Concorsi truccati, cattedre assegnate tramite sottili giochi di potere e mancanza di colpevolezza. È questo il quadro che emerso a seguito dell’accusa elaborata dai pm di Bari nel 2011 a carico di trentotto docenti di diversi atenei d’Italia. Un sistema collaudato che più che un’eccezione sembra essere la quotidianità di molte università della Penisola, facendone un regno che sembra impenetrabile persino alla magistratura.
L’antico problema dei concorsi universitari
Nel 2011 i pm di Bari avevano mosso un’accusa di corruzione, associazione a delinquere, abuso d’ufficio e falso contro trentotto docenti di numerosi atenei della Penisola (tra questi spunta anche il nome di Anna Maria Bernini, attuale Ministra dell’Università e della ricerca). Nel 2014, a seguito della scoperta di una presunta connessione con un concorso dell’Università Bicocca che si era tenuto nel 2008, il caso era passato nelle mani della Procura di Milano. Nel 2020, dopo approfondite analisi, la Procura di Milano ha colto un «sistema generale» di cooptazione e favoritismi che ricade nell’incerto ma non nell’illecito.
Niente di sbagliato nella logica del «do ut des» che governa il mondo accademico, anche perché è un principio noto e condiviso «che le scuole allevano e presentano il loro allievi, facendoli conoscere per ottenere un’affermazione accademica», ha detto il pm Luca Poniz. Tuttavia, anche Poniz, di fronte alla situazione, ha colto l’occasione per invitare il legislatore ad adattare le regole normative alla prassi. Quello che si nota, quindi, è un sistema di favoritismi, cooptazione e scambio che, a prescindere da come lo si possa giudicare, non è reato ed è rimasto intoccato perfino dalla magistratura che, nell’impossibilità di condannarlo, lo ha indirettamente legittimato.
Tutti sanno
Quello dei concorsi universitari è un problema più radicato di quanto si pensi all’interno delle università italiane, perché ad assecondarlo non sono solo le commissioni (che vengono scelte secondo criteri molto precisi e di certo non casuali), ma l’intero mondo accademico. Nel 2020 Oreste Gallo, professore ordinario all’Università di Firenze, ha pubblicato sulla rivista «The Lancet» uno studio in cui stimava che il 94% dei concorsi viene vinto da un membro interno all’amministrazione che lo bandisce e che nel 62% dei casi si presenta un solo candidato, cioè il predestinato. Il fatto che l’articolo sia stato scritto proprio da Gallo è abbastanza significativo perché lui nel 2017, dopo essersi presentato alla Procura fiorentina anticipando i nomi dei vincitori di alcuni concorsi per professori ordinari, ha visto ulteriormente peggiorare la sua situazione. E lo stesso è accaduto a molti altri che hanno cercato di attaccare questo sistema intoccabile, dove il merito si annulla di fronte a una gerarchia prestabilita.
Giambattista Sciré, portavoce dell’associazione Trasparenza e Merito e vittima di un’estromissione da un concorso presso la facoltà di Storia a Catania, ha accostato il mondo accademico a quei sistemi di omertà e scambio che si riscontrano nei contesti mafiosi.
L’università cade a pezzi: il crollo dell’Aula Magna
Un altro episodio utile a comprendere ciò di cui si vuole parlare risale all’ottobre del 2022, quando l’Aula Magna dell’Università di Cagliari è crollata. A crollare è stata una parte della struttura che ospitava in passato la facoltà di Geologia e che da qualche anno a questa parte era utilizzata come laboratorio di lingue straniere. Fino alle 20 di quella sera i corridoi dell’università erano frequentati da studenti, ma il fato ha voluto che il disastro avvenisse attorno alle 21:50, quando l’aula si era svuotata.
Nessun ferito e nessun morto, ma resta solo una domanda: com’è possibile che sia accaduto un fatto così grave? Fin dall’inizio la procura di Cagliari ha proceduto ad avviare un’indagine per crollo colposo. Tra i primi quattro colpevoli sono emersi i nomi del rettore Francesco Mola e del direttore generale di Ateneo, Aldo Urro. Pochi giorni dopo a questi primi nomi si sono aggiunti anche quelli di altri esponenti di rilievo dell’ateneo, per un totale di undici indagati. La prima ipotesi emersa qualche settimana dopo ha additato come causa del crollo i mancati controlli sul solaio seguiti in occasione degli interventi effettuati nel 2012 e nel 2019. Poiché all’epoca dei fatti sia il rettore che il direttore generale dell’ateneo non ricoprivano i rispettivi ruoli, l’esperta delle Procura avrebbe individuato come unici responsabili i tecnici che seguirono le operazioni. Tra questi l’ingegnere Antonio Pillai e il geometra Bruno Concas, direttore dei lavori seguiti nel 2012 e nel 2019.
Nonostante ci fossero state diverse segnalazioni e nonostante alcuni studenti abbiano riportato di aver sentito dei rumori preoccupanti provenire dall’aula crollata, sembra che niente si sia potuto (o voluto?) fare per prevenire il fatto. Possibile che non ci siano stati dei controlli in passato che abbiano fatto emergere il problema?
Di chi è la colpa?
La vicenda dell’aula Magna pone molti interrogativi perché le responsabilità del crollo sono state immediatamente rinviate a dei membri esterni all’ateneo. Com’è possibile che nessuno, tra coloro che possiedono o hanno posseduto un ruolo di spicco nell’università, abbia avuto alcuna responsabilità per il fatto accaduto? È probabile che l’evento, non avendo provocato danni a persone, sia stato percepito come fatto di gravità relativamente scarsa, sia da parte dei media italiani che da parte delle istituzioni. Tuttavia, poiché questo non è un caso isolato nel panorama universitario italiano e da inizio anno scolastico si sono verificati ben undici crolli in diverse zone della Penisola, sarebbe opportuno guardare alla questione dell’edilizia scolastica con un occhio di riguardo e far sì che gli atenei di tutta Italia siano dei luoghi sicuri per accogliere gli studenti.
Riprendendo questi due fatti specifici, che sono stati citati per fare da esempio a problematiche di ben più ampio respiro, si può capire come il mondo accademico versi in una condizione di criticità. Appellarsi alla giustizia, inoltre, non sempre si rivela lo strumento più immediato e utile per risolvere il problema. La magistratura ha le armi smussate di fronte a questo sistema perché nel maggior parte dei casi le indagini vengono bloccate da dentro e chi denuncia finisce isolato dal resto dell’Università, ponendo un blocco definitivo a qualsiasi possibilità di carriera futura. Denunciare, quindi, non è semplice e qualora si abbia il coraggio di farlo appellarsi alla giustizia non è una garanzia di risoluzione.