Così come nel cinema, nel teatro, nella letteratura e in tutte le altre tipologie di arte, diversi artisti italiani hanno deciso di trattare il tema della mafia nelle loro canzoni, talvolta descrivendo e romanzando, talvolta attaccando apertamente: in entrambi i casi, denunciando il fenomeno in quanto grave pericolo da debellare, non solo nel nostro paese, ma in tutti quei posti in cui per molti è già una realtà quotidiana.
Il tema della mafia nel cantautorato italiano
Nu bell cafè pe’ don Raffaè
Uno dei primi cantautori italiani a parlare della mafia nelle sue canzoni è stato Fabrizio de André nel 1990 con la celeberrima Don Raffaè. La canzone ha due protagonisti: Pasquale Cafiero, brigadiere del carcere di Poggioreale, e Raffaele Cutolo, boss della Camorra chiamato anche “don Raffaè”, rinchiuso nella struttura nel 1971.
Il ritornello si rifà a quello della canzone ‘O cafè di Domenico Modugno e viene ingegnosamente alternato alle strofe in cui Cafiero, corrotto e sottomesso al boss camorrista, gli offre servigi esclusivi («vi faccio la barba o la fate da sé») e gli chiede diversi favori personali, come il prestito del «cappotto cammello», utilizzato durante il maxi processo, e un lavoro per suo fratello «che da quindici anni sta disoccupato».
Da notare il crescendo di complimenti, elogi e lusinghe nei confronti di don Raffaè, ma soprattutto di formalità utilizzata nelle richieste da parte del brigadiere, il quale prima gli chiede un aiuto («non chiedo la grazia pe’ me»), nella strofa successiva lo prega («pe’ ste nozze vi prego Eccellenza mi prestasse pe’ fare presenza»), fino ad arrivare all’ultima strofa, in cui addirittura lo implora («voi che date conforto e lavoro, Eminenza vi bacio v’imploro»).
Prima pagina venti notizie
ventuno ingiustizie e lo Stato che fa
si costerna, s’indigna, s’impegna
poi getta la spugna con gran dignità
Altro passaggio degno di nota si trova nella quinta strofa, dove De Andrè attacca direttamente lo Stato, facendo sue le parole di Spadolini, proferite quando si precipitò a Palermo in occasione di una delle tante stragi mafiose, probabilmente quella del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa («Sono costernato, sono indignato e mi impegno […]»). L’ultimo verso è invece la rappresentazione del sentimento dei cittadini, i quali, di fronte a uno Stato corrotto e che non riesce nemmeno a garantire un lavoro, vedono in criminali come Raffaele Cutolo un vero e proprio salvatore.
Povera patria: cambierà?
Anche Franco Battiato, altro pilastro della storia della musica italiana, ha deciso di affrontare questo tema delicato nell’album del 1991 Come un cammello in una grondaia, più precisamente nella prima traccia del disco, Povera patria. Battiato denuncia la pervasività della mafia nella società, presente sia nelle piccole realtà paesane sia nei gradini più alti dello Stato.
Povera patria
schiacciata dagli abusi del potere
di gente infame, che non sa cos’è il pudore
si credono potenti e gli va bene quello che fanno
e tutto gli appartiene
Nella canzone emerge l’indignazione del cantautore per la politica corrotta e lo sguardo di distanza dal suo concetto di governo. È per mano de «i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni» che «questo paese [viene] devastato dal dolore», davanti agli occhi indifferenti dei cittadini.
A metà canzone appare un lieve barlume di speranza («Non cambierà, non cambierà, no cambierà, forse cambierà»), che verso la fine del brano si fa leggermente più forte («Non cambierà, non cambierà, sì che cambierà, vedrai che cambierà»). L’ultima strofa è un grido di speranza nel futuro e nella vittoria dell’umanità: è un appello rivolto a tutti gli italiani, in cui chiede loro di impegnarsi a combattere affinché «non si parli più di dittature» e «il mondo torni a quote più normali».
