Tra curvy e size zero
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Nell’attuale decade ha preso piede, lasciando un’impronta sempre più profonda, il fenomeno del body positivity: la valorizzazione del corpo sinuoso e con forme ben accentuate. Basti pensare a Kim Kardashian, nota per il suo fisico con il vitino da vespa, il seno e i fianchi abbondanti e il ricorso a protesi per accentuare il lato B. Una donna che ha reso l’abbondanza il nuovo canone a cui ispirarsi.
Anche nelle sfilate di moda le passerelle si sono popolate sempre più di modelle curvy che incarnassero il nuovo ideale e non pochi brand hanno dovuto rimodulare i propri standard per adattarsi al nuovo mercato, come Victoria’s Secret, marchio statunitense di lingerie femminile, celebre proprio per la silhouette filiforme delle sue modelle dalle sembianze angeliche.
Tuttavia, nell’ultimo anno si sono iniziate a diffondere tendenze che potrebbero far pensare a un ritorno delle heroin chic, il revival anni 2000, con pantaloni e gonne a vita bassa, abiti aderenti e taglia zero. Sono gli anni dell’estrema magrezza femminile come ideale sia estetico che morale, poiché al corpo esile e scattante vengono attribuiti valori quali ambizione, organizzazione, potere, autoaffermazione sociale. Sarebbe di certo una grossa inversione di rotta rispetto al curvy.
Penso che, nel complesso, stiamo vedendo di nuovo dei corpi più esili
spiega Tyler McCall, caporedattrice di «Fashionista», e continua:
Nonostante alcuni buoni passi avanti, altrettanto spesso, le modelle sembrano più magre che mai.
I canoni estetici si sono fatti più fluidi e il movimento body positive ha dato il suo fondamentale contributo nel mettere in discussione il binomio bellezza-magrezza, eppure il mondo della moda rimane vincolato all’ideale dello skinny body.
I primi del Novecento
Ma i fisici asciutti e le gambe lunghissime degli anni 2000 c’erano anche nel secolo scorso?
Ebbene no. Se volessimo tornare agli inizi del Novecento, dovremmo pensare alla Gibson Girl, un ideale di corpo a “S” nato dalle illustrazioni di Charles Dana Gibson. L’immagine in voga era quella della donna alta, con vita stretta ma seno e fianchi abbondanti. L’icona dell’epoca era l’attrice e modella Camille Clifford.
Occhi neri e sguardi ammalianti
Nei primi anni ’10 del Novecento la donna era ancora strizzata in corsetti. Prima dello scoppio del primo conflitto mondiale era ancora il secolo della femme fatale, della vamp, complice anche l’avvento del cinema. La donna è caratterizzata da occhi e capelli nerissimi, corpo sinuoso, labbra carnose, sguardo magnetico.
Dotata di una bellezza straordinaria, aggressiva, una grande seduttrice, perversa, crudele e spregiudicata. Incarna la passione e l’istinto. Il pittore austriaco Klimt rende omaggio a questa figura di donna, sensuale e distruttiva, nei suoi capolavori Giuditta I e Giuditta II: donne fatali dal volto enigmatico, lo sguardo inquietante, la pelle bianchissima e la capigliatura lunga e corvina.
Bellezza androgina
Coco Chanel, dai tratti androgini, seno e fianchi appena accennati, scattante, impaziente, invita le donne a esporre la pelle ai raggi solari, a eliminare i guanti e ad accorciare le gonne.
Leggendaria icona anni Venti è l’attrice Louise Brook: il prototipo perfetto della ragazza flapper, che si contraddistingue per l’indipendenza, l’anticonformismo, la capricciosa volubilità.
Anni ’30: ritorno alle forme
Con gli anni Trenta, torna l’ideale della donna sensuale, femminile ed elegante. Le donne sentono l’esigenza di rimettere in evidenza le loro forme e si impone cosi il canone della donna procace, mediterranea, “femmina”, incarnata dalle grandi dive di Hollywood.
