“Cosa rimarrà tra dieci anni?”. Questa domanda è stata al centro di una famosa intervista cult dell’ultimo periodo e fornisce un importante spunto di riflessione sulla musica attuale. Con questo articolo non andremo a rispondere direttamente al quesito, ma andremo a indagare i motivi che l’hanno reso sempre più frequente.
Tanta, troppa musica
Ogni venerdì assistiamo a un numero esorbitante di nuove pubblicazioni, a tal punto che, arrivati a quello successivo, tutto ciò che c’era prima risulta obsoleto. Questo meccanismo va a creare un vero e proprio effetto “usa e getta” e gli artisti sono così costretti a pubblicare ogni settimana nuova musica per poter rimanere nelle orecchie degli ascoltatori. Vedere per credere.
Non è un caso che molti di essi abbiano aspettato una sola settimana per pubblicare la versione deluxe dei propri progetti negli ultimi 2 anni. Tra questi, vi sono anche artisti di fama mondiale come Justin Bieber e Machine Gun Kelly, rispettivamente con Justice (Triple Chucks Deluxe) e Tickets To My Downfall (SOLD OUT Deluxe), usciti il venerdì successivo alla pubblicazione dell’album.
In ultimo, la star mondiale Post Malone, che tra la pubblicazione di Twelve Carat Toothache e Twelve Carat Toothache (Deluxe) ha aspettato solamente 4 giorni.
Streaming e on demand
Sappiamo tutti quanto il fenomeno dello streaming abbia avuto un impatto dirompente negli ultimi 15 anni nell’industria musicale. Ed è proprio lo streaming che, tramite la facilità di servire musica attraverso un click, ha reso l’esperienza d’ascolto molto più superficiale ed effimera.
Gli album non si ascoltano più dall’inizio alla fine e le playlist, proposte anche dai servizi di streaming stesso, regnano sovrane nelle orecchie dell’ascoltatore. Prendendo in prestito il termine binge-watching, utilizzato per descrivere il consumo rapido e smodato di film e serie TV sulle piattaforme di streaming, possiamo parlare di binge-listening.
La corsa alle classifiche
Le piattaforme streaming hanno dato ancor più rilevanza alle classifiche, creando delle top50 per la maggior parte dei paesi nel mondo, alimentando la corsa al primo posto. Il risultato è la ricerca e la creazione di musica che piaccia a tutti e che in un modo o nell’altro va a snaturare l’artista e la sua visione. Chi punta tutto sulla hit estiva, che sistematicamente verrà sostituita da quella per l’estate successiva, chi sul reggaeton e chi sul brano dance, tutti con una matrice unica e chiara: la vetta della top50. Anche qui, vedere per credere.
I social
In questo marasma va ad aggiungersi tutto l’ecosistema dei social, in particolare TikTok, dove la musica diventa il sottofondo per balletti o sketch. Ne avevamo già parlato qui qualche tempo fa.
Gli artisti stessi spingono i fan a portare in tendenza i propri brani su TikTok, e alle volte diventano loro stessi dei TikToker part-time. Nell’industria musicale americana è scoppiata una polemica proprio sul malcontento di alcuni cantanti “costretti” dalle proprie etichette a essere molto presenti sulla piattaforma social cinese (trovi qui un articolo a riguardo).
È proprio questo il grande problema della musica nell’era dei social: viene relegata a sottofondo e contorno di altro.
Il ruolo dell’ascoltare
Ma l’ascoltatore è vittima o complice di questo processo? Parlare di un ascoltatore totalmente vittima dei “potenti” andrebbe a sminuire il ruolo fondamentale del pubblico nel successo di un brano e di un artista e l’autodeterminazione e capacità di giudizio dello stesso.
Quindi? Il fruitore di musica va a configurarsi come complice di questo meccanismo “usa e getta”. O, nella visione più pessimistica possibile, la musica “usa e getta” è quella che rispecchia più fedelmente il pubblico generalista, vittima del consumismo e bisognosa di sempre più contenuti e intrattenimento.
Basta scorrere i commenti e i tweet di persone che richiedono agli artisti, anche a distanza di soli pochi mesi dalla pubblicazione di un progetto, quando sarà la prossima pubblicazione.
In conclusione, cosa possiamo aspettarci tra dieci anni? Posto che la musica nasca come intrattenimento, tutti questi fattori hanno probabilmente estremizzato il concetto, rendendolo un prodotto puramente da commercializzare e non arte.
Gli artisti hanno ormai interiorizzato il dovere di creare prodotti facilmente commercializzabili, spinti dalla richiesta spasmodica di nuova musica settimanale da parte del pubblico. Il pubblico, dal canto suo, è sempre più interessato a musica di contorno e che non richiede impegno all’ascolto, prendendo in prestito una barra di Marracash.
E voi cosa pensate?
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