Dopo quasi tre anni di crisi globali, l’apparente normalità a cui eravamo abituati sembra ancora un miraggio. Pandemia globale, guerra in Ucraina e crisi climatica ci hanno catapultato in una realtà sempre più in bilico, dove l’insicurezza alimentare e il rischio di un collasso del sistema energetico si palesano come delle prospettive concrete. Queste situazioni di crisi ci hanno dimostrato l’importanza del volontariato, che spesso si è rivelato come una fonte di aiuto prezioso e insostituibile, riuscendo a intervenire là dove lo Stato arrancava. L‘Italia è dunque un Repubblica fondata anche sul volontariato?
Chi è il volontario e come funziona il suo lavoro?
Un volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore del bene comune e della società tramite un ETS (Ente del Terzo Settore) mettendo a disposizione le proprie capacità, il proprio tempo e la propria generosità per promuovere una causa. All’interno del Codice del Terzo Settore sono stati considerati membri partecipanti quelle organizzazioni commerciali o non commerciali, costituite come Associazione, Comitato, Fondazione o impresa, che si caratterizzano per lo svolgimento di una o più attività di importanza collettiva senza scopo di lucro. Al fine di tutelare al meglio il lavoro degli ETS, all’interno del Codice sono stati definiti gli aspetti che regolano il lavoro del singolo volontario, come l’assenza assoluta di forme di compenso o la possibilità di usufruire di forme di flessibilità di orario di lavoro.
Per inquadrare la situazione
Dal termine del secondo conflitto mondiale a oggi, l’Italia è andata incontro a periodi di crescita, alternati a periodi di crisi. Nonostante questa alternanza di condizioni, la popolazione italiana ha potuto godere di un discreto benessere che ha permesso ad alcune zone di crescere e arricchirsi. Da sempre caratterizzato da una disomogeneità economica, il nostro paese ha visto sorgere condizioni di vita molto differenti tra loro, alcune delle quali hanno richiesto un intervento continuo da parte dello Stato. Tuttavia, queste forme di aiuto sociale sono apparse in alcune circostanze non sufficienti e non hanno permesso la piena risoluzione del problema. È così che, di fronte alle carenze lasciate dallo Stato, sono intervenute miriadi di piccole realtà no profit, che hanno saputo affiancarsi all’impegno statale e rispondere là dove l’esigenza lo richiedeva. In un contesto come quello che stiamo vivendo in questi mesi, in cui le esigenze sono sempre maggiori, sorge naturale chiedersi chi, tra lo Stato o il terzo settore, riuscirà a rispondere più concretamente alle richieste di intervento sociale.
Sempre meno welfare
Affermare che le prestazioni di assistenza sociale non sono assicurate dallo Stato ma dal volontariato è forse un’esasperazione della situazione? Non del tutto perché una ricerca del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) risalente al 2021 conferma in pieno questa visione: il settore del no profit è in crescita, per un totale di 900.000 addetti (di cui il 70% sono donne) a cui si aggiungono quattro milioni di volontari. La ricerca conferma che l’Italia è uno dei paesi dell’Europa dove le iniziative di volontariato sono più significative, con circa un’associazione ogni 160 abitanti.
Si tratta di una tendenza che persiste da inizio millennio: nel decennio tra il 2001 e il 2010 l’andamento del numero di volontari aveva registrato un incremento di 1,2 milioni circa di unità, pari al 17,9%. a fronte di un “disimpegno” dello Stato nella lotta contro la povertà. Prendendo sempre in considerazione questo periodo, secondo i dati riportati da «Il Fatto Quotidiano», è possibile notare come volontariato e Stato sociale siano andati contro a un’inversione che, per quanto virtuosa, non smette di destare preoccupazione.
L’Italia, una Repubblica fondata sul volontariato?
Alla luce di quanto appena detto non si può negare l’azione sociale svolta dalle realtà di volontariato in Italia e la sua importanza nel funzionamento della vita politica del Paese. Ovviamente non si deve pensare che il volontariato sia l’unico strumento in atto per contrastare la povertà e le altre emergenze, ma il suo ruolo rappresenta una risorsa unica e insostituibile. Con la pandemia questo aspetto è diventato ancora più palese.
I problemi emersi durante il periodo di emergenza, però, non sono attribuibili esclusivamente al virus ma a un sistema carente sotto molteplici aspetti. La pandemia, infatti, ha portato alla luce numerosi problemi, problemi che però esistevano già da diverso tempo. In questi mesi di emergenza il tasso di povertà tra la popolazione italiana è passato dal 31% al 45% ed oggi, dove la pandemia non può ancora definirsi conclusa, si è registrata un’ulteriore impennata. Anche in un paese occidentale e privilegiato come il nostro, la povertà esiste e persiste: cresce dalla crisi finanziaria del 2008, si è inasprita con la pandemia e rischia di scoppiare con la guerra in Ucraina e le tensioni in Europa.
