In questo film ci sono i dinosauri.
Questo articolo termina qui. Non serve scrivere nulla di più.
D’altro canto cos’altro dovremmo aggiungere. Basterebbe questo per far gridare al capolavoro qualsiasi bambino o adolescente cresciuto sul finire degli anni ’90 o a cavallo dei primi del 2000. Eppure oggi a quanto pare non basta più. Serve altro. C’è bisogno di spessore, di trame complesse che si intersecano su differenti piani e che siano in grado di garantire riflessioni filosofiche sulla condizione effimera dell’esistenza umana. Tutto questo in un film con lucertoloni alti quindici metri che scorrazzano per le vie di Malta e dintorni. Jurassic World – Il dominio ha ricevuto svariate critiche negative da parte del pubblico in sala, un fatto quasi inevitabile quando sulle tue spalle porti l’eredità di uno dei franchise cinematografici più famosi di sempre. Eppure non a tutti la pellicola è apparsa così tragica come alcuni l’hanno dipinta. Sorge spontaneo chiedersi: quest’ultimo capitolo della saga di Jurassic World è davvero un flop assoluto o il pubblico è diventato eccessivamente pretenzioso?
Verso la fine del dominio umano
Jurassic World – Il dominio inizia a quattro anni di distanza dai fatti del suo predecessore Il Regno Distrutto. Nel nuovo mondo che abbiamo ereditato dopo gli incresciosi incidenti verificatisi presso la Tenuta Lockwood i dinosauri hanno ricominciato a popolare i domini dell’uomo. Ben presto è stato evidente per tutti che l’unica possibile soluzione al problema era tentare la via della convivenza pacifica. L’essere umano però non ha la fama di avere particolare dimestichezza con il termine “pacifica”, motivo per cui nel sottobosco criminale sono sorti floridi mercati neri di reliquie preistoriche ed un commercio per milionari egocentrici di animali vivi fuori misura.
Un barlume di speranza per la libertà dei dinosauri sembra albergare nella figura di Lewis Dodgson, proprietario visionario dell’azienda farmaceutica Biosyn, che pare avere a cuore più di tutti la preservazione delle nuove specie che si stanno facendo largo nel mondo. A questo proposito ha creato la Biosyn Valley tra le Dolomiti italiane, una riserva sconfinata da regalare ai dinosauri come lascito personale. Ma l’ombra del potere si cela spesso dietro le più buone intenzioni. In particolar modo gli sviluppi della ricerca sulla clonazione dei fossili in campo umano ha attirato lo sguardo di Dodgson. Il magnate ha bisogno di scoprire i segreti nascosti nel DNA della piccola Maisie Lockwood, primo clone umano della storia tenuta al sicuro lontano da occhi indiscreti dalla coppia Owen e Claire, per rimediare ad un catastrofico errore che potrebbe segnare l’estinzione del genere umano e per fare ciò potrebbe dimostrarsi pronto a tutto.
Una storia da rivalutare
Una rapida analisi della trama ci mostra come il lavoro fatto sulla costruzione del plot narrativo non sia così tragico come appare a detta del pubblico pagante. La storia finalmente ci proietta in una nuova dimensione mai esplorata prima nei precedenti capitoli. I dinosauri fanno parte nel mondo e reclamano i propri spazi nei confronti dell’uomo. L’interazione fra le due specie dominanti è un qualcosa che nel campo del macroscopico, ovvero al di fuori delle mura del Jurassic Park o dei confini delle varie isole, è sempre stato affrontato solo marginalmente. Ora le dinamiche devono essere approfondite e Trevorrow prova a raccontarci spaccati di convivenza per rendere più coinvolgente l’atmosfera del film. Le scene con protagonisti i dinosauri in giro per il mondo sono un antipasto della portata più interessante che viene servita tra le strade i Malta, in una delle scene più adrenaliniche di Jurassic World – Il dominio ovvero l’inseguimento tra Owen, Claire e gli Atrociraptor.
Accanto alla ricerca di Maisie Lockwood, rapita dai tirapiedi della Biosyn per indagare il suo prezioso DNA, si affianca un’altra linea narrativa che ha come protagonisti la coppia formata dai professori Alan Grant e Ellie Sattler, coadiuvati dall’unico Ian Malcolm. Il trio di vecchia data, protagonista della prima trilogia di Jurassic Park, non compare nella pellicola esclusivamente come la più classica delle operazioni nostalgia per portare in sala i fan dei primi film, bensì ha un ruolo attivo e decisivo all’interno del dipanarsi della narrazione. Senza alcun dubbio l’inserimento nel cast di attori come Jeff Goldblum, Laura Dern e Sam Neill strizza l’occhio a chi di dovere e desidera attirare al cinema tutti coloro che, rimasti scottati dal passo falso de Il Regno Distrutto, si mostravano dubbiosi rispetto al precipitarsi al botteghino. Tuttavia il loro screentime risulta corposo e le loro interazioni personali concludono in un certo modo ciò che nei precedenti film era rimasto in sospeso.
