Quando la paura mangia l’anima: uno sguardo sull’intenso Arthur Żmijewski al PAC

Quando la paura mangia l’anima è stata la prima mostra personale italiana dell’artista polacco Arthur Żmijewski, allestita dallo scorso 29 marzo negli spazi del PAC (il Padiglione di Arte Contemporanea di Milano) con la curatela di Diego Sileo e accessibile fino al 12 giugno scorso. Una mostra significativa – soprattutto per la drammatica attualità che l’Europa sta vivendo da quattro mesi a questa parte – avente per tema la paura, declinata nelle sue diverse variabili esistenziali.

Il tema è già annunciato dal titolo scelto (Quando la paura mangia l’anima / When fear eats the soul) e nasce come omaggio al praticamente omonimo film del grande regista tedesco Reiner Werner Fassbinder (La paura mangia l’anima, 1974). Fassbinder, in seguito, spiegò come tale espressione fosse tipicamente usata dalle popolazioni nordafricane per definire la loro condizione durante le tratte migratorie.

Nella multimediale esposizione di Żmijewski c’è spazio anche per questa tipologia di paura, ma anche per molte sue altre declinazioni e manifestazioni. 

Chi è Arthur Żmijewski? 

Arthur Żmijewski è uno degli artisti più noti e radicali della scena artistica polacca contemporanea. Si è formato negli anni ’90 all’Accademia di Belle Arti di Varsavia, dove ha frequentato il corso di scultura di G. Kowalski. Durante quel periodo è nato il suo interesse artistico per la rappresentazione del corpo umano e il suo rapporto con il potere, la violenza e (come in questo caso) con la paura. 

La ricerca artistica di Żmijewski è infatti costantemente orientata sull’esaminare i meccanismi sociali sottesi al potere, all’oppressione, alla violenza, al male e sulla rappresentazione delle emozioni nelle loro mutevoli manifestazioni del corpo umano. Pur essendosi formato nella classe di scultura di Kowalski, oggi Żmijewski predilige come media artistici la fotografia e gli strumenti cinematografici, talvolta esplorando il campo dell’intermedialità mediante installazioni. Generalmente però, il linguaggio audiovisivo è prediletto dall’artista che, con un approccio apparentemente “documentario”, utilizza per sviluppare una poetica artistica talvolta radicale.

Nel caso specifico di Quando la paura mangia l’anima, sono presenti sia vecchi lavori, sia lavori inediti che Żmijewski ha ideato ad hoc per la mostra: tutti sono focalizzati sull’indagare la violenza, la paura (nelle sue espressioni socio-politiche, psicologiche, fisiche, morali) e il rapporto con il corpo umano.

REFUGEES / CARDBOARDS (2022)

Tra le opere inedite che l’artista polacco ha pensato per gli spazi del PAC, vi è la serie di fotografie dal titolo REFUGEES / CARDBOARDS. Qui Żmijewski ha tratto ispirazione dalla crisi dei rifugiati (provenienti dal Medio Oriente e Nord Africa) che ha investito il confine tra Polonia e Bielorussia lo scorso 2021: la Polonia ha negato l’accesso ai rifugiati, schierando le forze armate per respingerli con la forza e violando in questo modo la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. 

Żmijewski rappresenta fotograficamente i migranti come delle figure al tempo stesso evanescenti e imponenti, che emergono da un neutro sfondo nero tutti vestiti a strati con vari capi di fortuna per difendersi dagli attacchi che subiscono.

Quando la paura mangia l'anima

GESTURES (2019)

Nella medesima sala in cui è stata esposta la serie REFUGESS / CARDBOARDS, ha trovato spazio GESTURES. La serie è realizzata da Żmijewski con la tecnica della cronofotografia, introdotta per la prima volta nel 1882 da Étienne-Jules Marey al fine di catturare fotograficamente il movimento, attraverso una serie di scatti ravvicinati. 

