Un antico maniero diventa scenario dello scambio emotivo e sensoriale di una madre affogata nei ricordi e una figlia professionalmente frustrata.
Tra i cineasti inglesi che suscitano più entusiasmo c’è sicuramente Joanna Hogg. Grazie al dittico di The Souvenir, fortemente autobiografico, la regista ha avuto modo di confermare non solo le sue doti di scrittura, ma anche la sua estrema sensibilità in tema di amore e relazioni. L’ultimo progetto però, The Eternal Daughter, tratta sì una tematica profondamente legata ai rapporti umani, ma in questo caso quello tra madre e figlia. Paragonabile ad una piece teatrale, il film riesce a condensare in soli 96 minuti l’essenza di ciò che la regista ha vissuto sulla propria pelle: raccontare il rapporto con la propria madre non dev’essere affatto facile, a maggior ragione se ci sono delle questioni irrisolte.
Il film è stato presentato all’ultima edizione del Festival di Venezia, prodotto dalla A24: terzo film in concorso per la major indipendente insieme a Pearl di Ti West e The Whale Darren Aronofsky.
Le tematiche
Non sempre ci si sente in diritto di parlare di qualcun altro, di mettere a nudo le emozioni di un’altra persona sul grande schermo rendendole fruibili a chiunque. Ma The Eternal Daughter non ha questa supponenza. Al contrario racconta una storia da un lato ricca di inquietudine, dall’altro perfettamente condivisibile da qualsiasi tipologia di pubblico.
Nel 2008 decisi di scrivere la sceneggiatura di un film che cogliesse il legame che ho con mia madre. Lei appartiene a una generazione di donne che teneva nascosti i sentimenti, aveva sperimentato la perdita senza sapere come trasformare il dolore, e a volte viveva tra rimpianti e sensi di colpa. Ho scoperto che il mio senso di colpa, legato a quello di mia madre, mi impediva di creare una storia simile. Due anni fa ho deciso di ambientarla in un hotel inquietante. I fantasmi possono intrecciarsi alle nostre emozioni più profonde.
Al confine tra thriller, horror e dramma, la storia che racconta Joanna Hogg spinge la sua percezione del passato raggiungendo il sovrannaturale trattando un tema molto familiare al cinema contemporaneo, ma che probabilmente non era ancora stato proposto con questa sensibilità. Le storie di fantasmi infatti rischiano spesso di risultare stereotipate soprattutto iconograficamente. Spettri maligni e spiriti ossessionati dalle persone rimaste in vita tormentano le anime dei loro cari fisicamente e psicologicamente. Qui invece ci si accorge solamente alla fine del film di ciò che realmente abbiamo visto. Rimettendo insieme tutti i pezzi si realizza quanto sia potente la nostra mente, capace di farci immaginare — attraverso i nostri ricordi — scenari vividi e commoventi.
I ricordi
Interessante considerare come l’intero personaggio di Rosalind (la madre) viva grazie ai ricordi della figlia Julie. Senza di quelli la sua essenza non avrebbe motivo di esistere. Julie si aggrappa a tutto pur di estrapolare qualcosa dalla sua mente che la aiuti a raggiungere il suo obiettivo. Una volta che abbiamo capito la vera dinamica della storia, tutto ha più senso. I suoi comportamenti ma non solo, anche quelli della scontrosa receptionist, che sembra quasi dare della pazza alla povera donna.
Il confine tra reale e finzione diviene sottile fino quasi a scomparire. Rosalind sospesa nel tempo, Julie irrequieta e straziata. Due donne che vengono sopraffatte dai ricordi in due modi completamente diversi, ma al contempo sembrano influenzarsi vicendevolmente. Una storia di fantasmi sì, ma che cerca in qualche modo di portare a galla i rancori e le parole non dette. La madre non è una presenza maligna, al contrario sembra vegliare su Julie senza però riuscire a liberarla dalle catene che la trattengono in un passato che non esiste più.
Paesaggio visivo e sonoro
Un maniero immerso nella fitta nebbia, una receptionist particolarmente scontrosa, nessun altro ospite ad alloggiare insieme a Julie e Rosalind. La figlia vorrebbe scrivere un film che raccontasse del rapporto con la madre, ma nonostante gli innumerevoli sforzi, l’agognata ispirazione non sembra arrivare. Inutili anche le registrazioni che la donna si appresta a fare nei momenti in cui la madre — presa dalla forte nostalgia — dà voce ai suoi ricordi. Due anime che vagano tra i corridoi bui e solitari di questa immensa dimora, che anni prima era la residenza della vecchia madre.
La scenografia assume le sembianze di un personaggio della storia: la sua grandezza, il suo silenzio e talvolta la sua inquietudine sono specchio delle emozioni della giovane donna. Impegnata a rendere il soggiorno della madre piacevole, si aggira per le stanze in maniera circospetta, quasi come se percepisse che qualcosa non va. L’arredamento e lo stile sembrano essersi congelati a decenni prima, aumentando il senso di inadeguatezza e straniamento della figlia.
I lunghi silenzi punteggiati da rumori sinistri, alternati a momenti di dialogo tra le due protagoniste, creano un paesaggio sonoro inconsueto ma che restituisce perfettamente le reciproca inettitudine.
Il metodo di scrittura
Joanna, quando realizza i suoi film, non scrive una vera e propria sceneggiatura, ma si affida all’improvvisazione dei suoi attori. Anche per The Eternal Daughter era stata solo abbozzata la trama, ma grazie alla grande connessione con Tilda Swinton — che interpreta entrambi i ruoli femminili — si è riusciti a creare dei dialoghi profondamente intimi ed efficaci senza risultare insistenti o pedanti.
È stata davvero una grande sfida riuscire a girare il film in ordine cronologico non avendo una sceneggiatura programmata. Tuttavia l’idea di Tilda di incarnare entrambi i personaggi ha reso molto più fluida la realizzazione, perché era come se lei dialogasse con se stessa. Allo stesso tempo questo modo di lavorare ci ha dato molta più libertà di interpretare e sviluppare i diversi personaggi e la storia stessa.
Il divario incolmabile tra i due personaggi diviene percepibile in modo sempre più consistente, ma non solo per la differenza d’età o l’appartenenza a generazioni diverse. Una madre fortemente legata al passato, una figlia che non riesce ad andare avanti ed affrontare la morte. Quella di Rosalind diventa una presenza schiacciante e logorante. L’incapacità della figlia di riuscire a mettere in scena il loro rapporto diviene un’ossessione.
L’obiettivo catartico di Julie troverà mai la sua risoluzione?