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Tra deontologia e politica: il lavoro del giornalista

Duro lavoro quello del giornalista. I fatti sono oggetti da maneggiare con cura, capaci di cambiare aspetto e impatto a seconda di come e con che frequenza vengono narrati.
Le parole hanno lo stesso mirabile potere: a seconda di come vengono utilizzate variano la forma e il significato del contenuto che esprimono. In quanto narratore di fatti il giornalista deve saper giostrare con efficacia i suoi strumenti e i suoi materiali di lavoro, riuscendo non solo a raccontare correttamente gli avvenimenti, ma anche a renderli appetibili al vasto pubblico di lettori che ha la facoltà di scegliere tra mezzi d’informazione sempre più diversificati.

È evidente che un lavoro così difficile e carico di responsabilità debba essere in qualche modo regolato da una sua etica, una deontologia che segni le linee e i perimetri entro i quali il giornalista può muoversi. Il termine deontologia individua infatti l’insieme di regole e canoni giuridici obbligatori che indicano il modo più corretto per sviluppare una certa professione, nel rispetto di tutte le parti sociali coinvolte nella stessa, dai lavoratori ai fruitori del servizio.

Le carte giornalistiche

La deontologia giornalistica è riassunta all’interno delle molteplici Carte che regolano il comportamento del giornalista nei vari ambiti dell’informazione. La più antica di queste norme risale al 1963 e prende la denominazione di Ordinamento della professione giornalistica. Al suo interno si trovano i settantaquattro articoli che gettano i pilastri fondamentali del giornalismo, sottolineando i diritti e i doveri del professionista dell’informazione. Nel 1988 ha visto la luce la Carta sull’Informazione e la Pubblicità, seguita poi dalla Carta di Trieste sulla tutela dei minori del 1990.

A cadenze irregolari ma costanti le norme sulla professione giornalistica si sono aggiornate, arricchendosi di nuove sfumature e di nuove attenzioni in conformità con le caratteristiche della società che il giornalismo è chiamato a raccontare. Giusto per citarne alcune: nel 2008 è stata approvata la Carta di Roma sui diritti dei migranti, nel 2011 si è raggiunta la firma della Carta di Firenze sul lavoro autonomo e precariato, fino ad arrivare all’ultimo aggiornamento del 31 ottobre 2016 con la Legge n. 198 che riassume e ridefinisce alcune delle norme fondamentali della professione.

Il controllo di queste norme è affidato all’Ordine dei Giornalisti, un organo pubblico fondato nel 1963 che gestisce l’Albo e vigila sull’operato dei suoi iscritti.

Il dovere trascurato verso la verità sostanziale di fatti

Le regole indicate dalle carte giornalistiche sono chiare e dettagliate, raccolte in brevi e incisivi paragrafi, in modo che risultino di facile comprensione e non si prestino a diverse interpretazioni. Eppure la loro incisività è paragonabile solo alla frequenza con cui vengono disattese. Per rendere la misura della crisi della professione giornalistica basti prendere ad esempio l’articolo 2 del Testo Unico dei doveri del giornalista (2016) che recita: «Il giornalista difende il diritto all’informazione e la libertà di opinione di ogni persona; per questo ricerca, raccoglie, elabora e diffonde con la maggiore accuratezza possibile ogni dato o notizia si pubblico interesse secondo la verità sostanziale dei fatti».

giornalistaLa Verità, quella con la v maiuscola, unica e incontrovertibile, è un concetto quasi metafisico, difficile da applicare ai fatti umani, politici e di cronaca. Non è quindi il raggiungimento della Verità assoluta che si richiede al giornalista. Ciò che invece deve essere il fine ultimo della professione è la «verità sostanziale dei fatti», una verità possibile nella piena consapevolezza dei limiti umani, che abbia però come unica bussola gli eventi e non le inclinazioni personali.

