[Nella città] L’intervento deve essere immediato da pronto soccorso traumatizzante conoscitivo a livello elettroshock limitato violento sperimentale e provocatorio.
Francesco Somaini, Intervento d’urgenza nella città. Note e appunti vari, 1970-1971
Con queste parole l’artista Somaini negli anni Settanta affronta il problema di ripensare lo spazio urbano, i suoi limiti e le sue influenze. In questo articolo si cercherà di presentare un’ermeneutica del pensiero urbano e di come, negli ultimi cinquant’anni, questo sia stato oggetto di esposizioni. L’arte come ambiente sociale è un modo di analizzare lo spazio urbano e quotidiano secondo i principi dell’estetica e della storia dell’arte stessa.
I luoghi che noi oggi chiamiamo “storici”, un tempo erano costruiti per rendere piacevole alla vista le attività umane e lavorative. I monumenti, le decorazioni dei palazzi e le insegne dei negozi erano tutte pensate per rendere specifico quel luogo di cui oggi resta la memoria. L’arte, quindi, non come espressione bensì come strumento per creare e certificare la comunità, le cui funzioni sociali si determinano in maniera reciproca.
Il rapporto tra arte e spazio è un tema che, nella storia dell’arte, è costante dagli anni Sessanta fino alla Biennale di Venezia del 1976. La tendenza artistica di questi anni ha indagato il rapporto che intercorre tra arte, architettura, società ed estetica lasciandoci in eredità la necessità di pensare lo spazio urbano in funzione dell’uomo offrendo a molti artisti la possibilità di estendere i propri confini di indagine.
Operazione Arcevia: un progetto mai realizzato di una comunità esistenziale
Su incarico di Italo Bartoletti, Ico Parisi nel 1972 in provincia di Ancona, ha voluto dare una nuova dimensione umana allo stesso territorio dove aveva già pensato di realizzare un insediamento di un villaggio residenziale. Parisi, quindi, progetta una comunità esistenziale coinvolgendo nella realizzazione architettonica e ambientale pittori, scultori, musicisti, critici d’arte e registi. La zona, come gran parte dell’Italia è caratterizzata da ampi spazi destinati all’agricoltura che ne fanno luogo soggetto all’emigrazione dei residenti; sottoponendolo a uno spopolamento continuo che rende Arcevia una località emarginata dall’innovazione e dalla cultura. Bartoletti, individua in questa caratteristica un punto forte per ideare e sviluppare anche un percorso turistico, seppur differente e nel pieno rispetto delle caratteristiche locali.
Il progetto si è avvalso di artisti quali Alberto Burri, Pierre Restany, Cesar, Aldo Clementi, Lucio del Pezzo, Edgardo Mannucci, Tilson, Valeriano Trubbiani e con il supporto ancora di Tonino Guerra, Michelangelo Antonioni, Enrico Crispolti e molti altri. Per la comunità, invece, Parisi aveva previsto laboratori, residenze, luoghi per mostre e dediti alla cultura, un teatro all’aperto, dei parcheggi, una chiesa laica e la sedimentazione di percorsi e arte che stazionano nell’intero territorio previsto per l’occupazione.
Il criterio dell’insediamento di artisti ha avuto l’obiettivo di far incontrare gli abitanti con il flusso creativo degli artisti che venivano da ogni parte d’Italia. Il rapporto doveva essere portato al massimo per valorizzare sia il luogo che la ricerca artistica dei protagonisti per creare una sinergia che avrebbe cambiato la faccia del borgo. Un primo modo questo, per abbattere le differenze tra centro e periferia utilizzando la vis creativa dell’arte, purtroppo rimasto su carta.
L’esperienza di Volterra 73: Arte come ambiente
Sicuramente il caso più emblematico è la mostra curata da Enrico Crispolti a Volterra nel 1973. Tuttavia, il rapporto tra arte e spazio è un tema che risale alla seconda metà degli anni Sessanta, quando una serie di mostre hanno sollevato questo problema. La necessità di uscire dagli spazi convenzionali della galleria ha portato artisti e curatori ad invadere lo spazio quotidiano e allo stesso tempo inusuale per creare nuovi rapporti e nuove relazioni. A partire da Terra Animata del 1967 a cura di Luca Maria Patella o Lo Spazio dell’Immagine, nello stesso anno ma a Foligno. Tre anni più tardi è la volta dell’esperienza della Fattoria di Celle a Santomato, nella provincia di Pistoia. L’ideatore, Giuliano Gori allestisce il parco della sua villa a Celle con sculture di artisti come Mauro Staccioli e Daniel Buren anticipando l’esperienza dell’arte ambientale teorizzata poi da Crispolti nel 1973.
