La malinconia: da Baudelaire a Nadia Campana

La malinconia è un lieve sentimento di tristezza e nostalgia che ha attraversato secoli di letteratura e cultura. Da Baudelaire e Leopardi a Nadia Campana, poetessa italiana che ha saputo incastonare nei suoi scritti l’ansia di una malinconia incomunicabile.

La bile nera

Letteralmente, la parola “malinconia” (o melanconia) significa “bile nera” (melàinē cholē).

Era uno dei tre elementi che costituivano la Teoria umorale, il più antico tentativo, nel mondo occidentale, di fornire una spiegazione delle cause delle malattie.

Secondo Ippocrate di Coo (Coo, 460 a.C. circa – Larissa, 377 a.C. circa) l’esistenza è costituita da quattro umori: bile nera, bile gialla, flegma e sangue (umore rosso).

Il buon funzionamento dell’organismo deriverebbe dall’equilibrio dei quattro umori, definito “eucrasia”; quando invece non sono in equilibrio si parla di “discrasia”.

Galeno (Pergamo, 129 – Roma, 201 circa), medico romano la cui dottrina domina tutto il mondo occidentale fino al Rinascimento, ebbe modo di ampliare la teoria di Ippocrate. Quanto alla bile nera, affermò che un eccesso di questa all’interno del corpo avrebbe portato alla melanconia, un sentimento perpetuo di impotenza e scoraggiamento.

Galeno arrivò anche a definire i principali caratteri umani sulla base dei quattro umori: il malinconico, il collerico, il flemmatico e il sanguigno.

Leopardi e Baudelaire

Proprio della malinconia si nutre la letteratura, uno degli strumenti di espressione dell’animo umano più antichi e fecondi. Da Orazio con il suo taedium vitae, alla disillusione leopardiana, allo spleen di Baudelaire e alla noia di Madame Bovary, la malinconia riesce a contrastare lo scorrere del tempo e ad assumere un aspetto diverso di epoca in epoca.

Per Giacomo Leopardi “chi conosce intimamente il cuore umano e il mondo, conosce la vanità delle illusioni e inclina alla malinconia”.

La malinconia ha una nota quasi dolceamara e ha un valore conoscitivo: tramite la malinconia l’uomo può liberarsi delle illusioni che gli impediscono di conoscere la verità.

Non si può, poi, non ricordare lo spleen di Charles Baudelaire (Parigi, 1821 – Parigi, 1867), il più celebre poeta maledetto, esponente chiave del simbolismo e anticipatore del decadentismo.

Letteralmente, “spleen” significa “milza”: il termine si ricollega perciò alla teoria degli umori greca, che affermava che la bile nera fosse prodotta proprio dalla milza. In chiave poetica, spleen indica una forte malinconia, un disagio esistenziale che caratterizza la vita del poeta oppresso dall’angoscia e dall’incapacità di adeguarsi al mondo in cui vive.

Nella prima sezione dei Fiori del male, la sua opera maggiore, sono presenti quattro componimento intitolati Spleen: l’ultimo, il più celebre, descrive la profonda angoscia provata dal poeta di fronte a un mondo che lo rifiuta e che non può cambiare.

Spleen

Charles Baudelaire

Quando, come un coperchio, il cielo basso e greve
schiaccia l’anima che geme nel suo tedio infinito,
e in un unico cerchio stringendo l’orizzonte
fa del giorno una tristezza più nera della notte;

quando la terra si muta in umida cella segreta
dove la Speranza, come un pipistrello,
sbatte le timide ali contro i muri
e picchia la testa sul soffitto marcio;

quando le linee immense della pioggia
imitano le inferriate d’una vasta prigione
e, muto, un popolo di ragni ripugnanti
dentro i nostri cervelli tende le sue reti,

furiose a un tratto esplodono campane
e un urlo tremendo lanciano verso il cielo,
che fa pensare al gemere ostinato
.di anime senza pace ne dimora


-Senza tamburi, senza musica, sfilano funerali
a lungo, lentamente, nel mio cuore: la Speranza,
Vinta, piange, e l’Angoscia atroce, dispotica,
pianta, nel mio cranio riverso, il suo vessillo nero.

Nadia Campana

L’opera letteraria di Nadia Campana insiste notevolmente sul sentimento umano, in particolare quello melanconico, e il paradosso di non riuscire a esprimerlo.

Nadia Campana nasce a Cesena nel 1954. Dopo essersi laureata in Lettere a Bologna si trasferisce a Milano dove inizia a collaborare con riviste e case editrici.

Nel 1983 cura per Feltrinelli la traduzione di parte dell’opera di Emily Dickinson, confluita nel volume Le stanze di alabastro.

Scrive articoli e poesie, pubblicate postume nella raccolta Verso la mente curata da Milo de Angelis e Giovanni Turci.

Scrive anche una serie di saggi dedicati alla letteratura e alla malinconia, attualmente inediti.

Muore suicida a Milano nel 1985.

Il suicidio e gli studi su Marina Cvetaeva

Il paradosso per l’inesprimibilità del sentimento umano è il cuore della sua poetica, caratterizzato quindi da una profonda ansia comunicativa.

In due saggi dedicati alla poetessa russa Marina Cvetaeva, Nadia Campana indaga i moti interiori che l’avrebbero portata al suicidio.

A proposito scrive:

La sua scrittura, come la figura tragica del saltimbanco di Zarathustra, compie un ultimo volteggio nel vuoto, come un ultimo dono, senza richiesta di contraccambio né tantomeno di ammirazione o pietà. È già oltre, nel territorio puro dell’aria che le darà nuovamente la forza di uscire dalla deriva del mondo privato e di abbandonarsi a una forza sorgiva.

Riguardo al suicidio, negli stessi testi aggiunge:

Il suicidio è l’atto di cancellazione del passato, quando il ricordo non si dà se non sotto le forme del fallimento e della stanchezza. C’è una stanchezza anche dell’essere tristi: allora il racconto della sofferenza non trova più dichiarazioni d’amore, fiabe, immagini, se non quella della migrazione nel più puro territorio dell’anima. L’itinerario della mente alla perfezione si svolge ora nella fuga verso la dimora di ciò che non ha forma, di ciò che è semplicemente schiarito e che non deve più misurare il peso dell’avvilimento. Là tutto può essere perfetto, bello, elevato. L’immaginazione non incontrerà alcun ostacolo e il sogno sarà onnipotente e senza difetto.

Inoltre, Nadia Campana mostra un’analogia con Cvetaeva anche nel definire l’atto del suicidio.

Il biglietto di addio di Marina Cvetaeva recita:

Come si dice, / l’incidente è chiuso. //… Con la vita ora sono pari.

Nadia Campana le fa eco in una poesia:

Avendo già avuto a che fare / con la resa, scelgo / le processioni del riposo.

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