Quanta plastica abbiamo in corpo?

L’inquinamento da plastica colpisce l’ecosistema di ogni essere vivente. Tracce di plastica sono state trovate nella fossa delle Marianne, nel ghiaccio dell’oceano glaciale artico e anche nell’acqua di cui ci nutriamo ogni giorno. Da strumento nato per realizzare delle palle da biliardo più economiche a materiale più prodotto e sfruttato al mondo, nel giro di un secolo la plastica è diventato un elemento fondamentale delle nostre esistenze. Ma per quanto siano innegabili i vantaggi a cui essa ha dato vita, oggi la plastica è diventata un problema di dimensioni planetarie che richiede di essere affrontato.

Un po’ di storia

Era il 1862 quando l’inglese Alexander Parkes, chimico e inventore, diede alla luce una delle invenzioni che avrebbero cambiato il mondo: la plastica. L’idea nasce dagli studi sul nitrato di cellulosa, da cui isolò il primo materiale plastico semisintetico, che denominò con il nome di Parkesine, anche se poi si diffuse con il nome di Xylon. Da questa prima idea sono ancora molte le tappe da percorrere per arrivare al materiale che conosciamo noi oggi. Come ogni invenzione che ha cambiato l’umanità, la storia che si porta dietro è lunga e piena zeppa di nomi, ma quel lontano 1862 segna l’inizio di un cambiamento rivoluzionario.

Dagli anni Sessanta in poi, decennio in cui il materiale è ufficialmente entrato a far parte dei consumi di massa, una vita senza plastica non è più concepibile. Nonostante oggi ci troviamo a fare i conti con il problema opposto, quindi con un consumo eccessivo del materiale, è importante sottolineare i benefici che la plastica ha portato con sé in ogni ambito della vita: dalla produzione di vestiti a quella di elettrodomestici, dalla ricerca scientifica alle cure mediche. Oggi, proprio quel materiale che ha permesso alla vita di milioni di persone di diventare più semplice è diventato il primo nemico da combattere.

Il problema in breve

Una bottiglietta che finisce in mare impiega oltre 450 anni per degradarsi. Si tratta di una cifra indicativa ma che restituisce un’idea abbastanza chiara sulla pericolosità del materiale, specialmente se distribuito e smaltito nel modo sbagliato. Se confrontata con un essere umano la plastica è molto più longeva e questo fa sì che un pezzo di plastica consumato da una persona nel 2021, generazioni dopo è potenzialmente ancora presente sul pianeta sotto forma di microplastiche.

Il problema delle plastiche è che contengono e rilasciano sostanze chimiche pericolose per la salute di tutti gli esseri viventi, umani in primis. Se a questo fattore si aggiunge il problema dello smaltimento di rifiuti, che senza troppe considerazioni permette a tonnellate di spazzatura di finire in mare, si può facilmente intuire come la salute di tutti noi sia continuamente messa in pericolo.

Dieta plastica e nuove prospettive alimentari

Anche l’uomo mangia plastica. Questa frase sembra così assurda da rasentare l’inverosimile, ma è la triste verità a cui siamo stati posti di fronte da uno studio realizzato dall’Università di Newcastel, a nord di Sydney, e commissionato dal WWF. Che il problema della plastica fosse grande e importante da combattere era chiaro a tutti, ma forse mancava una consapevolezza sulla sua grandezza. Lo studio si intitola “No Plastic in Nature: Assessing Plastic Ingestion from Nature to People” (più o meno: “No plastica in natura, analizzando l’ingestione di plastica dalla natura alle persone”) e mette insieme oltre cinquanta ricerche precedenti per dare vita a una panoramica su come l’inquinamento da plastica abbia direttamente colpito la nostra vita, entrando a far parte dell’ alimentazione quotidiana. Può sembrare strano accostare due tematiche all’apparenza così diverse, ma lo studio dimostra che una persona ingerisce approssimativamente cinque grammi di plastica ogni settimana, pari a una carta di credito. Questo vorrebbe dire che in un mese mangiamo una quantità di plastica pari a quella contenuta in una gruccia e i numeri crescono se prendiamo in considerazione un arco temporale maggiore.

Gli alimenti più nocivi

Sempre secondo lo studio, le principali fonti di ingestione di plastica sarebbero l’acqua, che arriverebbe a contenere una percentuale pari al 94,4% di microplastiche per cinquecento millilitri; i frutti di mare, poiché vengono cucinati e ingeriti nella loro interezza (apparato digerente compreso) dopo una vita passata nei mari inquinati; la birra, per la cui produzione è indispensabile l’acqua e, infine, il sale, che si ricava a partire dalle acque marine.

Le prospettive sull’ingestione di plastica in un arco temporale ampio non sono ancora state ben documentate, ma certi studi hanno riportato che l’inalazione di sostanze plastiche può produrre un’infiammazione delle vie respiratorie. Negli animali marini la presenza di microplastiche nell’apparato digerente e respiratorio ha portato a una morte precoce e la sorte potrebbe non essere molto diversa anche per noi.

La plastica è dentro di noi

E se ancora non si è convinti della presenza soffocante che la plastica ha assunto nelle nostre vite, può essere interessante riportare il resoconto di un altro studio realizzato ad opera dei ricercatori dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma e dell’Università politecnica delle Marche.

Cartellone di una manifestazione ambientalista che recita "non abbiamo più tempo"

Nello studio sono state analizzate le placente di pazienti sane e consenzienti che hanno dimostrato la presenza di dodici particelle di plastica con dimensioni comprese tra i dieci e i cinque micrometri. Grazie all’uso di strumenti all’avanguardia, i ricercatori hanno identificato che alcune delle particelle ritrovate erano in polipropene, una delle tipologie di plastica più usate per il packaging monouso mentre altre presentavano dei pigmenti colorati impiegati nel mondo della cosmesi. Nonostante il resoconto finale della ricerca non abbia ancora portato a una risposta definitiva, si può facilmente intuire come la presenza di sostanze esterne e nocive nella placenta sia in grado di alterare la comunicazione tra l’organismo materno e il feto e, quindi, di causare complicazioni durante la gravidanza.

Soluzioni ne abbiamo?

Combattere il problema significa dover risalire alla radice di tutto, e questa potrebbe essere indentificata nell’approccio consumista e disinteressato che abbiamo per le cose. Viviamo in un ecosistema sorprendente ma retto da un equilibrio precario e prossimo al disfacimento.

L’ingestione di plastica è solo la punta dell’iceberg di un problema molto più grande che presto, volenti o nolenti, saremo costretti ad affrontare. L’inquinamento da plastica sta uccidendo il nostro pianeta e se ancora non abbiamo subito gli effetti devastanti che questo porta con sé è solo per una questione di fortuna. Serve un’azione urgente, congiunta di consumatori, aziende e governi, che prenda in considerazione la tematica con concretezza. Rimandare o formulare false promesse non serve a nulla perché il nostro pianeta è come un domino: se una pedina cade, prima o poi, cadremo anche noi.

 

 

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