Un dialogo tra padre e figlio
Orsigna, 12 marzo 2004
Mio carissimo Folco […] E se io e te ci sedessimo ogni giorno per un’ora e tu mi chiedessi le cose che hai sempre voluto chiedermi e io parlassi a ruota libera di tutto quello che mi sta a cuore, dalla storia della mia famiglia a quella del grande viaggio della vita? Un dialogo tra padre e figlio
Queste le parole di Tiziano Terzani, malato terminale, a pochi mesi dalla sua scomparsa, in una lettera spedita a suo figlio, all’epoca residente negli Stati Uniti. Folco torna dunque in Toscana, più precisamente a Orsigna, nella vecchia casa di famiglia, un “luogo dell’anima” per eccellenza, dove suo padre decide di ritirarsi, dopo i numerosi viaggi della sua vita, circondato dalla natura incontaminata. Da lì, seguono settimane di fitte conversazioni, fiumi di parole, racconti, scontri.
In questo modo, nasce La fine è il mio inizio, un libro testamento, l’eredità del noto scrittore e giornalista. Un’opera scandita da due voci, un dialogo tra due generazioni, ricco d’intensità.
La vita di Tiziano Terzani
Tiziano Terzani (Firenze, 1939 – Orsigna, 2004) ebbe una vita tutt’altro che ordinaria. Di origini umili, riuscì a proseguire gli studi grazie agli enormi sacrifici dei suoi genitori. Sposò una donna di origini tedesche, Angela Staude, con la quale rimase per tutta la vita. Per un periodo lavorò per l’azienda di Olivetti, grazie alla quale ebbe l’opportunità di viaggiare per il mondo: Europa, Asia, Africa. Nel frattempo, la passione per il giornalismo lo portò dapprima a collaborare con il settimanale di sinistra indipendente «L’Astrolabio», poi a lasciare il suo lavoro per iniziare una nuova fase di studio e formazione, negli Stati Uniti, durante la quale si laureò in Affari Internazionali, imparò il cinese, si interessò al comunismo cinese e alla rivoluzione culturale di Mao.
Col passare degli anni, riuscì a ottenere un lavoro come inviato per il Sud Est Asiatico per il settimanale tedesco «der Spiegel» dove svolse un instancabile e accurato lavoro di documentazione riguardo la situazione in Vietnam. Passò inoltre molti anni in Cina e in India, luoghi che arricchirono sensibilmente la sua interiorità. Nel 1999, in seguito alla diagnosi di cancro, passò un periodo di isolamento sulle montagne dell’Himalaya, prima di fare ritorno in Italia.
Il viaggio
Terzani ebbe, per l’appunto, una vita straordinaria e viaggiò moltissimo. La tematica del viaggio costituisce di fatto un fil rouge della sua vita. In particolare, nel celebre libro Un indovino mi disse, il giornalista ci racconta i suoi viaggi lungo il continente asiatico, affrontati con qualsiasi mezzo di trasporto che non fosse un aereo (a causa di un’insolita profezia fattagli da un indovino cinese circa una ventina d’anni prima) e racconta di popolazioni, luoghi e culture millenarie. A seguito della diagnosi di tumore, anche a causa dell’impatto che la spiritualità indiana ebbe su di lui, Terzani cominciò un nuovo viaggio, stavolta interiore.
Viaggiare era sempre stato per me un modo di vivere e ora avevo preso la malattia come un altro viaggio: un viaggio involontario, non previsto, per il quale non avevo carte geografiche, per il quale non mi ero in alcun modo preparato, ma che di tutti i viaggi fatti fino ad allora era il più impegnativo, il più intenso.
Il libro
A proposito del libro, Folco afferma che esso contiene una filosofia di vita di fondo, nascosta nei dialoghi tra padre e figlio e negli aneddoti riportati. L’idea è quella di riuscire a vivere una vita autentica, bella, per non avere rimpianti al momento della morte. Per farlo, è importante essere determinati, accettare i rischi, avere il coraggio di evadere da una mentalità che relega le nostre ambizioni al mero ottenimento di un lavoro (spesso insoddisfacente) e qualche comodità.