Il ruolo della Croce Rossa durante la pandemia
Per comprendere con esattezza la portata del fenomeno di cui si sta parlando si può far riferimento al ruolo che hanno avuto associazioni come Caritas e Croce Rossa durante l’emergenza pandemica. Fin dai primi giorni di caos, le due realtà si sono lanciate in prima linea per cercare di tamponare la situazione e limitare i danni della chiusura. Sono stati promossi molteplici servizi come la consegna di pasti caldi e coperte per chi non aveva la possibilità di ripararsi; promozioni di progetti di Donazione del Sangue; attivazione di un numero verde attivo h24 per accompagnare le persone al comportamento corretto in caso di positività al virus; e organizzazione di spese a domicilio per chi, per qualsiasi motivo, non poteva permettersi di uscire. A questa breve lista si possono aggiungere moltissime voci che sono state rese possibili solo grazie al lavoro di migliaia di volontari. Affianco al mondo del volontario organizzato si sono unite molte iniziative di persone singole che, nel tentativo di aiutare in ogni modo possibile, hanno messo a disposizione le proprie risorse.
L’alluvione nelle Marche
Anche in altre occasioni il volontariato è sempre pronto ad agire in prima linea. Durante la recente alluvione delle Marche si è presentata la stessa dinamica: moltissimi volontari provenienti da varie associazioni si sono fiondati sul territorio nel tentativo di aiutare gli sfollati e le famiglie delle vittime. Sulla pagina web della Protezione Civile è possibile notare un comunicato che afferma l’operatività di ben 780 volontari. E questo solo a poche ore dall’accaduto. Man mano che la situazioni si è fatta più tragica sono accorse altre migliaia di persone a prestare servizio volontariamente e gratuitamente. Anpas, Caritas, Croce Rossa e Auser, solo per citarne alcune, in poche ore sono state in grado di montare una rete di solidarietà e smuovere un esercito di volontari che si è fatto carico della situazione e ha cercato di ripristinare le strade, i servizi sanitari, i negozi e le altre infrastrutture rese inagibili dal fango. “Gli angeli del fango”, così sono stati chiamati i migliaia di giovani, e non solo, che hanno messo a disposizione il loro tempo dimostrano il valore della solidarietà.
L’ombra di un’ingiustizia
Queste iniziative spiccano per la loro importanza in un momento unico, ma di certo non si discostano dalla normalità. Il volontario sopperisce le mancanze dello Stato rendendosi il “welfare della crisi”. Avere un terzo settore così attivo e vitale è qualcosa di cui andare fieri e di cui essere orgogliosi perché testimonia che un sentimento di solidarietà esiste, è attivo e rappresenta un elemento fondamentale per il buon andamento della società. Ma cosa succederebbe se da un giorno all’altro i volontari dovessero sparire? Cosa fare se in un “bip” generale i volontari che sorreggono così tante iniziative smettessero di farne parte? Un volontario, infatti, è una persona che dedica il proprio tempo/risorse/capacità a una causa che ritiene importante e che affianca a un impegno prioritario di altro tipo, ma tutto quello che fa lo fa gratuitamente.
Qual è il ruolo dello Stato?
Dal 2017, con la riforma del Terzo Settore, è stato elaborato un fondo per il finanziamento di progetti e attività legate a questo mondo, attraverso la costituzione di fondi unici, agevolazioni fiscali o altre forme di intervento diretto da parte dello Stato. Per quest’anno sono previsti 60 milioni di euro circa da ripartire in diverse attività.
Anche se non rappresentano gli unici modi attraverso i quali gli enti del Terzo settore riescono a ricavare i fondi con cui agiscono, le agevolazioni statali rappresentano una riforma importante che deve continuare a sopravvivere. Il volontariato, e in più in generale il Terzo settore, rappresenta una trama insostituibile di tenuta sociale e uno strumento prezioso che permette di agire in modi più efficaci di quanto, spesso, riesca a fare lo Stato stesso. È importante, quindi, valorizzare l’operato del Terzo settore e offrirli le condizioni adatte per continuare il suo insostituibile impegno, affiancandolo ad azioni stabili che permettano alle persone che vivono in condizioni di povertà di uscirne. Il volontario non può essere l’unico strumento di intervento sociale.
Luci e ombre del volontariato
Aiutare gli altri è sempre un atto nobile e farlo gratuitamente rende il gesto ancora più prezioso, ma in alcuni casi il volontario può nascondere un risvolto negativo. In questo si vuole fare riferimento a quel fenomeno del “volunturismo” che vende coinvolti molti giovani occidentali impegnati in viaggi di volontariato all’estero. I motivi che spingono questi giovani a intraprendere esperienze simili possono essere molti, ma la questione risulta ambigua sotto molti punti di vista. Il rischio è che questo tipo di iniziative diventi un momento da fotografare e postare sui social come forma di esaltazione della propria bontà, che altro non è che una derivazione del nostro privilegio. Più spesso di quanto si crede, questa forma di volontariato nasconde complessi di superiorità e schiaccia coloro che dovrebbero ricevere il beneficio da soggetto a oggetto. Recarsi in questi luoghi per vestire il proprio ego non è volontariato ma iprocrisia, atteggiamento che non si discosta di molto da quegli atteggiamenti neocoloniali che caratterizzavano i nostri antenati europei. Il confine tra paternalismo e volontariato può essere molti più sottile di quanto si crede. Questo non vuole essere un invito a non intraprendere questi viaggi, ma a mettere in discussione il nostro orizzonte.