A seguito della morte del marito, Harper decide di ritirarsi in una tenuta di campagna. Ma gli spettri del passato e le angosce più profonde la perseguitano.
Non è facile riassumere in una parola il nuovo film di Alex Garland, Men. Forse inaspettato, o più semplicemente, inconsueto. In questo ultimo prodotto fortemente ricercato e metaforico l’immaginario filmico del regista raggiunge un livello superiore rispetto ai precedenti Ex machina (2015) e Annihilation (2018). Superiore non vuol dire necessariamente migliore: infatti le tematiche già sviluppate precedentemente entrano qui a gamba tesa evidenziando una spiccata dote registica nel portare sul grande schermo storie apparentemente semplici, ma che vengono arricchite da significati nascosti e simbolismi dalla grande potenza drammaturgica.
Harper
Men ha come protagonista Harper (una pazzesca Jessie Buckley), una donna che sta affrontando un evento tragico che la segnerà per tutta la sua esistenza. Il film grazie alla presenza di numerosi flashback ci illustra già dalle prime sequenze le problematiche di coppia insorte tra la protagonista e James, un marito violento e manipolatore. Dopo una lite particolarmente accesa l’uomo minaccia la moglie di suicidarsi arrivando addirittura a ricattarla innescando un meccanismo di rimorso e senso di colpa, che perseguiterà la donna per molto tempo. Il titolo del film suggerisce la presenza di molteplici figure maschili che la donna incontrerà nel corso della storia: uomini così diversi ma al tempo stesso così simili.
Più in generale, la pellicola può essere intesa come il percorso di elaborazione del lutto e al tempo stesso una personale presa di coscienza dell’accaduto.
Paesaggio visivo e sonoro
Importantissime per la comprensione del film si rivelano le ambientazioni così come la colonna sonora. La campagna inglese, incontaminata e rigogliosa, diventa specchio delle emozioni della protagonista così silenziosa ma al tempo stesso in continuo cambiamento e tormento. Tuttavia il colore predominante, il verde — solitamente associato a sensazioni che rimandano alla calma, all’abbondanza e al fluire costante di tutto ciò che arriva a noi —, è qui in netto contrasto con le sue emozioni. Il verde è il colore del quarto chakra, il chakra del cuore e che rappresenta l’amore puro, quello incondizionato. Men racconta invece di una donna scossa e segnata profondamente dall’amore, un amore malato e tossico che ti penetra in profondità lasciandoti delle ferite indelebili.
Queste assonanze e contrasti insieme ci fanno percepire il disagio di Harper, di conseguenza la presenza ridondante di queste figure maschili ci appare inquietante e soffocante. Diventa inoltre molto semplice entrare in empatia con la donna, in quanto le molestie che subisce nel corso del film sono paurosamente verosimili; molestie che ogni donna può provare sulla propria pelle ogni giorno.
Da sottolineare la colonna sonora che punteggia ammirevolmente la pellicola. Sequenze di dialogo si alternano ad altre in cui il paesaggio prende il sopravvento sull’uomo mostrandosi in tutta la sua forza e maestosità, al limite del sublime. La musica che accompagna queste lente inquadrature — classica o addirittura lirica — contribuisce a donare alle scene una potenza quasi sacrale. Di fortissimo impatto la sequenza ambientata nella chiesa in cui Harper si rifugia per sfogare tutta la sua frustrazione. Le luci delle vetrate che creano disegni astratti sulle pareti, il silenzio assordante della navata, i volti solenni delle icone: tutto ciò associato alle urla di dolore della donna ci trasporta in un’altra dimensione ricca di simbolismo.
Miti e simbologie
Figura fondamentale diventa quella del Green Man, nonché il primo uomo con cui viene in contatto la protagonista. L’uomo verde è una figura folkloristica presente in alcuni culti pagani raffigurato come un uomo i cui baffi e capelli sono composti da foglie che gli ricoprono il volto fuoriuscendo anche dalla bocca.
Questa raffigurazione (così come in Men) poteva essere trovata sotto i capitelli, volte o basi delle colonne in molte chiese soprattutto di epoca medievale. Simbolo di fertilità, l’uomo verde ha avuto nel corso della storia molte rappresentazioni soprattutto in Inghilterra: si pensi ad esempio ai racconti popolari come “Sir Gawain ed il Cavaliere Verde“, o anche le “Metamorfosi” di Ovidio.