La campagna contro la donna magra, pallida e sterile si apre ufficialmente nel 1931 quando il capo dell’Ufficio stampa di Mussolini ordina ai giornali di eliminare tutte le immagini che mostrano figure femminili snelle e dal piglio mascolino. La magrezza femminile diventa un punto centrale nel dibattito sulla bellezza, tanto che Mussolini chiede ai medici di intervenire a difesa del “grasso”, contro la moda della magrezza.
Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, gli Anni Quaranta sono un periodo di crisi e di grandi ristrettezze, si vive un clima di estrema austerità, anche in campo estetico. Si ricerca uno stereotipo femminile di donna più in carne, evidente reazione alla cronica carenza di cibo che caratterizza questo periodo.
E così, durante la guerra, iniziano a comparire su molte riviste degli Stati Uniti le prime pin-up, ragazze solitamente prosperose e ammiccanti. È il periodo in cui si raggiunge il top della femminilità e della sensualità.
Gli anni ‘50
Negli anni ’50 l’avvento di Hollywood e il boom economico cambiano lo stereotipo di donna: le vamp biondo platino sono ispiratrici della moda, del look. Tornano le curve e le forme morbide, con seno e fianchi generosi e anche un velo di pancia. La donna ideale, infatti, è a “pera”, metafora dell’opulenza in cui si vive. Le misure seno-vita-fianchi 90-60-90 rappresentano la formula della bellezza degli anni Cinquanta. Il modello della femme fatale all’epoca era Sophia Loren, entrata sugli schermi sia per il suo talento che per il suo fisico.
Dagli anni‘60 ai ‘90
Negli anni ’60 e ’70 le donne prendono coscienza di sè stesse e comincia l’epoca del femminismo. Viene inventata la minigonna e la moda curva prende campo. Il fisico a trapezio supera quello a clessidra. La donna moderna ora è giovane, un’eterna adolescente, una ragazza agile, di nuovo come la flapper degli anni Venti.
Gli anni ’90 sono l’epoca del fisico androgino ed estremamente magro, viso scavato, jeans dall’aspetto vissuto, maglioni sformati e bucati. Icone di questo momento sono Kate Moss e Naomi Campbell.
Uno scorcio nelle epoche precedenti
In origine, nell’arte classica ad esempio, la bellezza della donna era collegata alla fecondità e al rispetto di determinate proporzioni. In seguito vennero valorizzate l’armonia e la grazia, come si può ammirare nelle opere di Botticelli, La nascita di Venere e La primavera, ecco la donna come simbolo di amore eterno e puro. Le forme del corpo sono morbide, rilassate, per non parlare delle opere di Rubens che rappresentavano donne dalle forme opulente.
Nel tardo ‘600, si nota una netta differenza tra le donne dell’alta società, costrette da abiti e busti per modellare il proprio corpo sin da piccole, e quelle del popolo, dimesse nell’aspetto.
Nel ‘700, le donne sono consapevoli della propria bellezza, che viene valorizzata ed esibita in abiti che evidenziassero la vita sottile, l’attenzione per il trucco, le acconciature e il portamento.
Nell’Ottocento, poi, si possono citare la Maja desnuda di Goya, che posa nuda, consapevole della propria fisicità, o anche le donne di Manet, come in Olympia, in cui il ritratto non è allegorico, ma riprodotto con forme realistiche, comprese di imperfezioni.
Come emerge da questa lunga rassegna, i canoni di bellezza si richiamano nel tempo come se facessero parte di un anello circolare. Il bisogno dell’ideale di bellezza puro ed eterno, della mancanza di imperfezioni, ha quindi origini lontane e non è solo sintomo di inquietudine moderna. Per lo psicologo Paul Schilder:
L’immagine corporea è l’immagine e l’apparenza del corpo umano che ci formiamo nella mente e cioè il modo in cui il nostro corpo ci appare.
Ed è proprio questa percezione che condiziona il nostro stato d’animo, le nostre emozioni, la ricerca costante, purtroppo ancora molto forte nella società attuale, del corpo “perfetto”.