Questo perché, se le mostre di Foligno o le esperienze di Harald Szeemann a Berna e alla Documenta 5 di Kassel realizzate tra il 1969 e il 1972 hanno visto l’allestimento di opere senza creare un collegamento sociale, è proprio Volterra ad occuparsi di questo facendo tesoro dell’esperienza Arcevia. Infatti, è proprio Crispolti a ripensare l’ambiente artistico in funzione dello sviluppo sociale dove lo spazio e le opere si incontrano per creare un ambiente partecipativo. L’esperienza dell’Arte Povera, come ad Amalfi nel 1968, ha sicuramente aperto la strada ma è qui che il valore collettivo è fondante per la ricerca. L’arte e la vita si sono intrecciate per cercare di delineare una definizione di Arte Ambientale aggiungendo al binomio opera-spazio il concetto della collettività e di una fruizione partecipativa.
Da Volterra alla Biennale del 1976: l’Arte Ambientale prende sempre più forma
Come dice Nicolas Bourriad, l’estetica relazionale è alla base della crescita dell’individuo in uno spazio urbano, il quale perde sempre più posizione e dal quale tende sempre più ad alienarsi. Per comprendere Volterra, viene in aiuto un altro filosofo francese, Henri Lefebvre, il quale scriveva:
L’urbano? È una forma generale: quella dell’assembramento, quella della simultaneità, quella dello spazio-temporale nelle società, forma che si afferma da tutte le parti nel corso della storia, quali siano le peripezie di questa storia. Dalle origini e dalla nascita delle società in avanti, questa forma si conferma in quanto forma fin nell’esplosione alla quale assistiamo.
A Volterra quindi, l’intervento è stato di tipo positivo in quanto ha permesso alla città di ottenere una nuova visione di se stessa. Le opere d’arte installate nella piazza e nei vicoli hanno permesso agli artisti e i cittadini di esperire lo spazio in maniera propositiva. Gli artisti coinvolti hanno avuto la possibilità di relazionarsi con uno spazio nuovo e tradizionale dove la storia sociale e umana già lo caratterizzava. Infatti, essi hanno realizzato delle opere in funzione dell’ambiente e della sua storia tendendo conto delle relazioni umane che si sono consolidate nel tempo creando una rete di relazioni che adesso vengono riviste. Il cittadino, dalla sua parte, vede il suo spazio quotidiano invaso da sculture il cui senso viene determinato proprio dall’incontro e dalla curiosità. Un’arte partecipata, dove è la funzione sociale e non storico-critica a determinare l’importanza del lavoro e della ricerca di un’artista.
Biennale 1976: l’Arte Ambientale viene storicizzata
L’idea di stabilire una serie di relazioni fisiche e percettive tra lo spazio dell’ambiente e le ricerche artistiche data nel corso dei secoli, da quando l’artista, una volta che gli sia stato assegnato uno spazio, ha pensato di utilizzarlo non come “vaso” o “recipiente” che accoglie passivamente o indifferentemente una certa struttura, ma come parte interagente con il suo intervento.
Inizia così il catalogo della mostra curata da Germano Celant il quale esprime immediatamente le sue intenzioni: codificare l’Arte Ambientale e la sua funzione strettamente sociale. La mostra ha visto l’esposizione di progetti di arte nell’ambiente dal Futurismo agli anni Settanta, portando, come nel caso di Ivo Pannaggi, grandi novità per quanto riguarda la ricerca d’avanguardia. Infatti, sono stati proprio i Futuristi, come Giacomo Balla e Antonio Sant’Elia e teorizzare lo spazio pensandolo artisticamente. Per Celant, ogni opera d’arte risulta operativa nel suo contesto di riferimento in quanto viene progettata e realizzata dialetticamente con lo spazio. Il critico poi realizza degli affondi critici, sociali e politici per spiegare l’esperienza totale e totalizzante dell’artista con la sua arte di tipo ambientale e fa di questo rapporto la costante della sua ricerca.
“Un senso di reciprocità basato su una mutualità reale, in cui l’arte crea uno spazio ambientale, nella stessa misura in cui l’ambiente crea l’arte“. Questo il pensiero di Celant che trova nuovamente in Crispolti il suo punto di confronto.
