Unione Europea

Il futuro dell’Unione Europea

L’Unione Europea viene alla luce dalle polveri della Seconda Guerra Mondiale, discendete di quella Società delle Nazioni fortemente voluta dal presidente americano Wilson e fallita in poco più di un decennio. Era il primo novembre del lontano 1993, gli accordi di Maastricht costituiscono i pilastri per un’inedita, pacifica, collaborazione tra Stati: è questo l’atto di nascita dell’Europa come la conosciamo oggi.

Molta storia è preceduta a quel primo novembre 1993 e molta storia è seguita: l’arco di vita dell’Unione Europea, tra momenti di crisi e punti di forza, è ancora lontano dalla sua conclusione.

Un po’ di storia

Dopo la seconda Guerra Mondiale i Paesi del mondo si sono uniti in un monito unanime: “mai più”. Un ideale simile aveva ispirato, nel 1919, anche la creazione della Società delle Nazioni. La prima conferenza dell’organizzazione internazionale avvenne il 15 novembre del 1920 alla presenza di quarantadue Stati membri. La società, rimasta orfana di padre dopo che gli Stati Uniti avevano negato la loro partecipazione, si proponeva di garantire una cooperazione internazionale volta a evitare lo scoppio di una nuova emergenza bellica. Ma i tempi non erano ancora maturi e i nazionalismi troppo forti: in poco più di un decennio la Società delle Nazioni collassa su se stessa a causa delle numerose defezioni dei suoi membri. La situazione precipita in fretta: il primo settembre 1939 Hitler invade la Polonia e dà il via alla seconda Guerra Mondiale.

I cinque anni della guerra sono i più bui della storia per i Paesi partecipanti. Più di 60 milioni di vite spazzate via durante il conflitto, interi Stati da ricostruire e un’umanità offesa dall’onta dei campi di sterminio nazi-fascisti costituiscono le macerie su cui ricostruire un nuovo mondo pacifico. Il primo passo verso l’obiettivo di pace e cooperazione tra Stati è costituito dall’istituzione della CECA, Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, nata nel 1951 per iniziativa del ministro francese Schuman.

La funzione principale di questa società era legata alla sfera economica, nella speranza condivisa di far risorgere l’economia del Vecchio Continente dal baratro in cui l’aveva gettata il secondo conflitto mondiale. Ma la CECA gettò anche le basi di quella cooperazione all’interno di un organo sovrastatale che animerà anche la formazione dell’Unione Europea come la conosciamo oggi. Gli Stati membri della CECA erano infatti chiamati a rinunciare in parte alla loro sovranità sul mercato carbonifero e siderurgico, in virtù dell’istituzione di un mercato unico e collaborativo.

Un ulteriore passo verso la cooperazione internazionale si ebbe nel 1957, quando nacquero la CEE, Comunità Economica Europea, e l’Euratom, per la gestione dell’atomico. Queste due istituzioni si aggiunsero alla già esistente CECA, integrandone gli obiettivi di pace e collaborazione tra Paesi. In particolare, dal 1992 i sei membri della CEE ampliarono i loro obiettivi di cooperazione anche alla sfera politica, istituendo la CE, Comunità Europea, cugina più prossima dell’attuale Unione Europea. Con i trattati di Maastricht, l’assorbimento della CECA nell’Unione e l’istituzione dell’euro nel 2002, ha definitivamente avvio il progetto europeo in cui, come Italia, siamo inseriti ancora oggi.

Nuove sfide e prospettive

Per quanto i tentativi della Commissione Europea si siano mossi spesso nella direzione di una più ampia integrazione politica tra Stati membri, l’UE fu fin da principio soprattutto un organo economico. Davanti a grandi realtà come quella statunitense o russa, risultò subito chiaro che i piccoli Stati del Vecchio Continente non potevano tenere il passo: una comunità sovrastatale capace di garantire un mercato comune poteva essere l’unica possibilità di ritagliarsi uno spazio nell’economia mondiale.

La stessa unità di intenti non però fu mai raggiunta in ambito politico. La spinta nazionalista (o comunque la volontà di mantenere saldamente le redini del proprio Paese) degli Stati membri è sempre stata più forte dei tentativi di estendere le funzioni dell’Unione verso quelle di una più completa realtà politica, oltre che economica.

In realtà, anche i vincoli economici hanno recentemente preso a puzzare ai nasi di alcuni leader europei. Caso emblematico è ovviamente la Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea votata tramite referendum nel 2016 e finalizzata a inizio 2020. Ma all’interno degli Stati membri si stanno moltiplicando leadership sovraniste, l’ultima in ordine cronologico quella probabile di Giorgia Meloni nel nostro Paese. I singoli Stati sono pronti a vedersi inseriti in una più ampia realtà politica che metta il naso sui propri affari interni? La risposta sembra potersi riassumere in una sillaba sola: no.

