Osservando i rapporti di politica estera e internazionale si trovano ovunque dissidi incancreniti, rapporti rotti da separazioni ideologiche ed economiche che sembrano incolmabili, una certa stabilità che trova proprio nel conflitto il suo nucleo costante. In questo complesso ordine mondiale la guerra tra Ucraina e Russia è stata come la caduta di un sasso nell’acqua: espandendosi per cerchi concentrici ha illuminato la scena internazionale non solo con il bagliore delle bombe, ma anche con l’individuazione di nuove opportunità lasciate inespresse in vecchi conflitti. In quest’ottica si può inserire anche il pluridecennale disaccordo tra Grecia e Turchia, che sembravano aver trovato nella gestione del conflitto in Ucraina un possibile motivo di distensione.
Talvolta però un semplice sasso nell’acqua non è sufficiente a cambiare radicalmente le cose e, dopo un periodo in cui sembrava possibile un dialogo tra Ankara e Atene, i vecchi malumori potrebbero tornare più forti che mai.
Questioni economiche
Partiamo dall’inizio: perché Turchia e Grecia hanno sviluppato una reciproca antipatia? Quali sono origini e fondamenti di questo disaccordo storico?
Come spesso accade in questioni di ordine internazionale, nella disputa tra Ankara e Atene c’è di mezzo una questione economica. Le conflittualità nascono nel 1973, quando la Turchia cominciò ad elargire con decisione unilaterale una serie di permessi per l’esplorazione del fondo marino a largo delle isole greche di Lesbo, Chio, Psarà e Antipsarà. La concessione di questi accordi senza un previ consulto delle autorità greche mirava a togliere legittimità alla tesi secondo cui le isole greche, pur così vicine alla costa turca, possiedono la loro piattaforma continentale al di fuori delle dodici leghe nautiche delle loro acque territoriali.
Ancora oggi Ankara rivendica la legittimità degli accordi unilaterali, dal momento che il rapporto giuridico tra le isole in questione e la piattaforma continentale non è stato citato dalla stessa Atene né negli accordi con l’Italia per la gestione delle isole del Mar Ionio, né nel patto stipulato con Il Cairo nell’estate scorsa.
Questioni politiche
Il fronte economico non è però l’unico ambito in cui si sono addensati i dissidi tra le due potenze dell’Egeo. Si aggiunge infatti anche l’insidiosa vicenda politica di Cipro, isola contesa tra Ankara e Atene dalla proclamazione della sua indipendenza nel 1960. Con la nascita della Repubblica introdotta dopo la fine della dominazione inglese sull’isola, la comunità turco-cipriota e quella greco-cipriota hanno imposto tutta una serie di pesanti limitazioni in favore dell’una o dell’altra nazionalità, dimostrando fin dall’inizio la difficile coabitazione delle due etnie.
In particolare l’ordinamento dell’isola prevedeva l’elezione di un presidente necessariamente greco-cirpiota, mentre la carica di vicepresidente doveva essere garantita ad un membro della comunità turco-cipriota. Ugualmente, la Costituzione prevedeva una divisione del parlamento in trentacinque membri greco-ciprioti e quindici turco-ciprioti, mentre il governo si sarebbe diviso in sette ministri della comunità greca e tre di quella turca.
Questo rigido compromesso tra etnie implode quando nel 1963, a seguito di violenze sul piano interno tra le comunità, i membri turco-ciprioti abbandonano il governo. La situazione degenerò presto in una violenza incontrollata che ha reso necessario l’intervento di una missione Onu.
