Cinema a spicchi: “The Redeem Team”, retroscena di una rivalsa

Il mondo delle serie tv e dei film dedicati al panorama della pallacanestro, in particolar modo quella statunitense, sta vivendo un’epoca d’oro senza precedenti. Nel corso degli ultimi anni si susseguono senza sosta le uscite di documentari, biopic e prodotti di fiction con protagonisti momenti salienti o personaggi iconici della lega di basket professionistico più famosa al mondo, l’NBA. L’ultimo di questa lunga serie è The Redeem Team, un documentario uscito ad ottobre 2022 su Netflix, che vede tra i propri produttori stelle della palla a spicchi come LeBron James o Dwyane Wade. Al centro della pellicola la storia della squadra olimpica USA che conquistò l’oro alle olimpiadi di Pechino del 2008, riscattando le cocenti delusioni sportive incassate dalla rappresentativa di basket a stelle e strisce nelle precedenti competizioni olimpiche e mondiali.

No more Dream Team

Gli Stati Uniti vivono ogni competizione sportiva come una guerra per la supremazia. Questo significa tante aspettative, tanti occhi puntati sulle proprie rappresentative e tanta attenzione mediatica. La nazionale americana di basket vive le proprie competizioni internazionali costantemente al centro di questo uragano di hype, portando sulle spalle un soprannome che ormai è quasi una condanna. “Dream Team”. La squadra dei sogni e delle meraviglie. La squadra che da decenni può vantare i migliori giocatori del mondo tutti nello stesso quintetto pronti a cannibalizzare ogni mondiale o olimpiade che si trovi davanti. In tanti direbbero grazie a Michael Jordan e Magic Johnson per aver permesso al team USA di raggiungere un tale status, ma tanti altri si renderebbero immediatamente conto del carico di responsabilità che tutto ciò comporta sui giocatori che prendono parte ad ogni campagna sportiva.

Questa spada di Damocle iniziò a perdere il suo punto di equilibrio con la sconfitta per mano della Jugoslavia nei mondiali di basket del 2002 ad Indianapolis. L’opinione pubblica iniziò a chiedersi perchè molte stelle della NBA avessero deciso di prendere le distanze dalle competizioni con la nazionale, ma ancora la preoccupazione era sotto il livello di allerta. Il dramma popolare esplose con la sconfitta alle olimpiadi dei 2004 ad Atene per mano dell’Argentina. Una partita che sembrava dover essere poca storia per il Dream Team si trasformò ben presto in uno psicodramma che portò il sistema basket USA a dover ricominciare da capo un nuovo tipo di progetto per poter tornare a vincere. Servivano nuove stelle e accanto a loro giocatori affermati capaci di mostrare ancora una volta i muscoli in campo internazionale, capaci di affermare ancora una volta chi è il padrone assoluto della palla a spicchi. Ecco nascere “The Redeem Team”.

Cadere per rialzarsi

Il Team della redenzione, seppur partendo con un passo falso ai mondiali di basket del 2006 in Giappone, confermerà l’inizio di una nuova dinastia vincente centrando l’oro alle tanto agognate olimpiadi del 2008 a Pechino e riscattando in tal modo il dolore sportivo statunitense degli anni precedenti. Questa è la storia di The Redeem Team, una storia di rivincita dai mille volti, tra i quali emergono quelli di Dwayne Wade, Carmelo Anthony e LeBron James, ai tempi tre giovani promesse della lega più spettacolare al mondo, che spiccano anche tra i nomi dietro la produzione di questo documentario.

Quest’ultimo dettaglio non è da sottovalutare per quanto riguarda l’aspetto critico del prodotto Netflix in questione. A livello di costruzione e ritmo, The Redeem Team si attesta come un’opera assolutamente godibile che farà gioire svariati appassionati e che avrà senza dubbio il potere di affascinare anche i più scettici riguardo il genere. Se ciò che si cerca è una cronaca sportiva di alto profilo, in grado di raccontare una storia dal forte impatto adrenalinico ed emotivo, avete puntato i fari verso l’obiettivo giusto. La nota sensibile arriva se si indugia sul tono della narrazione.

La trappola della retorica

L’oggettività non è propriamente il marchio distintivo di questo genere di produzioni. Appare inevitabile un certo tasso di ingerenza artistica da parte di personaggi dietro le quinte dall’ego di un certo peso come può essere un tale di nome LeBron James. Questo crea alcuni focus all’interno dell’incedere della storia su determinati giocatori o determinati momenti della loro carriera che palesemente si tingono di autoreferenzialità ed autocelebrazione.

Allo stesso modo i valori politici e patriottici degli Stati Uniti vivono attimi di eccessiva esaltazione quando la palla passa tra le mani del leggendario Coach K, Mike Krzyzewski, che guidò il Redeem Team verso la vittoria e del quale vengono incensati, anche in maniera troppo plateale, i metodi di ispirazione dei giocatori dal colore fortemente militare. In una storia sportiva di questo genere, dedicare un’intera porzione dello sviluppo narrativo a discorsi di reduci di guerra usati per forgiare il senso di unità nazionale nel cuore dei membri del Team USA può risultare un’arma a doppio taglio.

Kobe

Ultima nota è l’attenzione prestata alla figura di Kobe Bryant. Leggenda dei Los Angeles Lakers e ferita ancora aperta nel cuore di ogni appassionato della palla a spicchi. The Redeem Team affronta la sua figura ed il suo ruolo nella squadra del 2008 con il rispetto dovuto e con il desiderio di mostrare ancora una volta quanto contasse per Kobe la volontà e la determinazione. Quella che ai suoi compagni inizialmente appariva come una ostinazione eccessiva nei confronti del gioco, ben presto diventa il vero motore della squadra della redenzione ed il primo mattone su cui costruire il glorioso e dorato futuro della nazionale di basket statunitense negli anni a venire.

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