La pandemia ha fatto in modo che si riconsiderassero molti aspetti della propria vita e questo ha portato a una inaspettata “svolta country“.
La svolta “country”
La realtà che ci siamo trovati davanti è stata quasi apocalittica. Nessuno, infatti, avrebbe mai immaginato, di dover passare per mesi, le proprie giornate in appartamenti di poche decine di metri quadrati. Le campagne, durante il lockdown, erano abitate da privilegiati agli occhi di chi non aveva nemmeno un balcone in casa propria. Questo divario ha fatto in modo che si insidiasse in sempre più persone il desiderio di ritmi meno frenetici, di una vita più salutare e tranquilla, ma anche più economica, perché gli appartamenti o le ville in campagna sono ormai quasi meno cari rispetto ad un appartamento in città.
Già prima che arrivasse il Covid nelle nostre vite, le persone che optavano per la vita “campestre” stavano cominciando ad aumentare. Questo soprattutto perché la vita nell’Hinterland porta a dei ritmi molto più dilatati rispetto alla stressante vita urbana, ma non solo. In campagna si vive in un ambiente con dei tassi di inquinamento molto più bassi rispetto alle metropoli o alle città densamente popolate. Durante il primo periodo della pandemia chi abitava in campagna poteva dedicarsi alle attività all’aria aperta con ripercussioni minori a livello psicologico, rispetto a chi l’ha vissuta dentro casa in città.
Il distanziamento sociale e lo smart working hanno fatto riflettere riguardo alle ragioni per cui si va ad abitare nelle grandi città. La motivazione principale, generalmente, è quella di avvicinarsi il più possibile al luogo di lavoro. Ma se le infrastrutture digitali permettono ormai il lavoro da remoto che bisogno c’è di passare le proprie giornate in mezzo al traffico e al caos delle città?
Si può parlare di deurbanizzazione?
La pandemia ha portato ad una decentralizzazione della città. Se da una parte ci sono i lavoratori che apprezzano il regime di home working, dall’altra ci sono gli esperti che si dicono preoccupati. La deurbanizzazione, infatti, causerebbe una perdita delle tasse immobiliari. Queste tasse forniscono un importante percentuale delle entrate nelle grandi città e vengono utilizzate per pagare servizi essenziali, come la polizia e la raccolta dei rifiuti. Senza considerare che, secondo le ricerche, gli incontri di brainstorming siano essenziali per lo sviluppo di nuove idee. Rimanendo a casa si potrebbe verificare un crollo dell’innovazione. Il giusto equilibrio potrebbe essere trovato per esempio lavorando da remoto solo per un paio di volte alla settimana e in ufficio i giorni restanti. Una sorta di smart working ma preso a piccole dosi. Al giorno d’oggi, dopo aver vissuto la pandemia, non è più pensabile far stare nello stesso edificio 7000 persone, come veniva considerato normale fino a due anni fa.
D’altro canto la risposta a queste rinnovate esigenze potrebbe essere l’attivazione di “progetti di paesaggio”, ossia interventi progettuali che facciano in modo che le persone non sentano la necessità di trasferirsi in una zona extra urbana, intervenendo proprio nel cosiddetto cortocircuito tra uomo e natura. Dunque una svolta ecologica, con più ossigeno e meno inquinamento, sfruttando i cosiddetti “corridoi ecologici”, fiumi, laghi, valli che restituiscono un equilibrio ambientale donando la biodiversità necessaria affinché la città possa evitare di diventare opprimente.
Lavoro da remoto
Grazie, poi, alla possibilità di lavorare da remoto, vivere in campagna offre la possibilità di lavorare con delle aziende presenti nelle grandi città, senza dover rinunciare alla pace e alla serenità della vita campestre. Esistono però anche alcuni svantaggi, come per esempio il digital divide, ovvero, il divario tra chi possiede un accesso ad internet e dispositivi digitali adeguati e chi no.
Il digital divide è ancora fortemente presente in molte aree del nostro Paese, soprattutto nelle aree rurali. Durante la pandemia, infatti, questa realtà si è palesata come problematica non indifferente per i lavoratori da remoto, che abitano queste aeree. Con infrastrutture tecnologiche più avanzate, molte più persone e molte più aziende potrebbero scegliere di spostarsi definitivamente nelle aree rurali. Il 5G potrebbe essere la risposta. Questa rete risulta fondamentale per ottenere una connettività a banda ultralarga e di alta qualità.
Visto e considerato questo scenario, l’obiettivo volto ad ottenere delle reti che possano coprire quelle aree che oggi soffrono del divario digitale è diventato uno dei principali punti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Sono stati stanziati dal governo 6,31 miliardi, per raggiungere gli obbiettivi europei di trasformazione digitale, anche grazie alle reti ultraveloci, la banda larga e il 5G.
5G e regolamentazioni
Nel PNRR troviamo tutta una serie di norme volte a facilitare e a eliminare gli ostacoli burocratici sia per quanto riguarda i permessi per le installazioni delle antenne, sia per eguagliare i limiti elettromagnetici italiani a quelli europei. Per entrare a far parte attivamente dell’industria 4.0, ed essere più competitivi a livello internazionale, le aziende ma anche i porti possono sfruttare i punti di forza del 5G, uno fra tutti liberarsi dai cavi.
Secondo uno studio commissionato da Ericsson e Qualcomm di Analysys Mason, è emerso come il 5G potrebbe essere considerato lo strumento di apertura verso una ripresa economica inclusiva e accelerare la trasformazione digitale, non solo delle industrie, ma anche della pubblica amministrazione. Da questo studio siamo venuti a conoscenza che per ogni euro investito sulla tecnologia del 5G si potrebbe ottenere un ricavo di 2,2 euro. I maggiori vantaggi economici sarebbero legati per l’appunto alla trasformazione digitale nelle aree rurali, ma anche nell’ambito dei servizi pubblici: sanità, istruzione, turismo e digitalizzazione.
Di vitale importanza, è pensare alla formazione dei giovani, in relazione ad un mondo del lavoro che sta vivendo delle forti trasformazioni. Non pensiamo solo al concetto di smart working, ma anche a nuove figure professionali legate alle altrettanto nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale e la robotica.
La rivoluzione digitale e di deurbanizzazione che stiamo vivendo rappresentano senza dubbio un’occasione. Un’occasione per evitare la sovrappopolazione di alcune aree, abbassare l’inquinamento e aumentare la produttività, l’occupazione e allo stesso tempo la qualità della vita.
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