Ho ascoltato per la prima volta “London Calling” dei The Clash quando avevo 14 anni. È stato come il canto della Sirena che mi ha attratto nella capitale.
Mat Collishaw
La mostra
London Calling. British contemporary art now from David Hockney to Idris Khan è in mostra a Roma fino al 17 luglio negli spazi espositivi di Palazzo Cipolla. La Fondazione Terzo Pilastro, quindi, dopo il successo di Quayola, prosegue il suo percorso esplorativo nell’arte contemporanea. Per la prima volta in Italia da Hockney a Kapoor, passando da Hirst e i fratelli Chapman, si può vedere, attraverso una selezione di circa trenta opere, il risultato delle ricerche del Young British Artist (YBA). Gli artisti in mostra hanno tutti vissuto l’anticonformismo della Londra degli anni Sessanta e Settanta, vivendo la città intensamente e assorbendone le sue complessità. Questo vigore artistico è confluito per la prima volta in una mostra nel 1988, organizzata da Damien Hirst. Freeze è l’antenato della mostra di Roma, la quale rende conto della vitalità assoluta e originale del linguaggio degli anni Duemila.
Il visitatore si trova ad affrontare un percorso di visita condensato, dove la storia dell’arte contemporanea è analizzata sia dal punto di vista delle sperimentazioni stilistiche che delle ricerche di tipo più strettamente concettuali. Dipinti, sculture, installazioni e arazzi sono l’esempio di come la sperimentazione abbia coinvolto questi artisti. Le opere storiche di Hirst sono affiancate dalle sperimentazioni 4.0 di Hockney e soprattutto dall’arte nata durante la pandemia. La mostra London Calling ha l’obiettivo di indagare le tendenze e le manifestazioni più significative della storia contemporanea, sottolineando come arte e vita si incontrino perfettamente.
London Calling
La vitalità degli anni Sessanta e la crisi dei decenni successivi, con rinascita, sono la chiave di lettura del fare artistico inglese; a partire dalla mostra del 1959 New American Painting. Qui, il critico Lawrence Alloway aveva osservato che
Nessun altro paese al mondo avrebbe potuto allestire un’esposizione sulla pittura del dopoguerra paragonabile a questa.
Lo stesso, come scrive Javier Mollins sul catalogo, si potrebbe osservare per la mostra in questione. Se negli anni Cinquanta la Gran Bretagna era convenzionale e prevedibile, è a partire dal decennio successivo che qualcosa cambia. Londra si veste con minigonne e T-Shirt, arrivano i The Who, i Beatles e la modella Twiggy. I primi a percepire il cambiamento sono gli artisti i quali si iscrivevano a scuole d’arte prestigiose come la Royal College of Art e la Chelsea School of Art; rompendo spesso con i professori in cerca di un fermento che veniva riconosciuto anche oltre oceano. Negli anni Sessanta la possibilità di aprirsi delle opportunità è ad appannaggio dei più ampi strati della popolazione. Le barriere di classe si fanno sempre più sottili grazie alla crescita economica. Gli artisti si riconoscevano in una classe che viene definita in base all’energia e alle loro ricerche.
Era l’inizio del cambiamento, il quale confluisce nel movimento degli YBA. Londra diventa polo di attrazione per l’arte contemporanea che, in quanto a vivacità, nulla ha di invidiare a New York. Gli artisti di talento, chi per formazione, chi per vocazione, arrivano a Londra per lavorare insieme nei pressi dei grandi musei per trarre aspirazione. I lavori esposti a Roma sono tutti recenti, per mostrare come gli swinging sixties hanno condizionato l’arte degli ultimi cinquanta anni.
David Hockney; Micheal Craig-Martin; Sean Scully; Tony Cragg, Anish Kapoor; Julian Opie, Grayson Perry; Yinka Shonibare; Jake and Dinos Chapman; Damien Hirst, Mat Collishaw; Annie Morris; Idris Khan, per mostrare come l’universo Londra abbia influito sulla loro percezione di fare arte. Una città pericolosa e seducente la cui multiculturalità è la caratteristica che più la contraddistingue. Londra è presente in queste opere sia come influente che influenzata, dalle pitture di Scully fino all’orrido quotidiano dei fratelli Chapman.
