All’interno del panorama letterario italiano del Novecento spiccano diversi nomi di autrici memorabili — Elsa Morante, Grazia Deledda, Alda Merini, Goliarda Sapienza, Amelia Rosselli, Sibilla Aleramo, Anna Maria Ortese, Alba de Céspedes — ma molte, troppe, sono state emarginate dal canone letterario tradizionale (e di conseguenza manualistico e scolastico). Tra queste vi è il nome di Rina Sara Virgillito, poetessa e traduttrice milanese ammirata da Montale e troppo a lungo dimenticata.
Cenni biografici
Rina Sara Virgillito nasce a Milano il 29 settembre 1916. Il padre, Agatino Virgillito, era siciliano e originario di una famiglia di musicisti; la madre invece, Ida Conturri, era lucchese: la Toscana eserciterà sempre un grande fascino sulla giovane poetessa, che per tutta la vita vedrà in Firenze la città del cuore. La madre, non appesantendola con fatiche pratiche, le permette di dedicarsi completamente allo studio e alla poesia. Si laurea in Lettere classiche discutendo una tesi sulla Fedra di Seneca con Luigi Castiglioni, latinista e filologo classico, diventando prima professoressa di latino e greco in alcuni licei, e poi critica, intellettuale e poetessa. Quella di Rina Sara Virgillito era una personalità multiforme e cangiante: amava anche il disegno, suonare il pianoforte e dipingere.
Le opere
Conosce Eugenio Montale, a cui dedica un saggio (La luce di Montale: per una rilettura della poesia montaliana) scritto nel 1946, ma pubblicato solo nel 1990.
Diventa docente a Bergamo, dove incontra Carlo Bo, che scriverà nel 1954 l’introduzione alla sua prima raccolta poetica, I giorni del sole.
In seguito pubblica nel 1962 La conchiglia, nel 1976 I fiori del cardo, nel 1984 Nel grembo dell’attimo e Incarnazioni del fuoco nel 1991 e L’albero di luce nel 1994.
L’attività di traduttrice
Durante la sua carriera svolge anche l’attività di traduttrice, dall’inglese, dal francese, dal tedesco e anche dal greco. Traduce infatti Rainer Maria Rilke, Emily Dickinson, William Shakespeare, François Villon, e gli Epigrammi greci 1957), una libera scelta tratta dall’Antologia Palatina.
La traduzione come lavoro di elezione
All’interno delle sue poesie è possibile scovare le influenze dei poeti che Rina Sara Virgillito ha amato e spesso anche tradotto: infatti l’attività di traduzione segna profondamente lo sviluppo della sua poetica, che spesso si delinea come una voce che necessita di un rapporto di mediazione e colloquio costante con le voci degli scrittori che sceglie di interpretare, tradurre, e dunque amare. Il suo lavoro di traduzione si configura come un lavoro d’elezione: Virgillito si riconosce affine a queste voci, ne diventa la custode, e dietro ai commenti fatti ad altri autori si svela un commento fatto a se stessa e alla propria attività scrittoria. Per Rina Sara Virgillito, dunque, poesia e traduzione non sono due attività distinte, ma anzi profondamente legate. Sono due attività che corrono su due binari paralleli, che sono l’una il controcanto dell’altra.
L’introduzione ai sonetti di Elizabeth Barret Browning
Ad esempio, nell’introduzione italiana ai Sonnets from the Portuguese di Elizabeth Barret Browning Virgillito scrive:
“Così accade ai poeti: aspettano a volte anni, secoli magari, prima d’esser riconosciuti. Altre volte, invece, è l’osanna; ma poi viene un oblio direttamente proporzionale…”
Il destino di molti poeti è questo: non essere riconosciuti come tali, oppure essere inizialmente elogiati e poi dimenticati. È ciò che succede alla poetessa Browning, e alla stessa Rina Sara Virgillito. Emerge così la frustrazione e la delusione di non trovare una collocazione nel canone letterario novecentesco, di non essere lette, di non essere pubblicate.
L’incontro e l’amicizia con Eugenio Montale
Rina Sara Virgillito fu cara a molti, e divenne in particolare amica di Eugenio Montale, il suo poeta, il modello poetico a cui aspirare e da indagare con l’acume e la sensibilità che la caratterizzavano fin da giovane. Sul poeta ligure scrisse un saggio dal titolo fulminante, La luce di Montale. Virgillito era incantata dai sottili fili di luce che riusciva a intravedere intrecciati ai versi di Montale, carpendone così gli aspetti più nascosti e allo stesso tempo più importanti. Decise di spedire il saggio a Elio Vittorini, che, dopo esserne rimasto colpito, lo fece recapitare allo stesso Montale. Montale ringraziò la giovane poetessa per questa lettura innovativa e sensibile che aveva fatto dei suoi versi e della sua interiorità poetica. L’amicizia con Montale durò fino alla morte di lui. Infatti fu proprio Montale a spingerla a pubblicare nel 1954 la prima raccolta di poesie, I giorni del sole, arricchendo il volume con un piccolo ritratto a penna che il poeta ligure realizzò per l’autrice.
L’interesse della critica
Oltre a Mario Luzi, Vittorio Sereni e Claudio Magris, a lei si interessarono anche Carlo Bo e, naturalmente, Eugenio Montale.
Carlo Bo la definì “una poetessa compiuta nel suo mondo e costruita attraverso una stagione meditata di approssimazione critica”. Scrisse inoltre che Rina Sara Virgillito era “uno dei pochi veri poeti di quest’ultimo trentennio”, e disse che la sua poesia era “una prova di equilibrio fra ispirazione vorace e controllo critico”. In questo modo, la poetessa “tira le somme di questa lunga appassionata speculazione…nel giuoco fra volontà e sentimento..saldando in tal mondo l’intelligenza con il cuore”.
Montale invece la definì “una classicista, ma raramente scrive poesia neoclassica. Le sue figure hanno radici nel mito ma sono anche nutrite dalla sensibilità più viva del nostro tempo”.
Rina Sara Virgillito si pone dunque come una figura cangiante, saldamente ancorata alla contemporaneità eppure proveniente da un’antichità remota, di cui porta frammenti brillanti di nostalgia.
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