Saturno è il secondo pianeta per grandezza del nostro sistema solare e il sesto in ordine di distanza dal Sole. Tra i corpi celesti che formano il nostro sistema solare è forse quello più iconico: la sua immagine è indistricabilmente legata ai grandi anelli che lo circondano. Una recente scoperta ha messo in luce che questi anelli non sono una caratteristica permanente, come si era sempre pensato. E se si stessero gradualmente “staccando” dal pianeta?
Un lungo e inevitabile addio
Ogni anno gli anelli di Saturno sono soggetti a numerosi fenomeni che ne determinano la dissoluzione. I micrometeoriti che li colpiscono e la radiazione solare disturbano i frammenti di ghiaccio che compongono gli anelli e li caricano di energia elettrica. L’equilibrio delle forze in gioco cambia e Saturno finisce per attrarre questi frammenti lungo le linee del campo magnetico negli strati più alti dell’atmosfera. A questo punto i frammenti passano allo stato gassoso. Gli scienziati chiamano il fenomeno “ring rain” (pioggia degli anelli), ed esso viene additato come una delle principali motivazioni che faranno perdere a Saturno i suoi inimitabili anelli.
La discussa origine degli anelli di Saturno
Saturno ha sempre confuso gli scienziati fin dai tempi di Galileo, quando si scoprì che il pianeta non era solo ma circondato da qualcosa di inusuale. Al tempo, le tecnologie a disposizione non gli permisero di capire che cosa stesse osservando nello specifico, ma oggi noi sappiamo che ciò che Galileo aveva scoperto erano proprio gli anelli. Quattrocento anni dopo, nonostante i progressi tecnologici fatti in questo arco di tempo, la comunità scientifica fatica a trovare delle risposte definitive sul loro conto. Sono ancora molte le domande che non hanno trovato una spiegazione definitiva, ma il recente studio su “Icarus” pubblicato ad opera di James O’Donoghue del Goddard Space Flight Center della NASA ha aggiunto un ulteriore pezzo al puzzle.
Il “suicidio” della sonda Cassini
La stima sulla grandezza degli anelli di Saturno è stata a lungo oggetto di discussione. Anche la sonda Cassini, che ha vagato nell’universo per vent’anni (1997-2017), di cui tredici passati tra Saturno e le sue lune, non ha saputo darci una misura precisa. Prima di perdere definitivamente il segnale, la sonda è riuscita a entrare nell’atmosfera di Saturno, inviando dati finché le è stato possibile. La missione Voyager del 1977 aveva già raccolto delle prove sul distacco di materiale dagli anelli in direzione di Saturno, ma con la Cassini è stato possibile studiare il fenomeno in maniera più precisa. Grazie a questi dati si è potuto fare una stima della grandezza degli anelli, seppur con un margine del 25/30% di errore. Sarebbe quindi una stima solamente indicativa, ma che ci permette di rispondere anche a un’ulteriore domanda: quanto sono antichi gli anelli di Saturno?
Due modelli a confronto
Gli scienziati pensavano da tempo che Saturno avesse acquisito i suoi anelli solo successivamente e che questi non fossero parte del suo aspetto fin dall’origine. Tuttavia, questa prospettiva è sempre stata divisa tra due ipotesi. La prima, che riteneva che gli anelli di Saturno si fossero formati quando il sistema solare era ancora in giovane età. In quel periodo, i corpi rocciosi volavano ovunque, perciò era probabile che un nuovo pianeta ne intercettasse alcuni e li facesse entrare in orbita al proprio equatore, lasciando che la gravità li appiattisse. Ma studi successivi iniziarono a entrare in conflitto con questa prospettiva, fino all’emergere di una seconda ipotesi. Molto probabilmente gli anelli di Saturno hanno un’età molto minore di quella che era sempre stata attribuita loro, forse attorno ai 100 milioni di anni (a quel tempo la Terra era già abitata da dinosauri). Questo ci permette di dividere la storia del sistema solare in due momenti: un prima e un dopo gli anelli di Saturno.
Una lunga diatriba
Seppur questa ipotesi sia ancora molto discussa, è probabile che gli anelli si siano formati quando una delle lune di Saturno si avvicinò troppo al pianeta e fu fatta a pezzi, creando una distesa di frammenti di ghiaccio e altri materiali di diverse dimensioni. Sostenere questa ipotesi significa aprirsi all’idea che gli anelli di Saturno siano una caratteristica temporanea, che prima o poi sarà destinata a scomparire. Lo stesso processo potrebbe aver coinvolto anche altri giganti come Giove, Urano e Nettuno, i cui anelli ora sono presenti solo in forma accennata. Questo vuol dire che c’è stato un tempo in cui il nostro sistema solare possedeva ben più di un pianeta con gli anelli.
Il periodo d’oro
La fortuna che abbiamo è che quelli che vediamo noi oggi sono “gli anelli di Saturno nel loro periodo d’oro” (così come ci fa sapere O’Donoghue stesso). Ai nostri occhi, dunque, lo spettacolo è immutabile, anche perché l’inaspettata teoria prevede che gli anelli spariranno non prima di 300 milioni d’anni, quindi un periodo temporale decisamente più lungo della vita umana ma che, su vasta scala, è insignificante. Ogni secondo, infatti, evaporano oltre 4,400 pound di acqua, pari a oltre una tonnellata di liquido. «È tristissimo pensare che in futuro gli anelli debbano scomparire» aggiunge O’Donoghue, pur dichiarandosi immensamente felice di avere la fortuna di vederli oggi.
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma
La dinamicità degli anelli di Saturno ci ricorda che l’universo è sempre in movimento e che tutto quello che vediamo oggi un giorno non ci sarà più. Per quanto immobile ci possa sembrare, ogni giorno le forze del cosmo lavorano per aggiungere delle nuove caratteristiche. È possibile che un giorno anche a Marte accada la stessa dinamica che ha visto protagonista Saturno: una piccola luna si disintegrerà e i frammenti vorticheranno intorno al pianeta rosso in una nuova e bellissima disposizione.
“Il nostro cosmo, in fin dei conti, è un designer di gioielli” scrive Marina Koren, giornalista della rivista statunitense «The Atlantic»: “nessuno di questi eventi ha una reale attinenza con la nostra vita quotidiana, eppure ci tocca il cuore a livelli cosmici“.
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