In questa sequenza di opere, Żmijewski realizza diversi scatti che ritraggono persone catturate in gesti ed espressioni estreme, ad esempio mentre brandiscono delle armi, mentre ridono con fare beffardo, oppure mentre insultano con la gestualità delle mani. L’obiettivo di questi scatti è quello di catturare, attraverso la sequenza cronofotografica, l’evoluzione e dunque la manifestazione visiva dell’emozione violenta: quest’ultima si esprime nel gesto del soggetto ritratto, come a voler indagare la fenomenologia delle emozioni aggressive.

Quando la paura mangia l'anima

REALISM (2017)

L’indagine visiva di Żmijewski sul corpo procede ancora con REALISM, una video installazione presentata per la prima volta alla XIV Documenta di Kassel del 2017 e articolata in sei schermi, sui quali sono proiettati i video di altrettanti sei soggetti. Si tratta di sei ex soldati russi che hanno combattuto nel conflitto russo-ucraino del 2014 e che hanno perso uno o entrambi gli arti inferiori. 

I video intendono mostrare la morning routine dei sei ex-soldati mutilati, che offrono allo spettatore la propria quotidianità nel loro nuovo aspetto fisico. I filmati, tuttavia, a differenza di quanto si potrebbe immaginare, non intendono “impietosire” lo spettatore e destare compassione. Per questo, Żmijewski sceglie sempre di utilizzare inquadrature ferme, stabili, oggettive, mai indugianti. L’obiettivo è dunque quello di normalizzare la condizione di “disabilità” che caratterizza i soggetti, lasciando però al tempo stesso emergere, per contrapposizione, una critica alla società contemporanea, spesso dimentica dei più fragili. 

AN EYE FOR AN EYE (1998)

La rappresentazione del corpo mutilato, al fine di una sua normalizzazione, ritorna però anche nella serie di fotografie AN EYE FOR AN EYE, che pone l’attenzione sulla bellezza dell’imperfezione del corpo. In questa serie, contro uno sfondo neutro bianco, gli individui mutilati sono fotografati in pose nelle quali i loro corpi si incastrano visivamente con quelli di individui dai corpi integri fino a combaciare, creando così un effetto di simbiosi.

La serie intende in questo modo rappresentare la possibilità di coesistenza e normalizzazione tra individui disabili e individui che non lo sono, ribaltando i canoni sulla bellezza e lanciando anche un grido di protesta contro la marginalizzazione della disabilità.

Quando la paura mangia l'anima

COMPASSION (2022)

Il lavoro sull’espressione della paura e delle emozioni attraverso la gestualità corporea non pertiene soltanto la sfera del potere e della violenza, ma anche della condizione psichica umana. Ed è proprio su questo aspetto che è incentrata la serie di video COMPASSION, nella quale l’artista polacco si ispira al lavoro di Vincenzo Neri, il neurologo italiano che nel XX sec si dedicò allo studio del linguaggio del corpo in soggetti affetti da malattie psichiche. Per registrare il linguaggio del corpo, Vincenzo Neri cominciò a filmare i propri pazienti, al fine di documentare e studiare i loro movimenti (sia volontari, sia involontari), diventando così il precursore (se non inventore) del cinema scientifico. 

In COMPASSION, Żmijewski prende spunto dal materiale filmico di Neri, realizzando una serie di video in cui attori, attrici e performer riproducono i movimenti, i gesti, le espressioni corporee e gli atteggiamenti dei pazienti filmati da Neri: l’obiettivo è quello di suscitare una suggestione empatica con lo spettatore.

Il corpo e le relazioni: ME AND AIDS

L’indagine artistica sul corpo umano nel lavoro di Żmijewski viene affrontata anche nella sua declinazione sociale, relazionale e storica. È questo il tema oggetto di opere video in mostra come ME AND AIDS (1996), TEMPERANCE AND WORK (1995) e GAME OF TAG (1999).

Nella video opera ME AND AIDS vediamo, all’interno di una stanza spoglia, Żmijewski insieme ad altri due performer nudi che iniziano a muoversi in modo incerto (come se non avessero senso dell’orientamento). Finché il loro incontro sfocia in una serie di collisioni violente tra corpi (n.d.r. la collisone dei corpi è ripresa da una precedente performance di Marina Abramović e Ulay), a cui fa eco il tonfo del scontro e della caduta: si tratta, dunque, di un incontro-scontro. Così, al piacere del contatto fisico e relazionale, che dovrebbe nascere dall’incontro, si contrappongono la violenza, il dolore e il disagio dello scontro. La rappresentazione finale è quella di una dinamica relazionale del contatto fisico pericolosa, poiché portatrice di malattia, al fine di sensibilizzare sul tema.

