Non si può più essere felici veramente se hai vissuto tutto questo orrore, tutto questo dolore di quelli che rimangono.
Letizia Battaglia, nel documentario Shooting the Mafia di Kim Longinotto, spiega così il prezzo pagato con il suo lavoro di fotoreporter, svolto per un ventennio sul campo di battaglia palermitano.
Il dolore, la perdita, l’indignazione, la rabbia, l’amore per un territorio martoriato e contraddittorio: questo è ciò che Battaglia racconta attraverso il suo obiettivo, prestato a «L’Ora» siciliana, e a tutti noi. La sua è un’arte che si fa anche strumento di denuncia, che prende posizione, uscendo dal mondo patinato dei musei e delle fiere e sporcandosi per strada, tra la gente comune, di sangue e sudore. L’arte di Letizia Battaglia ci spinge a vedere, non solo a guardare, un tempo e un luogo in cui l’umanità sembra essere regredita a uno stadio animalesco, a un mondo governato dai forti, dagli spietati, dai “barbari”.
Capita a volte che l’arte, da sempre considerata urgenza naturale dell’uomo, sia chiamata a raccontarne le parti più nascoste e brutali, anch’esse parti integranti di un’umanità sfaccettata. Il rapporto tra arte e mafia, che è vivo ancora oggi, forse più che mai, illustra le possibilità di azione di cultura e bellezza, nel senso più concreto, contro l’oscurità e la divisone sociale. Cosa può l’arte contro la mafia? Quali sono le possibilità di una “politica della bellezza” che risponda a una violenza estrema e spesso fortemente radicata?
Dal mercato nero all’arte da bunker: quando arte e mafia si incontrano
Anche se appaiono agli antipodi, arte e mafia sono oggi sempre più legate. Le “archeomafie” muovono, attraverso il traffico illecito di opere d’arte, svariati miliardi di euro all’anno: una stima peraltro impossibile da verificare in modo certo, data la natura occulta delle operazioni. L’arte finanzia le attività illecite più svariate: riciclaggio, compravendita di armi, traffico di stupefacenti, esseri umani e organi.
Ma l’utilizzo di beni culturali da parte delle organizzazioni criminali non risponde solo a un’esigenza pratica: opere d’arte sono custodite dai boss più potenti per affermare il proprio status sociale, e si collegano a necessità di comunicazione del potere anche a livello iconografico, oltre che economico. Le si ritrovano nei bunker, o esposte con ostentazione negli appartamenti; boss come Gioacchino Campolo (esponente di spicco della ‘Ndrangheta calabrese) raccoglieva nella sua abitazione diverse opere, tra le quali diciassette quadri d’autore, oggi in parte confiscati dallo Stato e messi a disposizione del pubblico.
Letizia Battaglia: fotografia e memoria
A un’arte che sembra piegarsi alle esigenze comunicative mafiose però si oppone un’arte di denuncia, espressione personale e collettiva di popoli, quartieri, periferie che non si piegano alle facili stereotipizzazioni. Un’arte che unisce, e si propone di abbattere le diseguaglianze da sempre presenti anche alla base delle condizioni di accesso alla cultura.
La già citata Letizia Battaglia documenta uno dei periodi più bui della recente storia italiana, ritrovandosi a Palermo al culmine della violenza degli anni di piombo. Lo stragismo mafioso e il clima di cupo terrore che attanaglia la città, vista attraverso i suoi occhi, esce dai confini italiani e fa il giro del mondo. Nel 2001, ospite di una puntata de Il Grillo, risponde così alla domanda postale da un ragazzo che le chiedeva come riuscisse a rapportarsi nei confronti di soggetti di tale crudezza: “Tu devi fotografare (…). Forse quest’immagine servirà a raccontare di un tempo in cui gli uomini furono barbari”.