Il Cuore dei ragazzi pronto a creare un’altra Italia
A poco meno di ventisei anni, Lorenzo Cherubini, allora rapper emergente, pubblica nel 1992 il brano Cuore – L’altra Italia, composto di getto e rilasciato a pochi giorni dall’uccisione del magistrato Giovanni Falcone nella strage di Capaci. Il cantante, ancora giovane all’epoca dei fatti, si cimenta in una canzone rap narrata dal punto di vista dei ragazzi, in migliaia presenti al funerale del giudice Falcone. Jovanotti cerca di far sentire la sua voce e quella di tanti altri giovani italiani, turbati e sconvolti, ma ostinati e resistenti.
I ragazzi son stanchi dei boss al potere;
i ragazzi non possono stare a vedere,
la terra sulla quale crescerà il loro frutto bruciato
ed ad ogni loro ideale distrutto.
I ragazzi denunciano chiunque acconsenta
col proprio silenzio un’azione violenta.
La prima accusa è rivolta al connubio Stato-mafia, a coloro che dovrebbero governare il Paese e invece cedono di fronte alla seduzione della ricchezza e dell’agio. La seconda accusa è indirizzata invece all’omertà, zizzania che infesta una società già contaminata.
I ragazzi diffidano di ogni proposta
non stanno cercando nessuna risposta,
ma fatti, giustizia, rigore morale
da parte di chi calza questo stivale.
I giovani sono ancora in grado di guardare con ottimismo al futuro. Hanno però bisogno di fatti, di concretezza, di valori ed esempi da seguire per combattere la piaga della mafia, perché «l’Italia è anche un’altra, la gente lo grida: i ragazzi son pronti per vincere la sfida.»
Minchia signor tenente!
Il secondo posto nella classifica finale del Festival di Sanremo del 1994 e il Premio della Critica li conquista Giorgio Faletti con la canzone Signor tenente, inserita poi nell’album Come un cartone animato. Faletti ci propone un punto di vista interessante circa la questione mafiosa, ossia quello delle forze dell’ordine italiane.
Ed è così, tutti sudati
che abbiam saputo di quel fattaccio
di quei ragazzi morti ammazzati
gettati in aria come uno straccio
Lampante è il riferimento ai diversi attentati avvenuti per mano della criminalità organizzata e, in particolare, alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La denuncia di questo brano è diretta alle difficili e precarie condizioni lavorative delle forze dell’ordine, in particolare dei Carabinieri, alcuni dei quali morti durante queste stragi.
E siamo stanchi di sopportare
quel che succede in questo paese
dove ci tocca farci ammazzare
per poco più d’un milione al mese
In particolare in questo passaggio, il protagonista della canzone, un carabiniere di vent’anni, rimprovera allo Stato di non essere in grado di proteggere gli uomini al suo servizio. Essi indossano con orgoglio le loro divise e ogni giorno fanno i conti «con il coraggio della paura», mettendo a rischio le loro vite per proteggere il proprio Paese.
I cento passi: la storia di Peppino Impastato
Un altra importante canzone antimafia è sicuramente I cento passi dei Modena City Ramblers, quarta traccia dell’album del 2004 Viva la vida, muera la muerte!. Il brano trae spunto dall’omonimo film di Marco Tullio Giordana del 2000, dedicato alla vita e alla morte di Peppino Impastato. Figlio di una famiglia mafiosa, diventa giornalista e attivista nella lotta a Cosa nostra «tra Cinisi e Palermo». Nel 1977 fonda Radio Aut, radio libera autofinanziata con cui denuncia i delitti dei mafiosi di Cinisi e di Terrasini.
Il titolo si riferisce alla distanza in passi che separa la casa della famiglia impastata da quella dello «zu Tano», loro zio, il boss mafioso Gaetano Badalamenti. L’intro e l’outro della canzone riprendono una delle scene chiave del film: si sente la voce di Peppino Impastato che conduce suo fratello, contando i cento passi, a casa del boss mafioso; è qui che dichiara a gran voce: “Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda!”.
Negli occhi si leggeva la voglia di cambiare,
la voglia di Giustizia che lo portò a lottare.
Aveva un cognome ingombrante e rispettato,
di certo in quell’ambiente da lui poco onorato.
Si sa dove si nasce ma non come si muore
e non se un’ideale ti porterà dolore.