Il corpo e le relazioni: TEMPERANCE AND WORK

Nell’opera TEMPERANCE AND WORK, realizzata insieme alla collega artista Katarzyna Kozyra, Żmijewski sviluppa invece una performance incentrata sull’esplorazione reciproca del corpo e sul tema della incomunicabilità nelle relazioni. Nel video, infatti, Arthur e Katarzyna (nudi in una circostanza intima) iniziano dapprima a osservarsi e poi a esplorarsi i corpi a vicenda. Tuttavia, nel loro approccio non traspare nessuna inclinazione sensuale o erotica, piuttosto i loro modi appaiono bizzarri e stranianti: i due si schiacciano e dilatano la pelle, comprimono i loro volti l’uno contro l’altro, si toccano parti del corpo in modo plastico. Tutto questo fa sì che la sensualità dell’incontro intimo venga soppiantata da un’esplorazione fisica in quanto tale, priva di erotismo, meramente oggettuale.

Tra le video-opere più stranianti e discusse che hanno caratterizzato Quando la paura mangia l’anima vi è anche GAME OF TAG (traduzione del gioco del “Ce l’hai!”), nella quale ci si trova di fronte ad una situazione radicalmente paradossale: un gruppo di giovani ragazzi nudi gioca al gioco del “Ce l’hai!” all’interno di una vera camera a gas. La dimensione ludica dell’azione si scontra quindi con l’aspetto angusto, inquietante e storicamente tragico dell’ambiente in cui il gioco si sta svolgendo, generando un cortocircuito morale. 

La riflessione sul peso della Storia

In effetti, nelle opere di Żmijewski trova spesso spazio la riflessione sul passato e sulla storia del suo Paese d’origine, la Polonia, soprattutto in riferimento all’occupazione nazista. Il fatto di essere stata la “sede” principale dei tremendi crimini commessi dal regime nazista nei campi di concentramento polacchi (il complesso di Auschwitz in primis) non ha lasciato indifferente l’artista su tematiche quali il peso della memoria storica e la sua rielaborazione nelle società contemporanee. 

Tra le opere che più hanno suscitato interesse alla mostra milanese e che riflettono proprio su questo tema vi è ERASING (2016), il cui significato è accessibile solo conoscendo le premesse da cui Żmijewski ha preso le mosse. Nel lavoro, infatti, Żmijewski ha recuperato sette lapidi dal precedente cimitero della città polacca di Wroclaw e ne ha cancellato il nome dei defunti, lasciando visibili solo gli estremi di nascita e morte.

L’intensa storia di ERASING

È opportuno sapere che la città di Wroclaw ha avuto nel ‘900 delle vicissitudini complesse: dapprima era polacca, poi divenne ceca e poi tedesca, fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Dopo la conclusione di questa, tornata città polacca, venne sottoposta a un processo di de-germanizzazione (più precisamente di de-nazificazione), attuato rimuovendo tutti i residui urbani, architettonici, simbolici e iconici della Germania nazista, in una sorta di opera di “purificazione” urbana.

Anche il cimitero tedesco venne smantellato, riutilizzando le lapidi come materiale da costruzione. Tra queste tombe, però, non vi erano solo quelle di nazisti, ma anche quelle di individui nati (e in alcuni casi anche morti) prima dell’avvento del nazismo: ciononostante le loro lapidi vennero comunque riutilizzate e la loro memoria annientata. In ERASING (cancellare) Żmijewski rende omaggio a sette di queste lapidi.

L’intento è quello di riflettere sul peso del passato e sulle responsabilità che entrano in gioco nel momento in cui ci si trova a dover far fronte con la memoria storica collettiva. 


FONTI

Visita alla mostra “Quando la paura mangia l’anima” da parte del redattore

CREDITS

Copertina

Tutte le immagini presenti nell’articolo sono tratte da YT

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