Secondo Crispolti, infatti, ambiente come sociale significa “voler caratterizzare la partecipazione italiana in questa Biennale in senso molto attuale e progressivo, e strettamente rispondente alla problematica di una condizione storica attuale del nostro paese” per ripensare lo spazio extra urbano. Il concetto di ambiente prende sempre più forma fino a teorizzare tre linee di intervento: oltre il concettuale e strutturale, utilizzare materiali e media diversi, considerare la dimensione processuale.
L’ambiente come sociale
La Biennale del 1976 ha ripensato lo spazio espositivo e di indagine degli artisti, influenzando anche la figura del curatore. L’arte e lo spazio fisico sono stati intesi nella dimensione architettonica, naturale e territoriale ponendo in dialogo l’arte del primo Novecento con le ricerche degli anni Settanta. Il tutto per ricercare la relazione che sussiste tra intervento estetico e miglioramento delle condizioni esistenziali, sociali ed economiche che insistono nello spazio quotidiano.
L’aspetto partecipativo in senso storico, spirituale e sociale è quello che alla Biennale si è cercato di studiare e valorizzare. L’ambiente come sociale trova quindi a Venezia un altro concetto necessario per avvalorare le ricerche e le tesi di Crispolti e Celant: l’habitat. Qui, il concetto socio-polito dell’habitat viene interpretato nelle sue trasformazioni materiali. Ossia attraverso i binomi come società agricola e industriale, il divario tra periferia e città, il sempre attuale discorso tra immigrazione e lavoro. Crispolti, quindi, con un approccio realista alla condizione culturale somma la nozione di habitat a quella di ambiente sociale. In questo modo idealizza differenti tipologie di esperienze delineando una diversa concezione di impegno culturale, “che non metteva da parte lo “specifico” linguistico dell’autore, ma piuttosto lo collocava in un rapporto di dialogo paritario, di “co-operazione””.
Infatti, superando la condizione concettuale e strutturale e utilizzando diversi media (ad esempio in esposizione c’erano video e fotografie). Crispolti concepisce lo spazio come piattaforma dell’incontro captando la domanda di partecipazione del pubblico e allestendo il percorso espositivo in maniera comunicazionale, didattica ed emozionale.
La partecipazione sociale come strumento per abbattere povertà e disuguaglianze
Da Amalfi a Foligno, passando da Berna e Kassel per arrivare quindi alla Biennale di Venezia 1976, che si presenta come il punto di arrivo della teorizzazione dell’Arte Ambientale. Un termine che ancora oggi cerca di essere determinato in pieno cercando di fuggire da incomprensioni e letture distorte. L’idea di Crispolti era quella di realizzare un momento espositivo eterno e perpetuo dove l’opera d’arte funziona da collante tra artista e fruitore. Se il primo produce l’opera in simbiosi con l’ambiente di destinazione; il fruitore esperisce un’opera creata appositamente con un linguaggio a lui famigliare e che lui stesso completa con la sua presenza nello spazio. Qui risiede il concetto di partecipazione sociale, in quanto il visitare è un elemento attivo nella comprensione stessa dell’opera.
Arte Ambientale e riqualificazione urbana, nei casi più riusciti, sono complementari. Il dato estetico è fondamentale per un’opera d’arte partecipativa in quanto rende più bello un luogo, lo rende eterno e maggiormente vivibile. Oggi più che mai si sente il bisogno di riappropriarsi dei propri luoghi, di poterli vivere e apprezzare per la loro storia e per le loro potenzialità sociali. L’Arte Ambientale ha come obiettivo proprio quello di favorire l’inclusione sociale e di valorizzare le caratteristiche di un cittadino che si sente sempre più alienato.
Che sia un’opera di Somaini, Staccioli o Burri, la produzione in sé assume valore sociale nel momento in cui questa valorizza il dialogo e l’incontro, superando il formalismo estetico per tenere in considerazione il dato politico e sociale.
Fonti
123dok.org/article/altre-declinazioni-del-concetto-di-ambiente
123dok.org/article/crispolti-ambiente-sociale-nuova-biennale-arte-ambiente-partecipa
Crocevia Biennale, a cura di Francesca Castellani, Eleonora Charans, Scalpendi Editore, Milano 2017.
Sara Catenacci, L’ambiente come sociale alla Biennale di Venezia 1976: note di un libro mai realizzato, “In corso d’opera. Ricerche dei dottorandi in storia dell’arte della Sapienza”, vol. 1, Campisano Editore, Roma 2015.
Credits