Una delle sfide più importanti e decisive del nostro secolo è senza dubbio salvare il pianeta terra o, per essere maggiormente realistici, salvare l’ambiente. Più correttamente salvare l’attuale equilibrio ambientale, i suoi ecosistemi e le forme di vita che ad oggi popolano il creato, più precisamente ancora e senza retorica, salvare noi stessi tutelando le condizioni ambientali affinché rimangano a noi favorevoli o, se non altro, che non peggiorino troppo. Comunque la si voglia mettere la questione climatico-ambientale è cruciale: dall’inquinamento allo sfruttamento delle risorse. Questo articolo si propone di illustrare un innovativo metodo per combattere contemporaneamente questi due macro-problemi, affrontando due problemi più localizzati, l’uno riguardante l’inquinamento, l’altro lo sfruttamento delle risorse.
Lo sfruttamento delle risorse ittiche
Il consumo di pesce è di molto aumentato negli ultimi decenni. Si stima infatti che il consumo globale di pesce per fini alimentari sia cresciuto alla velocità media del 3,1% annuo fra il 1961 e il 2017; tutto ciò a fronte di un incremento del 2,1% degli altri alimenti proteici e una crescita del 1,6% della popolazione globale nello stesso periodo. Per farsi un’idea più precisa basti pensare che nei paesi più ricchi il consumo medio di pesce (sempre relativamente al periodo 1961-2017) è aumentato da 17,4 kg a 24,4 kg pro capite, toccando la vetta di 26,4 kg nel 2007. Nel medesimo periodo nei paesi in via di sviluppo è aumentato da 5,2 kg pro capite a 19,4 kg e, nei paesi più poveri, crescendo anche questi ultimi, da 6,1 kg nel 1961 a 12,6 kg.
E fin qui nessun problema, non fosse per il fatto che le risorse naturali non sono infinite. In più, stando alle stime, la domanda di pesce raddoppierà entro il 2050. A ciò si aggiunga che il prezzo del pesce, negli ultimi vent’anni, è decisamente aumentato, creando così un ulteriore problema. Con i mari sfiniti urge trovare una soluzione che risolva anche il problema della disponibilità. Una possibile soluzione potrebbero essere gli allevamenti ittici che ad oggi soddisfano circa metà del fabbisogno mondiale di pesce. Ma ciò non basta per offrire una soluzione ecologica e al contempo economicamente conveniente.
Il problema del metano
La concentrazione di metano nell’atmosfera sta crescendo a ritmi vertiginosi da 700 ppb (parti per miliardo) nel periodo antecedente alla rivoluzione industriale a 1.900 ppb nel periodo odierno. Nonostante sia decisamente più raro dell’anidride carbonica il suo potenziale climalterante, ovvero di riscaldamento globale, è maggiore di ottantacinque volte in un periodo di vent’anni e di venticinque volte considerando un secolo. Annualmente vengono rilasciate seicento milioni di tonnellate di metano nell’atmosfera di cui il 30% è dovuto all’estrazione di combustibili fossili. Si stima che il metano da solo sia il responsabile del 30% del riscaldamento globale, secondo solo alla CO2.
L’unico aspetto positivo è che il metano, a differenza della CO2, è un inquinante climatico di breve durata, ovvero, nel giro di una decina d’anni in atmosfera si degrada. Ovviamente però, se le emissioni continuano ad aumentare, il fatto che il metano abbia vita breve è poca cosa per il clima e, in particolare, per noialtri. Se invece riuscissimo a ridurre le nostre emissioni di metano, diciamo del 45% entro il 2030, l’impatto sarebbe decisivo con un risparmio sull’aumento della temperatura globale di 0,3 gradi celsius al 2045 (stando ai dati del rapporto redatto dalla Climate and Clean Air Coalition). Non a caso (e, speriamo, non in vano) alla COP26 di Glasgow più di cento nazioni hanno promesso, firmando il Global Methane Pledge, di ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030.
I batteri metanotrofi e un’inaspettata soluzione
Ed eccoci al punto in cui le due strade si congiungono dove, inaspettatamente, diventa realistico utilizzare il metano come cibo per pesci, tutto grazie all’intervento dei batteri metanotrofi. Questi ultimi sono degli eucarioti in grado di metabolizzare il metano; quel metano che purtroppo abbonda nell’atmosfera dalla quale, però, lo si può estrarre e riadoperare in vista di nuovi utilizzi. Essenzialmente, secondo le ricerche della Stanford University, sarebbe sarebbe possibile allevare i pesci nutrendoli di questi batteri metanotrofi, che verrebbero allevati all’interno di un sistema di bioreattori e verrebbero nutriti con metano, ossigeno e altri nutrienti (anziché di soia e altri mangimi per pesci), e, ciliegina sulla torta, il tutto avverrebbe a dei prezzi concorrenziali.
Infatti, se il prezzo medio del mangime per pesci negli ultimi dieci anni si aggira intorno ai 1.600 dollari per tonnellata, quello del mangime prodotto dai metanotrofi alimentati col metano proveniente dai pozzi di petrolio è 1.546 dollari per tonnellata. Il prezzo aumenta, pur non essendo di molto superiore alla media, se il metano viene ottenuto dai depuratori, aumentando fino a 1.645 dollari per tonnellata.
In ogni circostanza la maggiore spesa di produzione è quella legata all’elettricità che arriva a costare il 45% del prezzo totale; ne consegue che, in stati dove l’elettricità costa di meno, il prezzo totale cala drasticamente con diminuzioni fino al 20%, arrivando a costare (in Texas e in Mississippi) 1,214 dollari, ovvero 386 dollari in meno per tonnellata rispetto al prezzo medio. La grande spesa legata all’elettricità è dovuta al bioreattore, quest’ultimo infatti necessità di essere costantemente raffreddato. In ottica risparmio una possibile soluzione potrebbe dunque essere migliorare la dispersione del calore da parte del bioreattore.
Due piccioni con una fava
Dunque, questo progetto permetterebbe di risolvere (o, quantomeno, contribuire alla risoluzione) di due importanti problemi. Da una parte solo si potrebbero diminuire, tramite l’estrazione di metano dall’atmosfera, come avviene anche per l’anidride carbonica, l’inquinamento atmosferico e lenire tutti i problemi ad esso connessi che ci sono ben noti. Contemporaneamente si andrebbe a intervenire sulla produzione del pesce, trovando un metodo alternativo che permetta da un lato di alleviare la pressione sui mari e dall’altro di riutilizzare utilmente il metano estratto. In più, a differenza di altre opzioni ecologiche costose e impegnative, questa avrebbe il vantaggio di poter offrire prodotti ad un prezzo pari all’attuale valore di mercato, se non addirittura inferiore.
Quindi, a fronte dei preoccupanti dati riguardanti il surriscaldamento globale emersi durante la COP26 di Glasgow, sperando di non andare in contro alle più catastrofiche previsioni riguardo il cambiamento climatico e considerando la concretezza di questa proposta sarebbe veramente imperdonabile non sfruttare questa singolare alternativa ecologica.
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