Grazie sia al film sia al brano, il pubblico inizia a conoscere la storia di Peppino Impastato e soprattutto la sua tragica fine, fino ad allora passata quasi inosservata perché avvenuta il 9 maggio 1978, nello stesso giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro.
Pensa che puoi decidere tu
Tra gli inni antimafia più conosciuti senza dubbio troviamo Pensa di Fabrizio Moro, la quale si aggiudica il primo posto nella sezione Giovani del Festival di Sanremo del 2007. Il cantante ha dichiarato di aver scritto il testo del brano di getto dopo aver visto un film sulla vita del magistrato Paolo Borsellino.
Ci sono stati uomini che hanno scritto pagine
appunti di una vita dal valore inestimabile
insostituibili perché hanno denunciato
il più corrotto dei sistemi troppo spesso ignorato
Sono queste le parole con cui Moro apre il brano, puntando subito i riflettori su tutti coloro che hanno combattuto per smascherare la corruzione e la mafia, talvolta dando la vita per questa causa. Si tratta di veri e propri eroi, che si sono sacrificati nella lotta contro le associazioni a delinquere di qualsiasi tipo, lasciando un segno indelebile nella storia del nostro paese.
È nostra, la libertà di dire
che gli occhi sono fatti per guardare
la bocca per parlare, le orecchie ascoltano
non solo musica, non solo musica
la testa si gira e aggiusta la mira, ragiona
a volte condanna, a volte perdona
Altro focus posto dal cantante è quello sull’importanza dei pari diritti, che dovrebbero essere garantiti indistintamente a tutti i cittadini di tutte le società eguali e civili. Tra i requisiti necessari per combattere la criminalità sono certamente fondamentali la cultura, la memoria del passato, l’informazione e la libertà di pensiero e di espressione, affinché si possano educare le nuove generazioni a migliorare il mondo di cui fanno parte.
Gli uomini passano e passa una canzone
ma nessuno potrà fermare mai la convinzione
che la giustizia no, non è solo un’illusione
Queste parole ricordano quelle di Giovanni Falcone, il quale affermò che «gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini». Ed è così che Fabrizio Moro vuole ricordare quanto la forza delle idee sia in grado di andare oltre ogni confine.
La musica può essere un’arma per combattere la mafia?
Musica contro le mafie
Musica contro le mafie è un’associazione nata nel 2013 e che fa parte della rete di Libera (Associazioni, Nomi e Numeri contro le mafie). Attraverso la musica e grazie all’aiuto di moltissimi volontari e musicisti, l’associazione è impegnata contro le mafie, la corruzione e la criminalità, e si pone a favore della giustizia sociale, della ricerca della verità e della tutela dei diritti umani.
Essa promuove una cittadinanza attiva, responsabile e fondata sulla cultura della legalità, e lo fa mediante attività legate al mondo dello spettacolo e con artisti che operano in tutto il mondo. Sostiene inoltre iniziative culturali volte a rafforzare una coscienza civile, collettiva e democratica tramite attività nelle scuole, nei quartieri e in numerosi contesti diversi tra loro.
Come combattono la mafia?
Da Don Luigi Ciotti a Giovanni Impastato, da Fiorella Mannoia a Brunori Sas, da Simone Cristicchi a Lo Stato Sociale, e molti altri ancora: artisti, scrittori, giornalisti e testimoni di giustizia italiani e internazionali sono sostenitori di questo progetto e, con le loro testimonianze personali e il loro contributo, sensibilizzano alla lotta aperta alla criminalità e all’indifferenza, anticamera della rassegnazione.
Il messaggio che lanciano i sostenitori di Musica contro le mafie è forte e chiaro: dimenticare equivale a perdonare, ma ricordare non serve solamente a onorare la memoria di chi è caduto in guerra contro le mafie, significa offrire sé stessi, ogni giorno, come campo di battaglia, in cui mettersi in gioco. Ricordare significa resistere, fare memoria per dare un orientamento diverso al presente e avere uno sguardo critico sul futuro. Ricordare significa costruire, partendo da se stessi, un bene profondo e radicale, realizzare un impegno comune che trasformi la memoria in azione e in vita concreta.
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