Von der Leyen e «gli strumenti» dell’Europa

Interpellata a proposito delle elezioni italiane durante una conferenza all’Università di Princeton, Ursula Von der Leyen ha fatto sapere che nel caso in cui la situazione diventasse preoccupante l’Europa possiede «gli strumenti» per arginare l’insorgere di nuovi problemi, come già è successo con Polonia e Ungheria. La stoccata è evidentemente rivolta ai partiti di centrodestra, distintisi durante la campagna elettorale e non solo per le loro posizioni sovraniste. A questo si aggiunga che Lega e Forza Italia hanno più volte in passato dimostrato di avere un certo feeling con la Russia di Putin.

Il messaggio che ha lanciato Von der Leyen non è la minaccia di un’eminente ingerenza: la Presidente della Commissione Europea ha proseguito la sua intervista mettendo in chiaro che l’UE è sempre aperta alla collaborazione con Paesi democratici che dimostrino interesse verso una cooperazione proficua tra i 26 membri. Inoltre, gli “strumenti” a cui Von der Leyen ha fatto riferimento sono di nuovo puramente economici: ciò che può fare l’Unione è in definitiva non erogare i fondi previsti all’Italia.

Che questo “ricatto“ economico possa avere delle ricadute sulla linea politica che la nuova leadership italiana intenderà adottare è indubbio, ma al contempo mette ancora una volta in luce l’impossibilità di parlare dell’Unione Europea come un’organo politico davvero coeso. Nessuna minaccia di un’omologazione forzata ai palazzi di Bruxelles, insomma. Eppure, a ben vedere, scorrendo le pagine dei giornali che hanno riportato le parole di Von der Leyen, si percepisce un certo allarmismo. Il discorso della Presidente della Commissione Europea è infatti schizzato a destra e a manca sui vari quotidiani, siti e pagine social di informazione, aprendo a diverse interpretazioni sul significato e il valore di quelle parole.

Sembra che, in generale, l’opinione pubblica italiana tema l’ombra di Bruxelles sulla sua testa e non apprezzi affatto i momenti in cui la sua piena sovranità è messa in dubbio. Non solo questo dimostra quanto i singoli Paesi membri siano spesso riluttanti – per non dire allarmati e spaventati – alla prospettiva di veder assorbito il loro potere esecutivo in un’istituzione sovrastatale, ma sottolinea quanto anche l’interesse economico che tiene in piedi in progetto europeo sia talvolta vissuto più come un ricatto che come un’opportunità dagli Stati sovrani.

L’ago della bilancia

Che poi l’Europa non sia riuscita a costituirsi come una realtà politica – e forse nemmeno economica – rilevante nello scacchiere mondiale è stato confermato dalla guerra scoppiata tra Russia e Ucraina. Il pacchetto di sanzioni lanciato da Bruxelles contro Mosca non ha sortito gli effetti sperati contro l’economia russa, danneggiando invece i mercati energetici, e non solo, dei Paesi membri.

La scelta di sanzionare Mosca con provvedimenti economici e diplomatici è stata certamente mossa dai valori di pace e dialogo che animano l’Unione, ma non solo: non prendere una posizione chiara contro la Russia avrebbe significato farsi un nemico potente oltreoceano, con ripercussioni forse ancora più disastrose sugli Stati del Vecchio Continente. Nella guerra appena scoppiata, suo malgrado, l’Europa, pur così vicina al conflitto, non ha costituito l’ago della bilancia dei rapporti internazionali, ma ha dovuto scegliersi l’alleato più potente, non potendo far altro che affrontare pazientemente le conseguenze della sua scelta.

D’altra parte è pur vero che Kiev ha dimostrato più volte l’interesse a entrare velocemente nell’Unione, implicitamente riconoscendo all’Europa un valore politico e strategico importante. I fatti però fanno propendere per l’idea che la volontà dell’Ucraina di diventare membro dell’UE sia molto più un espediente simbolico, il tentativo di mandare un messaggio di unità e condanna a Putin, costringendolo ad ammettere di aver attaccato un Paese sovrano pienamente inserito in una realtà sovrastatale antagonista alla Russia.

Ma, senza un suo esercito, senza una sua comune iniziativa politica, indebolita da spinte centrifughe, c’è davvero da chiedersi quanto l’Europa possa davvero essere qualcosa di più di un ideale simbolico di cooperazione.

CREDITI

Copertina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.