Io credo che la cosa più bella che un giovane possa fare è inventarsi un lavoro che corrisponda ai suoi talenti, alle sue aspirazioni, alla sua gioia, e senza quell’arrendevolezza che sembra così necessaria per sopravvivere”[…] Ognuno la può fare, ci vuole solo coraggio, determinazione e un senso di sé che non sia quello piccino della carriera e dei soldi; che sia il senso che sei parte di questa cosa meravigliosa che è tutta qui attorno a noi. Vorrei che il mio messaggio fosse un inno alla diversità, alla possibilità di essere quello che vuoi.
Nel processo che ci porta alla scoperta di noi stessi, in un’epoca frenetica in cui ci allontaniamo sempre di più, nei gesti, nelle abitudini, nello stile di vita, alla natura, essa gioca invece un ruolo fondamentale, quasi sacro:
La natura nella sua primitiva purezza, è in equilibrio, ha quella completezza a cui noi umani aspiriamo. Semplicemente osservandola, avevo l’impressione di ritrovare una patria; sentivo un’assonanza che avevo dimenticato. Rimettere la mia vita al suo ritmo mi pareva in sé una medicina.
Il conflitto generazionale
Il dialogo tra Tiziano e Folco, che si sviluppa lungo tutta l’opera, è innanzitutto un dialogo tra padre e figlio. Un tipo di legame che, per sua natura, è scandito da una giusta dose di conflittualità, che prevede da un lato una ribellione da parte del figlio, incalzato dalla necessità di affermare sé stesso, legittimarsi, emanciparsi, dall’altro il bisogno del padre di “passare il testimone”.
Al riguardo, durante un’intervista, Folco raccontò:
Io volevo imparare da mio padre, alla fine. Era bravo, lo vedevo. Volevo stare zitto e ascoltare, che era difficile perché di solito la dinamica era anche quella di litigare. E a un certo punto non ce l’ho fatta più. È andato lì a stuzzicarmi troppo e io ho detto basta. E per la prima volta, forse, in vita mia ho vinto io. […] E mi è dispiaciuto molto, non lo volevo proprio fare. E lo sai cosa? Lui era felicissimo. Disse “Finalmente, ora vai, prendi in mano te la situazione, io posso andarmene via tranquillo.
La morte
Tiziano Terzani, uomo dalla vita incredibile e dalle mille contaminazioni culturali, viaggiatore per eccellenza, permeato da una “spiritualità laica”, accettò la sua morte con grande serenità, rimase lucido fino all’ultimo.
La sua concezione della morte si distacca fortemente dalla visione occidentale a favore della prospettiva tipica delle culture orientali. In Occidente, la morte è intesa come un punto di arrivo, una fine. In Oriente, essa rappresenta una sorta di passaggio dell’anima, che lascia il corpo.
“Vedi, questa di “morire” è una cosa che vorrei evitare. Mi piace molto di più l’espressione indiana che conosci come me “lasciare il corpo”. Infatti, il mio sogno è di scomparire come se non esistesse questo momento del distacco. L’ultimo atto della vita, che è quello che si chiama morte, non mi preoccupa perché mi ci sono preparato, ci ho pensato”
Tiziano Terzani si preparò questo ultimo viaggio lasciando dunque a Folco il compito di pubblicare il libro resoconto della sua vita, ricco di riflessioni, lasciando a tutti noi in eredità il dono della sua smisurata saggezza e un bagaglio immenso di esperienze incredibili.
Allora vado a questo appuntamento, perché tale lo sento, e mi dispiacerebbe mancarlo – perché è come se mi fossi già vestito a festa – a cuor leggero e con una certa, quasi giornalistica curiosità
FONTI
Tiziano Terzani, Un indovino mi disse, RL libri, 1995
Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio, collana Il Cammeo, Longanesi & C, 2006
https://www.corriere.it
https://it.wikipedia.org
https://www.youtube.com
https://www.changethefuture.it
https://www.tuscanypeople.com
CREDITI