Ma in questa pellicola Garland decide di ricoprirlo di un significato particolare. L’archetipo del legame tra uomo e natura — il green man appunto—, incarna qui il concetto di uomo in generale: una sorta di generalizzazione rispetto alle figure che Harper incontra e che, come si vedrà alla fine, corrispondono tutte con la medesima persona. Goeffrey, il prete, il bambino disturbato, il poliziotto, lo stalker e lo stesso marito James, sono tutti la stessa persona. Rappresentano un ideale di uomo che si rifà palesemente al concetto di mascolinità tossica. Ognuno di queste persone fa rivivere alla donna i traumi del suo passato, trasportandola in un vortice di emozioni allucinatorio che sfocia nel sovrannaturale.
Anche la presenza del frutto proibito — la mela in giardino — può essere interpretata come una denuncia da parte di Garland rispetto a queste tematiche: simbolo di prosperità e di fecondità, dall’altro è proprio il frutto mangiato da Eva e che ne procurerà la cacciata dall’Eden. Questo gesto ampiamente sottolineato cela la volontà di Garland di denunciare il principio fondante della mascolinità tossica, ossia la colpevolezza della donna.
L’accettazione
La sequenza delle “nascite multiple” diventa una forte metafora in quanto rappresenta la coesistenza di tutte queste caratteristiche tossiche in un solo uomo, che poi è James, l’ultimo ad essere partorito. “Ma cosa vuoi da me James?” — “Il tuo amore” risponde lui.
In quella che doveva essere una vacanza ristoratrice, Harper si ritrova ad affrontare il suo passato ripercorrendo le tappe di quella che è stata la morte del marito. Lei, innocente, finisce per infliggere veramente quelle ferite agli uomini che la perseguitano (il taglio del braccio, il piede rotto), tornando infine alla figura di James come un cerchio che si chiude. L’elaborazione del lutto e il processo di accettazione di questo, diventano il filo conduttore di tutta la storia, facendoci dubitare anche della veridicità della stessa. È veramente successo tutto ciò? O è stato solo frutto dell’immaginazione della protagonista?
In psicologia, l’accettazione si basa sulla nozione che, spesso, tentando di sbarazzarsi del proprio dolore si arriva solamente ad amplificarlo. Ed è proprio ciò che succede alla donna, la quale sul finale sembra addirittura dichiararsi colpevole, ritornando in uno stato di calma e pace interiore.
Capisco che Men possa essere visto come “un uomo che racconta l’esperienza di una donna” e messo all’interno di una certa categoria. Ma c’è un altro modo di vedere la cosa. Come uomo consapevole di quello che altri uomini fanno, che possono mettere a disagio o disgustare, e come uomo che può avere pensieri o impulsi che ti fanno sentire a disagio, si potrebbe vedere il tutto come un uomo che scrive del senso dell’orrore di quello che significhi essere un uomo.
Perché Men non è un film femminista
Dopo tutto questo discorso verrà da pensare se Men ha effettivamente fatto il suo compito, cioè quello di denuncia contro la mascolinità tossica. La risposta è ni, nel senso che questa pellicola non si vuole porre come manifesto femminista, ma neanche di esaltazione della donna rispetto all’uomo: non è Harper la protagonista, ma tutto il resto. La donna ha solo la funzione di mettere in scena certe dinamiche facendo scaturire nel pubblico dei ragionamenti a riguardo. Un film concettuale che si pone come obiettivo solamente l’innesco di reazioni e discussioni sulle possibili interpretazioni. Men è un film che vuole far riflettere senza imporre necessariamente delle conclusioni. Un tripudio sì di formalità, ma anche tanto spazio all’immaginazione.
La A24 insomma non si smentisce mai, questo film ne riconferma l’autorialità e la ricerca di impressionare il pubblico con prodotti sempre nuovi e suggestivi soprattutto a livello visivo. La tematica forse un po’ troppo scontata, ma a compensare sono come sempre le scelte stilistiche, metaforiche e non per ultima la cura per il dettaglio.