Per giorni interi le strade delle principali città cinesi sono state teatro di eventi inusuali e, per certi aspetti, incredibili. Dopo oltre due anni di emergenza dovuta alla pandemia di Covid-19, le debolezze della strategia “zero covid” imposta dal governo e la fragilità del sistema sanitario sono sull’orlo del precipizio. Di fronte all’ennesimo tentativo di bloccare parti del paese, i cittadini cinesi hanno manifestato il proprio malcontento e sono scesi in strada, organizzando manifestazioni e proteste di piazza.
Cosa c’è dietro tutto questo?
Mentre il resto del mondo inizia a imparare a dover convivere con il Covid e a elaborare delle strategie che consentano un proseguimento della vita quotidiana il più normale possibile, la Cina sembra bloccata in una sorta di “eterno 2020”. Se in un primo momento i provvedimenti messi in atto dal governo potevano essere efficaci, adesso, con l’evolversi della situazione e del virus, l’approccio brutale delle norme di precauzione ha portato i cittadini all’esasperazione. Le lunghe chiusure hanno colpito diverse zone del Paese senza alcuna discriminazione, spesso andando a incidere anche su luoghi cruciali per l’economia dell’intero sistema. Le previsioni di crescita, infatti, sono state inevitabilmente riviste al ribasso. Le scelte del governo, però, non hanno avuto una ricaduta solo sull’economia, ma anche sulla qualità di vita dei propri cittadini, sia da un punto di vista medico che da un punto di vista sociale. Spesso, infatti, molti si sono ritrovati a non avere cibo a sufficienza per poter far fronte alla chiusura, oppure si sono trovati a dover far fronte a delle condizioni lavorative esasperanti.
Già in primavera, il lockdown a cui erano stati sottoposti i venticinque milioni di abitanti di Shanghai aveva scatenato la collera della popolazione. Alla vigilia del ventesimo congresso un manifestante solitario, su un ponte molto frequentato di Pechino, aveva piantato una bandiera contro l’isolamento. Contemporaneamente, sui social erano iniziate a circolare immagini strazianti di positivi che, in pessime condizioni mediche, non erano riusciti a sconfiggere la malattia. Le proteste di questo autunno, quindi, rappresentano l’apice di un malcontento che già da tempo aleggiava tra la popolazione.
Cosa c’è di diverso questa volta?
Le città cinesi non sono nuove a manifestazioni di piazza. In diversi momenti dall’inizio del millennio si sono verificati degli episodi di protesta, che hanno tenuto in subbuglio alcune città del paese. Tuttavia, ciò che differenzia questa nuova ondata di manifestazioni dalle precedenti è la presa che sta avendo tra la popolazione. Una partecipazione così non la si vedeva dal Movimento democratico di piazza Tiananmen del 1989. Se allora si manifestava per una maggiore apertura democratica del governo, oggi si protesta per il soffocamento della libertà personale dovuto alla strategia “zero Covid”.
La causa scatenante delle proteste è stato un incendio divampato in una palazzina nella città di Urumqui, la capitale dello Xinjinag. L’evento ha portato alla morte di dieci persone e ha mostrato come le barriere fisiche predisposte intorno all’edificio come protezione anti-covid abbiano impedito ai vigili del fuoco di svolgere il loro lavoro nelle adeguate condizioni. A prescindere dall’incendio, è molto probabile che il dissenso a lungo soffocato avrebbe trovato ugualmente espressione. È così che queste ondate di protesta sono state denominate come la “rivoluzione dei fogli bianchi”, per via dei fogli bianchi che i cittadini cinesi usano per simboleggiare l’assenza di libertà di parola nel paese.
Come sono state accolte le proteste?
Se in un primo momento la risposta del governo è sembrata pacifica, con il passare dei giorni e con l’incrementarsi della partecipazione, sono stati messe in atto delle tattiche di sorveglianza più specifica e in alcuni casi le autorità di polizia hanno risposto con la forza.
Nell’impossibilità di tornare indietro, però, il governo cinese ha lasciato intravedere una maggiore apertura e ha abolito alcune delle misure di sicurezza. Annunciando un grosso allentamento delle strategie di prevenzione del virus, il paese si accinge a superare la strategia “zero Covid” e a dare inizio a un’epoca di convivenza con il virus.
Anche il resto del mondo ha reagito di fronte a questo spettacolo inusuale. Poiché alle motivazioni elencate in precedenza si è unita anche la volontà di indurre dei cambiamenti a livello politico, rivolgendosi direttamente al Partito e a Xi Jinping, il mondo occidentale non è rimasto e in silenzio e ha espresso la sua opinione riguardo a quanto stava accadendo. Il Regno Unito, il Canada, l’Australia e gli Stati Uniti hanno immediatamente reso nota la solidarietà nei confronti dei manifestanti, ergendosi in difesa del diritto di diritto di manifestare liberamente. James Claverly, il Segretario di Stato per gli affari esteri del Regno Unito, ha affermato che il governo cinese «dovrebbe ascoltare le voci dei propri cittadini… quando questi non sono soddisfatti delle restrizioni che gli sono state imposte» .
Sulle proteste cinesi l’Occidente ha un doppio standard?
La reazione dell’Occidente è stata compatta e non ha lasciato intravedere dubbi su che parte sostenere in questo scontro. Quello che però emerge a seguito di queste dinamiche è una grande diversità di atteggiamento nei confronti dei manifestanti e del tipo di istanza che stavano portando con sé. Nel 2020 e nel 2021, durante i mesi di maggiore chiusura, chi osava protestare contro il lockdown o contro i provvedimenti presi dai governi europei per prevenire la diffusione del virus, veniva schernito e fortemente criticato. Gli appelli contro i manifestanti erano all’ordine del giorno e suscitavano una reazione compatta (almeno in apparenza) da gran parte le forze politiche. Erano pochi coloro che sfidavano l’opinione pubblica e, spesso incuranti di quelle che erano le conseguenze reali dei propri gesti, si univano alle manifestazioni e alle opinioni di queste critiche frange di pensiero. Oggi, invece, quando queste dinamiche accadano in un paese come la Cina, la solidarietà occidentale ricade immediatamente sui manifestanti. Il tutto deve essere giudicato tenendo conto del fatto che, ad oggi, la Cina non sembra essere nelle condizioni di poter affrontare una convivenza pacifica con il virus. Solo nelle ultime due settimane i contagi sono aumentati notevolmente e il sistema sanitario è prossimo al vacillo. Complice anche la scarsa protezione indotta dai vaccini cinesi.
Ma quindi come si potrebbe spiegare questo cambio di atteggiamento? La verità è che la strategia di “zero Covid” è stato un marchio di fabbrica di Xi Jinping e, quindi, sostenere i manifestanti significa prendersela in modo indiretto con la leadership cinese.