La dittatura dei colonnelli in Grecia e l’ascesa politica del gerarca fortemente ostile alla Turchia Dimitrios Ioannides non hanno certo contribuito a una distensione dei conflitti a Cipro, che nel 1974 è stata vessata da un colpo di Stato della Guarda Nazionale Greca che puntava al rovesciamento dell’allora premier cipriota Makarios per promuovere l’annessione dell’isola. Contestualmente all’offensiva ellenica, la Turchia ha promosso un’intensa operazione militare che ha permesso l’occupazione della parte settentrionale dell’isola. Questa divisione – greci a sud e turchi a nord – è destinata a restare una caratteristica politica peculiare di Cipro, tanto che nel 2004 l’isola è entrata nell’Unione Europea come un Paese diviso.
Santa Sofia: emblema della determinazione turca
Nel luglio del 2020 per iniziativa del presidente turco Erdogan la basilica di Santa Sofia a Instabul, sede storica del patriarcato ortodosso convertita in moschea sotto l’impero ottomano e resa un museo dagli anni ’30 del 900, è stata riconsacrata come moschea, bandendo la storia cristiana del meraviglioso edificio. Il fatto ha avuto certamente una valenza simbolica, emblema di una politica estera turca sempre più minacciosa. Erdogan avrebbe infatti approfittato di una latente arrendevolezza del premier greco Mītsotakīs, il cui esecutivo si è dimostrato più volte poco interessato ad aprire un nuovo conflitto con Ankara.
Evidentemente, finché l’offensiva di Erdogan si limitava a qualche piccola dimostrazione di forza o alla conversione religiosa di edifici, il tutto restava ancora nei limiti dell’accettabile. Ma la questione si è fatta del tutto diversa quando nella contesa si inseriscono interessi legati allo sfruttamento degli idrocarburi. Impossibile per il governo greco mantenere il distacco istituzionale quando Ankara, alla fine dell’estate del 2020, ha minacciato la sovranità greca sull’isola di Kastellorizo, appena 9 km quadrati di superficie dai quali è nata una contesa su 50mila km quadrati di piattaforma continentale.
Atene rivendica la proprietà della piattaforma continentale, nelle profondità della quale si trovano preziosi giacimenti di idrocarburi proprio sulla base della giurisdizione su Kastellorizo. Ankara da parte sua non intende accettare la bandiera greca sulla piccola isola (che i turchi chiamano anche con un altro nome, Meis) vista la stretta vicinanza alle coste turche. Durante tutta l’estate Erdogan ha inviato navi, opportunamente scortate da imbarcazioni da guerra, per trivellare il fondale del tratto di mare conteso alla ricerca di idrocarburi, portando a livelli altissimi la tensione con la Grecia spalleggiata dalla Francia.
Grecia e Turchia sempre sull’orlo dello scontro
La contesa sulle isole del Mediterraneo e dell’Egeo sembrava aver finalmente trovato una sua soluzione pacifica nel gennaio del 2021, quando Ankara e Atene avevano acconsentito a far partire delle discussioni diplomatiche sull’argomento. Il conflitto in Ucraina ha comportato un’ulteriore distensione dei rapporti tra Grecia e Turchia, riflesso e conseguenza del dialogo aperto tra Macron, importante sostenitore di Atene, ed Erdogan. Macron ed Erdogan infatti sono stati gli unici leader ad aver aperto a un dialogo con la Russia con l’obiettivo di trovare una soluzione pacifica che termini la guerra russo-ucraina. Il presidente turco ha anche porto scuse ufficiali a Macron per averlo definito, nel 2020, un leader con “l’encefalogramma piatto”.
I vizi però sono duri a morire: nell’estate del 2022 Erdogan ha annunciato il fallimento dei tentati accordi sul Mediterraneo e l’Egeo con la Grecia e ha accusato il premer Mītsotakīs di aver criticato implicitamente la Turchia nel corso di una visita a Washington, in modo da condizionare la fornitura da parte degli Usa di aerei da combattimento F-16 ad Ankara.
Insomma, sembra che la tensione tra Grecia e Turchia sia destinata a perdurare ancora, lasciando i due paesi sempre sull’orlo di un conflitto aperto, in bilico tra minacce reciproche e accordi impossibili.
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