Non così avviene in molta informazione di oggi: i giornali sono sempre più evidentemente schierati a destra o a sinistra, con conseguente rappresentazione dei fatti e selezione delle notizie in virtù di tali preferenze politiche. Ormai le inclinazioni ideologiche dei vari quotidiani sono talmente lampanti che ai talk show politici spesso e volentieri vengono invitati proprio i direttori delle testate a sostenere l’una o l’altra tesi politica.

Il giornalista è umano, ma rimane un professionista

Parliamoci chiaro: pensare che un giornalista sia in grado di scindere sempre e completamente la narrazione dei fatti dalla sfera delle sue sensazioni personali è pressoché fantascienza. La creazione di un’opinione è un fatto biologico e inevitabile durante il processo di acquisizione di nuove informazioni. È perciò indubbio che anche il giornalista sviluppi una sua particolare opinione del mondo e che questa talvolta possa rientrare nelle modalità in cui presenta i fatti nei suoi articoli. Il riconoscimento di questa peculiarità del professionista dell’informazione in quanto essere umano non legittima però certi tipi di manipolazione colpevole e finalizzata dei fatti che molto spesso entra nelle pagine di quotidiani e nei servizi dei TG.

Un esempio lampante e facilmente riscontrabile nella quotidianità di ciascuno è il caso delle notizie sull’immigrazione: molto spesso le persone migranti vengono definite a sproposito «clandestine», oppure si inneggia alla catastrofe presentando l’arrivo di nuove imbarcazioni sulle coste italiane con termini apocalittici come «invasione», «allarme migranti», «esercito di migranti». Questi atteggiamenti persistono anche in periodi in cui il numero di sbarchi non costituisce affatto un’emergenza, come ha dimostrato lo studio recentemente condotto da Ipsos Mori.

Eppure la Carta di Roma fornisce chiare indicazione a proposito delle notizie sull’immigrazione, affermando la necessità di «usare termini giuridicamente appropriati» ed «evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte» riguardo i migranti. Questo tipo di presentazione della notizia, giustificabile spesso per l’inclinazione politica del giornale, può causare nell’audience una percezione distorta del fenomeno migratorio, allontanando il pubblico da quella «verità sostanziale dei fatti» che dovrebbe essere il primario obiettivo di ogni giornalista. E se da un lato è indubbio che il pluralismo sia la linfa vitale di un sano dibattito pubblico, dall’altra parte è anche indiscutibile che i fatti non dovrebbero avere colore politico e che fare cronaca sia un’attività ben diversa dall’opinionismo.

I limiti strutturali del giornalismo

Va preso atto che ormai l’informazione non circola più solo sui grandi quotidiani nazionali o sulle grandi reti televisive, ma anche su piccole testate spesso non registrate, che assumono senza richiedere l’iscrizione all’Albo dei Giornalisti. Ciò significa che i dipendenti di queste piccole realtà dell’informazione sovente non sono a conoscenza delle norme deontologiche della professione e, senza volerlo, spesso e volentieri le disattendono. Il problema è che poi anche queste notizie entrano nel vorticoso mondo dell’informazione online, arrivando anche a raccogliere un buon numero di lettori e trasmettendo loro una visione inavvertitamente manipolata degli eventi di cronaca.

giornalistaA questo si aggiunga che il lavoro del giornalista di questi tempi è sempre più complesso: articoli spesso pagati poco o per nulla, orari di lavoro dilatati per sottostare ai ritmi pressanti del web, minacce e querele per aver detto la verità su un fatto scomodo sono solo alcuni degli ostacoli che il giornalista di oggi deve superare.

Sempre di più sono i giornalisti costretti a vivere sotto scorta per aver svolto il proprio lavoro e ancora più frequenti sono i casi delle cosiddette SLAPP, strategic lawsuit against public partecipation, delle azioni legali, spesso assurde, intentate allo scopo di scoraggiare il giornalista a perseguire il suo scopo di raccontare la verità dei fatti. In molti casi la causa è poi persa dall’accusa, ma nel frattempo il giornalista ha dovuto affrontare economicamente e moralmente un vero e proprio processo.

Il risultato di queste violenze è un mondo del giornalismo sempre più demotivato a svolgere con cura e dedizione il proprio dovere verso la verità.

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