Damien Hirst e i fratelli Chapman, quando la morte incontra l’arte
Gli artisti dello YBA cercano gli elementi del reale e li condensano in un modo tutto soggettivo per fare la loro arte. Un esempio di questo modo di esprimersi lo troviamo nelle opere esposte di Hirst e dei fratelli Chapman. Hirst è il padre dell’arte contemporanea inglese e la maggior parte dei suoi lavori indaga la relazione diretta e sostanziale che esiste tra la vita e la morte. Glen Matlock (1996-1997) è la sintesi di uno studio medico pieno di confezioni di farmaci, bottigliette e oggetti utilizzati nel sistema sanitario. Con un lavoro certosino l’artista indaga le ansie dei nostri giorni, utilizzando una sintassi che unisce la grammatica pop e astratta con riferimenti alla mentalità consumistica. Un’opera che affronta la questione della mortalità, della dipendenza dai farmaci e della fragilità del corpo umano favorendo lo sviluppo della storia dell’arte.
Diverso è il lavoro dei fratelli Chapman, i quali presentano due opere che vogliono sottolineare la presenza della morte nel nostro quotidiano. Life and Death Vest (Rush Hour) del 2017, è un modello di un giubbotto antiproiettile fuso in bronzo. La provocazione è evidente e i limiti del buon gusto vengono infranti. I fratelli Chapman mettono in luce la banalità della violenza nel mondo che si vede in televisione con umorismo e voyerismo. La scultura, quindi, diventa il simbolo di quella morte che nei media viene narrata e venduta come normale e necessaria, dimenticando che dentro c’è un cuore che batte la cui testa è di un sistema che il soldato, spesso, neanche conosce.
Dello stesso anno è The Disaster of Everyday Life basandosi sui Disastri della guerra di Goya (1810-1820). La violenza della guerra spagnola di indipendenza dialoga con stampe aggiunte dagli artisti con elementi prosaici. Una azione che sottolinea l’indifferenza e l’ipocrisia acquisita dalle persone mentre accettano le notizie sulla guerra come aspetto inevitabile della loro vita.
David Hockney e Anish Kapoor: l’importanza della sperimentazione tecnica
Hockney è il più anziano da un punto di vista anagrafico, ma il più moderno per quanto riguarda la freschezza della ricerca artistica ed espressiva. Hockney, che nel corso della sua carriera si è sempre distinto per la varietà di tecniche utilizzate, a Roma presenta le opere prodotte sul proprio iPad. Queste sono opere che si caratterizzano per una attenzione sia psicologica che emotiva, dove il colore digitale è utilizzato espressamente per fini creativi.
Per lavorare sull’iPad bisogna saper sia disegnare che dipingere.
Con questa frase Hockney risponde a chi ha dubitato della qualità estetica e artistica dei suoi lavori. Less Trees near Warter del 2009 oppure Plug del 2011, sono lavori creati sullo schermo che poi vengono stampati in grandi dimensioni, permettendo al visitatore di studiare ogni singola pennellata. Una selezione di lavori che fa emergere sia la natura del soggetto trattato che la personalità giocosa di Hockney; lavori digitali che hanno la presenza materica di una pennellata e la percezione emotiva di un gran capolavoro. Hockney, in questo modo, ci mostra che le vie della sperimentazione tecnica sono infinite e che, anche con l’iPad, un artista può esprimere la sua personalità.
Anish Kapoor lavora con la polvere, il vuoto e la percezione che questi due materiali realizzano. Kapoor utilizza una gamma di colori che rimanda ai mercati di spezie del Marocco, dove la vita si esprime con materiali semplici ma pregiati. Dialogando sia con Michelangelo che con Brancusi; Kapoor ricerca la potenzialità espressiva dei suoi materiali sia che si tratti di alabastro che di acciaio inossidabile, creando forme e strutture che trasportano i visitatori in luoghi mentali ed emotivi. Lo spettatore incontra l’opera, il quale percepisce un forte impatto fisico e visivo. Le sculture esposte hanno quindi una forte forza attrattiva. Magenta Apple Mix 2 del 2018, le forme famose di Kapoor, con la sua forma concava capovolge i riflessi e rifrange ogni suono e rumore della galleria creando un ambiente straniante.
