La critica di Bennett
Arnold Bennett, scrittore e giornalista inglese, pubblica nel 1923 l’articolo Is the Novel Decaying? sul «Cassell’s Weekly». In esso critica apertamente, citando nome e opera, il romanzo Jacob’s Room di Viginia Woolf: nonostante fosse originale e ben scritto, mancavano gli elementi fondamentali che per Bennett risiedevano nella credibilità dei personaggi.
La base di un buon romanzo è la costruzione dei personaggi e nient’altro… Lo stile è importante; la trama è importante; uno sguardo originale sul mondo è importante. Ma nessuno di questi elementi conta tanto quanto la capacità di dare vita a personaggi originali.
Bennett asseriva quindi che mancassero giovani grandi scrittori proprio per la loro incapacità di creare personaggi reali e convincenti.
La risposta di Virginia Woolf
Nel dicembre dello stesso anno, la giovane scrittrice pubblica su «The Nation and Athenaeum», rivista per la quale il marito era redattore, un saggio di risposta: Mr. Bennett e Mrs. Brown, che diventa il manifesto dello stile dell’autrice. La critica di Bennett aveva toccato un punto debole nella Woolf che scrive nel suo diario:
Oserei dire che è vero che non ho il dono della realtà. Io, volontariamente in una certa misura, sfiducio la realtà.
Nella sua risposta la scrittrice concorda con il suo avversario su un punto in particolare: è vero che questi nuovi giovani scrittori non stanno creando i personaggi come si usava un tempo, ma dietro questo fatto c’è una specifica ragione. Prima di tutto divide gli scrittori edoardiani – come Wells e Bennett – da quelli georgiani – come Forster, Eliot e Joyce. Il punto di rottura è individuabile intorno al 1914, anno in cui terminò il regno della regina Vittoria: prima di questo momento gli scrittori si concentravano sulla presentazione di una vasta gamma di personaggi e del contesto sociale in cui vivevano.
L’intero stato, l’intera società ci è presentata e rivelata sempre nello stesso modo, con la sconcertante vividezza e realismo dei personaggi.
Il punto di rottura arriva durante il regno di Edoardo, dove i personaggi nei romanzi diventano generalizzati sia dal punto di vista psicologico sia dal punto di vista sociale, allo scopo di sottolineare gli scontri fra esseri umani che suscitano grandi emozioni nel lettore. La Woolf aggiunge che gli edoardiani erano troppo occupati a portare un cambiamento sociale, lasciando quindi in secondo piano i personaggi. La scrittrice è così infastidita che afferma addirittura che trova difficile considerare i romanzi degli edoardiani reali, proprio perché lasciano un senso di incompletezza. Inoltre, negli anni degli edoardiani erano comparse le prime traduzioni di Dostoevskij, autore che aveva distrutto la nozione comune di personaggio. Queste influenze, secondo la Woolf, avevano creato grandi uomini, ma artisti peggiori, i quali fornivano una buona descrizione delle cose in generale, ma una scarsa attenzione per i particolari.
Mrs. Brown
La storia riportata nel saggio della scrittrice sembra essere senza né capo né coda, ma nonostante ciò la vecchia signora sul treno ha spinto Virginia Woolf a scrivere una storia. Perché? Tutti i romanzi sono basati sul carattere dei personaggi e servono a dar vita a questi ultimi, ma le parole possono avere una vasta interpretazione. Basti pensare che il personaggio cambia molto a seconda della nazione o del periodo storico in cui ci viene presentato: nel saggio la Woolf riporta come esempi tre versioni diverse del medesimo personaggio, una inglese, una francese e una russa. Quando si scrive ognuno lo fa secondo i propri principi, i personaggi non sono altro che sacchi di paglia e fantocci.
Una nuova contesa
Nell’estate del 1924, i due avversari compaiono insieme a un convegno dal titolo “What is a Good Novel?“. Bennett non perde l’occasione per riaffermare la sua visione critica e che la bellezza di un romanzo dipenda dai personaggi e dalla loro particolarità. Virginia Woolf afferma:
Un buon romanzo non ha bisogno di una trama, di un lieto fine, non deve essere su persone gentili e rispettabili; non deve essere una vita che noi non conosciamo.
Rinnova inoltre il suo disprezzo per le convenzioni. Nonostante nessuno dei due si menzioni stavolta apertamente, è chiaro che i due facciano ormai parte di scuole di pensiero diametralmente opposte.
In seguito per ben due volte Bennett fu attaccato: la prima volta in Mrs. Dalloway, romanzo della Woolf del 1925, la seconda nel «The Nation», da Leonard Woolf, che recensisce il suo ultimo libro, Lord Riango, negativamente. Solo più tardi Bennett avrà la sua rivincita, più precisamente nella stesura degli articoli per il «London Evening Standard». Indirizzando l’articolo alla Woolf, afferma che lei da sola aveva attaccato non solo lui, ma in generale i georgiani, asserendo che non fossero in grado di creare buoni personaggi. Parlando più nello specifico di Mrs. Dalloway, Bennett scrive che non era riuscito a capire di cosa trattasse e che cosa la scrittrice volesse dimostrare.
Bennett non mancò in seguito di recensire e criticare quasi sempre negativamente, se non per Gita al faro, ogni opera della scrittrice.
Il termine del dibattito
Nel 1930 i due si incontrarono di persona a cena, e mentre Bennett si era trovato a proprio agio e aveva trovato la scrittrice gentile, l’opinione della Woolf era ben diversa: non si sentiva addirittura di definirlo un artista. Dopo tre mesi dall’incontro, Arnold Bennett venne a mancare. Virginia Woolf scrisse nel suo diario che, nonostante tutto, la sua morte l’aveva lasciata più triste di quanto si sarebbe immaginata: lo scrittore aveva secondo lei un diretto contatto con la vita, e forse gli aveva dato il dono della realtà, della quale, tuttavia, da una parte dubita, ma dall’altra invidia.
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