Piccoli passi falsi nel Giurassico
Naturalmente ciò che abbiamo difronte quando ci sediamo in sala per vedere Jurassic World – Il dominio non è in alcun modo un capolavoro e risente di diversi punti deboli, in particolar modo in alcune scelte registiche e nella caratterizzazione di determinati personaggi.
Partendo da quest’ultimo punto non si può non porre l’accento sull’antagonista principale della vicenda, Lewis Dodgson. Il proprietario della Biosyn, che per chi non lo sapesse è colui che segretamente commissionò il furto dei vari campioni di DNA nel primo Jurassic Park, fa il suo ingresso come il più classico dei mastermind per il quale il fine giustifica sempre i mezzi. E qui termina il suo approfondimento psicologico. Non è un’esagerazione, letteralmente il suo personaggio segue il sentiero troppe volte abusato del milionario irrispettoso delle leggi della natura che sul finale della pellicola è costretto a pagare il conto con la propria vita. I suoi momenti patetici, che sembrano poter delineare un carattere maggiormente sfaccettato terminano in un nulla di fatto e così i suoi intenti non riescono a catalizzare mai davvero l’attenzione dello spettatore. Piccolo pregevole dettaglio registico è però la sua morte, per artigli e zanne dei Dilophosaurus, gli stessi che eliminarono il suo tirapiedi nel capitolo iniziale di Spielberg del 1993.
Se la trama di per sé possiede un spunto interessante da cui ramifica le sue vicende, un problema è sicuramente rappresentato dal ritmo forsennato con cui queste ultime si succedono. La frenesia dell’azione diverte il pubblico, ma in certi momenti quasi lo priva delle pause necessarie per entrare con più empatia nei rapporti tra i personaggi. Jurassic World – Il dominio vuole raccontare tanto e aggiungere tanti dettagli a ciò che si è visto negli anni precedenti, ma nel volerlo fare a tratti perde il proprio focus e corre senza respiro verso l’epilogo. I tanti interessanti spunti filosofici ed esistenziali che vengono forniti per riflettere riguardo il delicato equilibrio che intercorre tra uomo e natura, un elemento che riporta alle prime pellicole della saga se non direttamente ai romanzi di Crichton, risentono delle tempistiche action e contribuiscono a quella sensazioni di mancanza che attanaglia lo spettatore al termine della proiezione.
Chiaramente la mano dietro la macchina da presa non è quella di Steven Spielberg. Lo sguardo che proietta la propria ricerca artistica non segue pedissequamente le orme del suo celebre apripista, tuttavia non bisogna commettere l’errore di condannare alla damnatio memoriae un lavoro che invece possiede tanto di buono al suo interno. Il Dominio è sicuramente il miglior capitolo della nuova trilogia e si presenta come un film d’azione fantascientifico estremamente godibile. Pone una fine spirituale all’intera avventura di Jurassic Park e prosegue con onore il sogno infantile di un mondo abitato ancora una volta dai dinosauri.
“Checcefrega di Kubrick, c’abbiamo il Giganotosauro”
Eccoci quindi all’ultimo punto di questa nostra pseudoindagine cinematografica.
Perché va bene disquisire riguardo i dettagli e la coerenza della trama, va bene non accontentarsi di personaggi piatti ma pretendere un minimo di approfondimento psicologico, ma in un film come Jurassic World – Il Dominio, quale può essere l’unica cosa che conta davvero?
I dinosauri.
Ci sono e sono tanti. Una gioia per gli occhi e per il cuore.
Accantonando momentaneamente e parzialmente la deriva Velociraptor-centrica che aveva condizionato i primi due capitoli della saga, si è scelto di puntare al contempo su quantità e qualità, inserendo specie ben note agli appassionati più mainstream e altre più ricercate, capaci di affascinare con i propri tratti esotici. Dai sanguinari Atrociraptor al Moros Intrepido, dall’immenso Dreadnoughtus fino al momento quasi horror con protagonista il Therezinosaurus e i suoi lunghi artigli. Per non parlare poi del vero peso massimo messo in scena per fronteggiare il T-Rex di turno, stiamo parlando del Giganotosaurus, il carnivoro sovrano della Biosyn Valley che in poche apparizioni ruba la scena a tutti i suoi comprimari. Insomma ci sono zanne ed artigli in abbondanza che sbucano da dietro ogni angolo e adrenalina preistorica che corre senza freni .
Cos’altro potete desiderare di più?