Quanto è bella questa seconda vita attoriale di Adam Sandler?
Partiamo da questa considerazione.
Dopo la svolta avuta con il successo di Diamanti grezzi, l’attore made in New York si è rilanciato sui grandi schermi in una nuova veste drammatica che piace e convince. Hustle, seppur meno impegnato, continua questa sua nuova parabola e si intreccia con l’altra grande passione di Sandler, il basket. Basterà questo per permettere alla pellicola di spiccare nell’infinito panorama del genere sportivo così tanto, forse troppo, colpevole di portare in sala una marea di opere Rocky-like?
Dal campetto al palazzetto
La storia di Hustle parte dagli uffici dirigenziali della franchigia NBA dei Philadelphia 76ers. Stanley Sugarman è uno dei migliori scout in circolazione e il suo compito è girare il mondo alla ricerca dei talenti più limpidi da portare in America per tentare l’assalto al Larry O’Brien Trophy. Il suo sogno tuttavia è sedere in panchina per poter assaggiare il parquet da vicino e stare più vicino alla sua famiglia. La promessa che gli è stata fatta dal neopresidente dei 76ers è chiara: “portami il pezzo mancante per vincere e avrai il posto che desideri”. Più facile a dirsi che a farsi. Eppure la casualità lo porta a scontrarsi in terra spagnola con la gemma rara di cui è alla ricerca. Il suo nome è Bo Cruz.
Bo è un ragazzo di strada con una figlia, troppe responsabilità sulle spalle e un talento mostruoso per la pallacanestro. Durante un partitella in un campetto di periferia le sue giocate offensive e difensive rubano gli occhi di Sugarman che lo insegue per convincerlo a seguirlo negli Stati Uniti. Da qui la storia di Cruz “il missile” vivrà di alti e bassi, questi ultimi non tanto dovuti alla cifra tecnica del giocatore, quanto alla sua sensibilità che si scontra duramente con le provocazioni degli avversari e le pressioni di un sistema che vede in lui un fenomeno alla prima tripla messa a bersaglio e un mediocre alla prima palla persa. La redenzione e la gloria sono però a portata delle sue mani e Sugarman lo sa, c’è solo da lavorare e sudare per raggiungere l’obiettivo.
La fiction sportiva fatta bene
Si, Hustle è l’ennesimo clone sportivo di Rocky. Sarebbe impossibile non notare le analogie tra questa e centinaia di altre storie simili che abbiamo già visto sul grande schermo. Allora perché dovremmo guardare Hustle? La risposta è semplice. Perché riesce nel suo compito, che è intrattenere e trasmettere quelle vibrazioni motivazionali tipiche del genere a cui fa riferimento, cosa che non tutti i Rocky-like sono riusciti a fare nel corso degli anni.
Gli amanti del basket a stelle e strisce finalmente hanno la possibilità di assistere ad una narrazione fiction che riesce davvero a far percepire allo spettatore l’atmosfera del mondo NBA. La dinamica del Draft è mostrata dalla fase uno dello scouting fino al momento cruciale della scelta, con Bo Cruz impegnato ad affrontare tutto ciò che c’è in mezzo, come partite di esibizione e combine. Il lungometraggio è poi pieno di cameo delle superstar della lega, da Lowry a Middleton, da Young a Tobias Harris. Piccole comparsate che arricchiscono l’esperienza visiva degli appassionati e trasmettono una sensazione di realismo dell’ambiente dentro al quale si muovono i protagonisti. Un ambiente che passa rapidamente dai campetti d’asfalto ai palazzetti delle franchigie più titolate.
Il fruscio della retina e un copione tra le mani
In un famoso segmento comico del late show di Jimmy Kimmel di qualche anno fa, Gary Oldman senza mezzi termini gridava la sua rabbia e indignazione verso le star della NBA che sfruttano la propria fama per recitare in film per i quali non hanno alcun tipo di competenza attoriale (tutto questo il buon Gary lo ha detto in maniera molto più colorita di così).
Eppure Hustle forse arriva a smentirlo. Juancho Hernangomez, l’interprete di Bo Cruz, è un giocatore spagnolo professionista che milita in NBA da diversi anni ed è alla prima esperienza davanti alla cinepresa, ma il ruolo che è stato chiamato ad interpretare calza alla perfezione con il suo carattere e la sua espressività. Non regala lampi di interpretazione da premio Oscar, ma nemmeno si limita a ripetere le battute del copione come una marionetta. Si nota l’impegno nel cercare di rendere al meglio in questa sua prima avventura sul grande schermo e la sceneggiatura lo aiuta disegnando su di lui un personaggio tanto introverso quanto talentuoso.
Tutte le altre star della lega, come detto, si limitano a delle piccole comparsate, fatta eccezione per Anthony “Antman” Edwards, guardia dei Minnesota Timberwolves, che veste i panni di Kermit Wilts, il rivale numero uno di Bo. Con il suo trash talk Kermit entra nella testa di Cruz e nel corso della storia gli infligge più di una sonora lezione sul campo. Edwards si adatta perfettamente al ruolo dell’antipatico e del provocatore e regala ad Hustle il piccolo antagonista di cui aveva bisogno.
Con le sue riprese dinamiche ed una trama lineare ma non noiosa, Hustle ha tutto ciò che serve per non cadere nel dimenticatoio degli archivi dei film sul basket, ma per imporsi nella memoria degli appassionati come una pellicola di assoluta godibilità.