Paladino del liberal-progressismo, filantropo, architetto di colpi di stato e rivoluzioni, benefattore e speculatore finanziario allo stesso tempo. George Soros, l’uomo dai mille volti, è una delle personalità più ambigue della nostra epoca. Soros è proprietario e fondatore della Open Society, una rete di organizzazioni e fondazioni non governative nata nel 1993 con l’idea di promuovere l’idea di società aperta nel mondo.
Il burattinaio George Soros
Morton Abramowitz, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Thailandia e Turchia, definì George Soros come “l’unico privato cittadino al mondo con una propria politica estera”. Questa breve espressione riesce a descrivere appieno il ruolo che Soros è riuscito a cucirsi addosso negli affari di praticamente ogni paese sulla faccia della terra. Nell’Europa dell’Est finanziò i movimenti dissidenti come Solidarnosc; in Africa sostenne i movimenti democratici in Zimbawe; dopo la dissoluzione dell’Urss finanziò i programmi di democratizzazione in Russia, pagando a Eltsin gli strumenti necessari per stampare i volantini e sostenendo in prima persona l’istruzione di molti giovani; a partire dal 2001, investe milioni di dollari in organizzazioni impegnate nella delegittimazione di Israele. Oggi, invece, lo vediamo figurare tra i nemici più acerrimi di Putin. Poche settimane fa, infatti, Open Russia è comparsa tra le Ong “indesiderabili” poiché da sempre considerata come estremista e pericolosa per lo stato.
Vita, giovinezza e missioni
George Soros nasce a Budapest il 12 agosto del 1930 con il nome di Gyorgy Schwartz. Figlio di due ebrei facoltosi appartenenti all’alta società, acquisisce l’attuale cognome all’età di sei anni per scelta dei genitori. Di fronte al crescente sentimento antigiudaico che si stava diffondendo in Ungheria, sotto la vigile influenza nazista, il padre decide di adottare un nuovo cognome che potesse celare le origini ebraiche della famiglia: Soros (che in ungherese significa “erede” e in esperanto “ascendere”), che poi il futuro imprenditore avrebbe mantenuto.
Sopravvissuto all’occupazione nazista, si trasferisce in Inghilterra per completare gli studi in Filosofia alla London School Economics. L’esperienza londinese si rivela fondamentale per la sua carriera futura perché in quest’occasione ha l’opportunità di conoscere Karl Popper, suo professore, da cui erediterà il concetto di società aperta. Rimasto rapito dall’idea che l’Occidente, il mondo libero, fosse destinato a combattere ogni forma di totalitarismo, in questi anni scopre la vocazione che guiderà i suoi passi futuri: la strenua difesa della società aperta.
Primi passi verso una carriera brillante
Le prime esperienze nel mondo della finanza arrivano negli anni ’60 quando, dopo essere tornato in Inghilterra per continuare gli studi in filosofia, nel 1969 decide di aprire un fondo di 100 mila dollari. Questa scelta, pur sembrando azzardata, fa la sua fortuna e il successo ottenuto lo introduce nelle grazie di Jim Rogers, un investitore, con il quale istituisce un fondo di copertura denominato “Double Eagle”. Il denaro investito in questo fondo gli consentirà di aprire il Soros Fund Management, uno dei fondi di investimento più remunerativi della storia, che ancora oggi è attivo.
L’interesse politico
Forte del sostegno economico accumulato negli anni, l’interesse per la politica di Soros si trasforma presto in attivismo. Negli anni ’70, infatti, avvengono le prime donazioni in favore del movimento anti-apartheid in Sud Africa, a cui segue un assiduo sostegno all’opposizione democratica e anticomunista dei paesi dell’area sovietica. Ma l’impegno politico non si ferma qui e nei decenni a venire Soros diventerà il protagonista di numerose leggende, che lo vedono – tra fantasia e realtà – come la mente dietro numerosi complotti, il “Grande fratello” che vigila attento i mercati, pronto a fare il prossimo passo per raggiungere l’egemonia mondiale.
Il giorno che lo rese lo speculatore più ricco e famoso del mondo
George Soros è infatti ricordato per aver lanciato, nel 1992, un attacco speculativo alla Banca d’Inghilterra e d’Italia, costringendo i due Istituti a svalutare la moneta nazionale e uscire dal Sistema Monetario Europeo. Questa giornata, che passò alla storia come il “mercoledì nero”, fece la fortuna dello speculatore, permettendogli di intascare miliardi di dollari in meno di ventiquattro ore. Oltre oceano, invece, diventa noto al pubblico per le sue aspirazioni democratiche e per il sostegno diretto offerto a molti candidati, al pari di altri miliardari. Famose sono le dichiarazioni che fece nel 2003, rivolgendosi contro Bush e dicendo di essere pronto a dare via la sua intera fortuna pur di vederlo sconfitto. E se consideriamo che la ricchezza che possiede oggi è stimata a oltre sette miliardi, possiamo renderci conto delle risorse che messe in campo contro il repubblicano.
Questo suo attivismo, che in alcuni casi è parso come una vera e propria ingerenza, gli ha valso la reputazione del “grande vecchio” al centro di ogni teoria del complotto. Da fautore del “Nuovo Ordine Mondiale” a sostenitore della grande sostituzione etnica che si starebbe abbattendo in Europa, Soros è protagonista di molte teorie più o meno cospirazioniste. Ma al di là di quello che si dice sul suo conto, la verità è che nelle azioni di Soros non c’è poi molto di occulto. Nel settembre del 2016, ad esempio, scrisse una lettera al Wall Street Journal nel quale annunciava che avrebbe investito mezzo miliardo di dollari per aiutare i migranti, i rifugiati o le comunità che li ospitano. Lo stesso è avvenuto nel caso di finanziamenti rivolti a movimenti di protesta spontanei, tra cui figura anche il Black Lives Matter.
Burattinaio o burattino?
Coerentemente con il suo credo politico, Soros è un sostenitore del Partito Democratico degli Stati Uniti, del quale ha finanziato numerose attività. Non è un caso, infatti, che in occasione delle elezioni presidenziali del 2004 confluirono dalle tasche di Soros oltre 28 milioni di dollari per sostenere la campagna contro George Bush Jr. Ma il legame con gli Stati Uniti non si ferma qui, perché molte delle strategie internazionali che lo hanno portato a intromettersi negli affari di quasi ogni paese del mondo combaciano curiosamente con gli interessi della Casa Bianca. Fin dagli anni della guerra fredda, infatti, il legame è stato palese. Sotto questo punto di vista, quindi, più che il “grande fratello” dietro ogni teoria del complotto, potremmo azzardare l’ipotesi di definirlo come una pedina in mano agli Stati Uniti. Non un burattinaio, forse, ma un burattino?
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