Nel 1959 Dmitrij Belyayev avvia un esperimento rivoluzionario consistente nella domesticazione della volpe (vulpes vulpes). Questo esperimento, oltre ad aver portato alla creazione di una specie di volpe completamente nuova, può aiutarci a comprendere qualcosa di più sulla domesticazione degli animali selvatici (come il lupo, il cavallo, l’uro o bue primigenio) e sulla supposta auto-addomesticazione dell’essere umano.
Una volpe da compagnia
Per addomesticare il lupo ci sono voluti circa 15.000 anni, per le volpi di Novosibirsk ne sono bastati una sessantina. Si è trattato di un esperimento iniziato nel 1959 a Novosibirsk in quella che era l’Unione Sovietica ad opera del direttore direttore dell’istituto di Citologia e genetica della sezione siberiana dell’Accademia Russa delle Scienze, Dmitry Belyayev, e, dagli anni settanta in poi, dell’allora studentessa di biologia Lyudmila Trut.
Belyayev era convinto che, nel lungo processo di domesticazione degli animali selvatici, i primi passi fossero stati mossi dagli animali più docili e meno aggressivi, i quali per primi si sarebbero avvicinati all’uomo ottenendo così, dall’interazione con quest’ultimo, un vantaggio in termini evolutivi. Grazie a queste prime interazioni e ai vantaggi della reciproca convivenza, col tempo gli esemplari più mansueti sarebbero stati selezionati: l’uro sarebbe divenuto un bovino da allevamento e il lupo il migliore amico dell’uomo.
Su queste basi scientifiche e con l’intento di scoprire qualcosa in più sulla domesticazione dei cani, venne avviato l’esperimento. La scelta delle volpi non fu casuale infatti, come ha affermato Lyudmila Trut in un intervista a «Russia Beyond»:
Quando siamo partiti con l’esperimento, abbiamo cercato un animale che potesse essere simile a un cane, e non poteva che essere la volpe, già allevata per decine di anni negli stabilimenti di pellicce sovietici. In altre parole, aveva già attraversato una fase di riproduzione sotto il controllo umano e questo ci ha aiutato ad accorciare notevolmente i tempi dell’esperimento.
Le volpi in questione erano in gran parte volpi argentate importante dal Canada negli anni Venti ma, nonostante il lungo periodo trascorso cattività, non erano particolarmente amichevoli nei confronti dell’uomo. Spiega la Trut “Abbiamo individuato quelle volpi che non manifestavano una grossa ferocia nei confronti degli esseri umani e che erano più o meno tolleranti con le persone… ma erano casi piuttosto isolati negli allevamenti di pellicce“.
Volpi d’élite
Le volpi selezionate durante questo esperimento di domesticazione venivano di volta in volta divise in quattro classi: le volpi aggressive nei confronti dell’uomo venivano assegnate alla terza classe, quelle non aggressive ma indifferenti al contatto umano alle seconda classe, quelle che mostravano una risposta emotiva la contatto umano alla prima classe e, infine, le volpi più volenterose di contatto umano e che manifestavano comportamenti analoghi a quelli dei cani alla classe IE, ovvero la classe d’élite. “By the tenth generation, 18 percent of fox pups were elite; by the 20th, the figure had reached 35 percent,” spiega Lyudmilla Trut nel paper Early Canid Domestication: the farm-fox esperiment “Today elite foxes make up 70 to 80 percent of our experimentally selected population”.
Sommario cronologico: dal 1959 ad oggi
Nel 1959 Belyayev inizia l’esperimento con 130 volpi (di cui trenta esemplari maschili) prevalentemente prelevate da una fabbrica di pellicce estone. Nel 1963 è nato il primo cucciolo di volpe che, all’avvicinarsi degli esseri umani, scodinzolava. Successivamente le volpi hanno iniziato a leccare le mani degli umani, a farsi grattare la pancia e, infine, a stabilire il contatto visivo gli uomini (considerato un gesto di aggressione in natura). Nel 1975 la prima volpe che viveva affianco ad esseri umani ha dato alla luce una cucciolata. Nel 1985 muore Dmitry Belyayev, che quindi non vedrà i risultati finali del suo esperimento. Negli anni Novanta, a seguito della caduta dell’Unione Sovietica, vengono tagliati i fondi alla ricerca: di conseguenza per auto-finanziarsi i ricercatori iniziano a vendere cuccioli di volpe come animali domestici. Nel 2019 Lyudmila Trut e la biologa americana Lee Alan Dugatkin pubblicano un libro intitolato How to Tame a Fox (and Build a Dog).
La domesticazione degli animali selvatici
Le volpi domestiche prodotte da questo esperimento hanno sviluppato delle caratteristiche peculiari. Per esempio, rispetto alle volpi selvatiche, tendono a rispondere agli stimoli uditivi due giorni prima e a quelli visivi con un giorno di anticipo, mentre iniziano a percepire la paura con tre o più settimane di ritardo, analogamente ai cani. A ciò si aggiungono talvolta alcuni mutamenti fisici: la coda arricciata, la perdita di pigmentazione in talune zone del corpo, raramente zampe e code più corte rispetto ai loro parenti selvatici e infine le orecchie piegate e molli. Quest’ultimo tratto sembra essere fra i più ricorrenti, infatti come notò Darwin in On the Origin of Species, elefanti a parte, tutte le specie selvatiche hanno le orecchie rigide, mentre “not a single domestic animal can be named which has not in some country drooping ears“. La cosa più interessante, però, è ciò che ci possono raccontare sull’impatto del DNA sulla domesticazione e sull’aggressività degli animali (non ultimo dell’animale umano).
I geni dell’aggressività
Come dimostrato nell’articolo “Red fox genome assembly identifies genomic regions associated with tame and aggressive behaviours” della ricercatrice Anna V. Kukekova dell’Università dell’Illinois, pubblicato sulla rivista «Nature Ecology & Evolution», i geni responsabili dell’aggressività sono circa un centinaio. Le differenze genetiche fra le volpi selvatiche e quelle domestiche sono localizzate in 103 regioni genomiche. In particolare un gene è sospettato di essere uno dei principali responsabili dell’aggressività, il SorCS1: il gene responsabile della codificazione della proteina AMPA (che è coinvolta nella regolazione dei recettori per il glutammato) e delle neurexine (che contribuiscono alla connessione di neuroni in corrispondenza delle sinapsi). Questo gene fra l’altro influisce anche sulle neuropatologie degli esseri umani. Altre regioni genomiche, fra quelle coinvolte nella domesticazione della volpe, sono invece le medesime implicate nella domesticazione del cane, nel comportamento dei topi oltre che nei disturbi neurologici umani.
Tutto ciò potrebbe supportare la teoria dell’auto-addomesticazione dell’essere umano, di cui Belyayev fu fautore, e gettare nuova luce sui modi e le conseguenze (anche quelle morfologiche e non selezionate dall’uomo, come la perdita di pigmentazione o la forma delle orecchie) sull’evoluzione degli animali domestici.