La fotografia che si fa dunque testimone, attraverso un linguaggio immediato e universale, e “parla” agli spettatori con sincerità, rendendosi strumento concreto e custode della memoria collettiva. Un amore, quello di Letizia Battaglia per Palermo, che si scorge a ogni angolo di strada impresso nella pellicola, nei corpi e nelle lacrime che la fotografa lega indissolubilmente alla narrazione di una decade complessa: “Era molto complicato far capire che era per amore che io fotografavo”, spiega ancora in Shooting the Mafia. È l’arte che urla “io c’ero”, ma anche “io ci sono, e non dimentico”, che porta all’approfondimento e alla riflessione su ciò che è stato e non deve accadere più.
Emilio Isgrò: scultura e riqualificazione
Premesse simili muovono un altro esponente della scena contemporanea, Emilio Isgrò, a realizzare il Monumento al Seme d’Arancia. Siciliano, classe 1937, Isgrò è celebre per le sue “cancellature”, che ne fanno uno degli artisti e intellettuali italiani contemporanei più conosciuti a livello internazionale.
Diviso per tutta la vita tra due città, Palermo e Milano, dedica alla sua terra una forte opera di denuncia e risemantizzazione del suolo pubblico: il Monumento al Seme d’Arancia del 1998, collocato nella zona della vecchia stazione di Barcellona Pozzo di Gotto (ME), luogo di nascita dell’artista, si fa portavoce di quel rifiuto del modello unico a cui egli dedica buona parte della sua indagine artistica.
L’opera, alta sette metri, spicca in una zona considerata particolarmente degradata all’epoca della sua installazione. Simbolo di rinascita economica, sociale e culturale per i paesi del Mediterraneo (l’arancia, come tutti gli agrumi, è un prodotto tipico di questi luoghi), il monumento si fa portatore di un messaggio di speranza e al contempo contribuisce ad attirare nuovo pubblico, a stimolare la riqualificazione del territorio.
Potente mezzo espressivo, con il Seme d’Arancia di Isgrò, la scultura esce dal museo e, come la fotografia di Battaglia, scende in strada. Accende i riflettori sulle periferie, e stimola il dialogo tra generazioni, tra istituzioni e popolazione, tra passato e presente.
Street art: nuove generazioni e sensibilizzazione
“Se la gioventù le negherà il consenso anche la misteriosa onnipotente mafia svanirà come un incubo”. Parole del giudice Paolo Borsellino, convinto sostenitore, con Giovanni Falcone, di una gioventù in grado di sovvertire gli schemi e le costrizioni mafiose con la propria voglia di riscatto. Ai giovani è riservato un compito arduo, che si fa sempre più oneroso con il passare degli anni: tenere vivo l’interesse, e costruire un presente che abbatta le diseguaglianze, inserendosi nel solco di quanto ottenuto dalle generazioni precedenti.
Lo street artist Jorit, pseudonimo di Ciro Cerullo, si occupa da anni di riqualificare le aree più marginalizzate del mondo attraverso le sue enormi opere, realizzate sulle facciate degli edifici. Partito da Quarto Officina, nell’hinterland napoletano, il writer crede fermamente nel potere dell’arte di portare bellezza anche nei luoghi in cui non si è abituati a vederla. “Le periferie di tutto il mondo gridano”, spiega ai microfoni di MTV; attraverso la street art si è però in grado di trasformarle in “musei a cielo aperto”, che parlano soprattutto alle generazioni più giovani, distanti dai luoghi dell’arte istituzionale.
Da Palermo Igor Scalisi Palminteri rafforza il concetto già espresso da Jorit: “le rivoluzioni possono passare anche dai muri di una città”. Attraverso i suoi murales Palminteri gioca con i codici dell’arte del passato, rimodellandola su esigenza nuove. “L’arte non risolve niente, ma può portare bellezza”: una bellezza necessaria a riconquistare gli spazi della propria città, del proprio quartiere, strappandoli alla brutalità criminale. La Palermo in cui opera Palminteri non è più quella di Letizia Battaglia, e la Palermo di domani non sarà come quella di oggi: la vera “politica della bellezza” muove i suoi passi attraverso gli interventi di questi giovani artisti, che proseguono l’opera di sensibilizzazione iniziata da chi ha vissuto prima di loro le realtà in cui si muovono.
