse stupisce maggiormente di tutta la narrazione è la presenza di un doppio finale. A mezz’ora dalla fine della pellicola, infatti, il caso sembra ufficialmente risolto nel migliore dei modi, e i protagonisti sembrano tornare alla vita di tutti i giorni. Ma l’equilibrio ristabilito è latente e viene presto sconvolto da un secondo omicidio, con la stessa sospettata del primo, Seo-rae. In un loop che sembra ripetersi all’infinito, lo spettatore rimane spiazzato da questa rivelazione mettendo in dubbio tutte le certezze che aveva accumulato fino a quel momento con l’aiuto del detective.

Una sorta di donna che uccise due volte — sottile ma percepibile omaggio a Hitchcock — con forse uno dei finali più emozionanti e tragici a livello visivo.

Decision to leave è una riflessione incisiva su cosa si intende per matrimonio e amore, per routine e passione. Grazie ad una struttura narrativa eccezionale come sempre, Park Chan-wook si conferma tra i registi più influenti della sua generazione. Il film è stato presentato in concorso al Festival di Cannes 2022.

 

 

 

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