Julian Opie e Sean Scully, tra modernità e tradizione
Julian Opie è un collezionatore di immagini, dall’arte al fumetto passando dalle immagini della sua mente. Le sue opere sono rigide nel disegno ma flessuose nel movimento, infatti i suoi ritratti sono una semplificazione della figura umana. Opie semplifica il linguaggio per reinterpretare la sintassi della vita quotidiana; prendendo spunto dai cartelloni pubblicitari ai segnali stradali per rievocare la percezione visiva ed estetica del mondo che ci circonda. Le sue persone sono ridotte al minimo con una sintesi che tuttavia consente di comunicare la personalità dei soggetti realizzati. I protagonisti di Old Street December 2 e di Old Street June 2 sono diversi tra loro e si presentano sulla scena ognuno con il suo carattere.
Se Opie dialoga con il Pop, dove il movimento è strumento espressivo, Sean Scully si basa sulla tradizione dell’Astrattismo americano. Le sue pennellate costruiscono campi tonali e materici differenti tra di loro ma in dialogo, dove l’equilibrio è il principale elemento formale. Scully, che ha studiato la tecnica di Van Gogh e visto la luce del Marocco nel 1969, realizza quadri intensi e immersivi. I blocchi di luce formano della pareti e il riferimento all’architettura è realizzato nel suo lato umano e non materiale.
Black Square Night del 2020 è il dipinto più recente in esposizione. Realizzato durante il lockdown, Scully, con il sostegno di Malevic, riflette le sensazioni che abbiamo vissuto in quei giorni complicati e dal futuro incerto. Il quadrato nero interrompe il flusso orizzontale della gamma dei blu, diventando il simbolo dell’interruzione delle nostre vite. Come una finestra che all’improvviso si è chiusa, chiudendo ogni flusso della luce e portando l’uomo a misurarsi con le sue insicurezze.
Per una conclusione
Da questa mostra si esce con la consapevolezza che l’Inghilterra e l’Europa hanno continuato a produrre arte nonostante il dominio economico delle altre realtà del mondo. Ma anche che la storia dell’arte resta come strumento primario che gli artisti utilizzano per sperimentare, indagare ed esprimersi. Gli artisti della YBA hanno preso le ricerche Pop e astratte le hanno calate nella loro realtà storica. infatti, il Pop di Hirst e di Opie denunciano una condizione esistenziale precaria così come l’astrattismo informale di Scully.
E poi c’è la denuncia politica e sessantottina di Mat Collishaw. Egli indaga le ambiguità morali con immagini affascinanti sia dal punto di vista estetico che formale. Seria Ludo (2016) è una scultura animata con la prototecnica dello zootropio che suscita eccitazione e riflessione. Il lampadario, simbolo dell’età vittoriana è abitato da figure lascivie che rappresentano la depravazione dei tempi moderni a partire dagli anni Ottanta. L’età dell’opulenza, della ricchezza e dell’apparire viene raffigurata e criticata dall’artista, il quale ridicolizza ed esagera nella rappresentazione. La moralità vittoriana è stata surclassata dal benessere creato con le leggi della Thatcher, la quale ha dato ricchezza ma ha anche creato crepe sociali. Collishaw rappresenta, quindi, la nostra società come piramide sociale ben gerarchizzata, dove in cima si balla con musiche celestiali e in basso si sguazza nella propria apparenza e superbia.
L’Inghilterra di Palazzo Cipolla, infine, si presenta nella sua totalità, dove Londra è rappresentata sia come creatrice che come distruttrice.
Fonti
London Calling. British contemporary art now from David Hockney to Idris Khan, a cura di Javier Molins e Maya Binkin, Gli Ori, Pistoia 2022.
Credits
Tutte le immagini sono a cura del redattore.