Contro le diseguaglianze e gli stereotipi: il potere del contrasto in strada
Eliminare le diseguaglianze è al centro, tra gli altri, anche del programma di One Voice, iniziativa socio-culturale nata negli anni della pandemia per promuovere atti di solidarietà in un momento storicamente complesso come quello appena passato. Attraverso street festival organizzati in tutto il mondo, One Voice dà voce alle comunità ai margini, ai territori dimenticati dalle istituzioni.
Dal 16 al 30 settembre 2020 l’iniziativa ha coinvolto anche Palermo: l’allora sindaco Leoluca Orlando spiega come l’arte sia “rigenerazione umana”, importante mezzo che fornisce possibilità di costruire una vita e una società migliori, dimostrando anche il crescente interesse istituzionale per programmi di riqualificazione all’insegna della cultura.
Interesse confermato, peraltro, dall’attenzione sempre crescente che il pubblico riserva alle opere di street art: lo sa bene Giulio Rosk, autore, con Mirko Loste, della monumentale opera dedicata ai giudici Falcone e Borsellino che si staglia sulla facciata dell’Istituto Nautico alla Cala di Palermo. Intervistato da Niccolò De Vitiis nel maggio 2021, l’artista racconta a «Rolling Stone Italia» di come i bus turistici facciano tappa fissa davanti al murale, inserito anche nella guida «Lonely Planet» di Palermo.
La fascinazione esercitata dalla street art è certamente utile per stimolare la curiosità dei più giovani: rimbalzando da un social a un altro favorisce il turismo e, di conseguenza, la messa a nuovo delle zone più penalizzate da una lunga storia di criminalità e trascuratezza.
Anche Andrea Buglisi, giovane artista contemporaneo e writer palermitano, convoglia nella sua opera messaggi forti su tematiche spinose. Attraverso la produzione di oggetti dall’aspetto “gradevole”, Buglisi intende provocare uno shock percettivo nell’osservatore, attirato dall’estetica rassicurante dell’opera e successivamente trovatosi prigioniero di una “trappola”. Il contrasto che, secondo l’artista, regna sovrano in città come Palermo, è quindi trasposto nella sua arte sotto forma di “rebus senza una soluzione definitiva”. Non a caso il processo creativo di Buglisi muove molto spesso da un luogo ben preciso: il mercato di Ballarò, storico quartiere di Palermo, dai cui aspri contrasti l’artista trova continua ispirazione.
“L’arte ha il vantaggio di stimolare la curiosità delle menti più giovani e fare breccia nel loro fertile immaginario in maniera da fare spazio ai concetti e ai valori che essa veicola”, spiega nel febbraio 2022 al magazine «Street, Fashion and Food». La fiducia nelle nuove generazioni dona linfa vitale a progetti, iniziative e azioni fondamentali per sensibilizzare non solo chi già sa, ma anche chi sa poco, o nulla, di una determinata pagina della Storia.
Ecco quindi che la cultura, insieme all’istruzione, diviene necessaria premessa alla formazione di una società consapevole, meno “barbara” e pronta a riscattarsi.
La bellezza: un aiuto concreto?
Si può parlare concretamente, quindi, di “politica della bellezza”? Alla luce di quanto esplorato finora, il concetto sembra tutto fuorché utopistico.
La bellezza, la cultura e l’arte ispirano e muovono, feriscono e rialzano, sono in grado di trasformare paesaggi, strade, quartieri, intere città. Modificano il destino dei luoghi attraverso impulsi provenienti da umanità differenti, eppure unite da uno stesso obiettivo: urlare, farsi sentire, comunicare qualcosa. “Tu devi fotografare”, diceva Letizia Battaglia: è un dovere trasmettere al mondo la propria storia, il dolore, la perdita, l’indignazione, la rabbia, l’amore. È un dovere, per crescere come umanità, ascoltare. Perché la bellezza forse non salverà nessuno, ma almeno renderà il viaggio più piacevole.
Fonti