Non solo possediamo il nostro corpo, vale a dire che (nei limiti della legge) abbiamo la facoltà di farci quello che più ci aggrada, ma possediamo pure la nostra immagine. Ovvero possiamo decidere se e come la nostra immagine verrà utilizzata: in ciò consistono i diritti di immagine. Se per la maggior parte delle persone questo diritto si configura unicamente come diritto all’anonimato e alla privacy, per altri (come attori, sportivi, politici e celebrità varie) può essere anche un’importante fonte di guadagno.
Cosa sono i diritti di immagine?
In pratica i diritti di immagine stabiliscono che se qualcheduno pubblicasse una foto di un altro senza il suo permesso e violando le norme sui diritti d’autore, ovvero pregiudicando il decoro o la reputazione della persona ritratta, il divulgatore della foto, su richiesta della persona immortalata, potrebbe essere perseguito dalla legge. Essenzialmente ogni volta che un’immagine viene divulgata senza il consenso della persona ritratta si ha una violazione dei diritti di immagine.
La violazione di questa norma viene considerata un illecito civile al quale sono applicate due tutele: la prima, ossia la tutela inibitoria, stabilisce che il giudice, una volta che l’infrazione sia stata provata, sancisca l’immediata cessazione dell’utilizzo, o meglio dell’abuso, dell’immagine in questione; la seconda, ossia la tutela risarcitoria, dà all’imputato la possibilità di richiedere un risarcimento pecuniario per l’abuso della propria immagine.
Nonostante ciò esistono tuttavia delle eccezioni a queste norme. È possibile divulgare l’altrui immagine quando ciò è giustificato da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, dalla notorietà o ruolo ricoperto della persona in questione. È anche possibile divulgare un’immagine di qualcuno quando ciò risponde a necessità di pubblica informazione, o quando la divulgazione dell’immagine di una persona famosa serva solamente a rendere note le sue fattezze.
Un diritto disponibile
Come accennato precedentemente è possibile trarre guadagno dalla cessione della propria immagine: in questo caso i diritti di immagine si configurano come diritto al profitto che dalla propria immagine si può trarre. Tutto ciò è possibile perché il diritto all’immagine è un diritto disponibile, vale a dire che chi possiede tale diritto, può tanto tenerselo per sé quanto venderlo a qualcun altro. È questo il caso delle innumerevoli celebrità che cedono, dietro lauto compenso, la propria immagine a fini pubblicitari.
Quanto sopra indicato può avvenire sia con un contratto di sponsorizzazione, sia con un contratto da testimonial. In questo secondo caso l’impegno si riferisce all’intera durata della campagna promozionale e può essere richiesto che il testimonial mantenga la propria immagine all’interno dei canoni prestabiliti. In entrambi i casi invece è comune che il contratto preveda un’esclusiva, ovvero un impegno a non prestare la propria immagine ad aziende concorrenti od operanti nello stesso ramo di quella con cui si è stipulato il contratto.
I diritti di immagine nel calcio
Ovviamente il prezzo dell’immagine di una persona dipenderà dalla sua fama e della visibilità che quest’ultima può portare al prodotto o alla ditta sponsorizzata. Si capisce allora come mai siano comunissime le sponsorizzazioni da parte di atleti e ancor più, in Europa, di calciatori. In questo caso però si vanno a incrociare i diritti di immagine di un giocatore e quelli della società in cui gioca.
Per esempio, chi possiede i diritti sulla foto di un giocatore in divisa ufficiale: il club o l’atleta? La risposta è: dipende dalla lega in cui gioca il calciatore e dal contratto stipulato fra lo stesso e la società sportiva. Infatti il giocatore può scegliere se cedere del tutto, in parte o per niente i propri diritti di immagine alla società. Nel primo caso si parla di naked o blanket contracts, “contratti nudi” in cui il giocatore si spoglia di ogni diritto di immagine cedendoli del tutto alla propria società. Quest’ultimo è piuttosto comune in Premier League e in Bundesliga, d’altro canto in Italia, a parte il Napoli che richiede a quasi tutti i suoi giocatori di cedere totalmente i loro diritti di immagine, la maggior parte delle società opta per un’opzione mediana in cui il giocatore e la società si spartiscono i diritti di quest’ultimo. Esistono poi i club come il Paris Saint-Germain, in cui i giocatori mantengono il controllo di tutti i loro diritti di immagine, ma sono casi rari.
In Italia vige la norma risultata dall’accordo fra la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), le leghe e l’Associazione Italiana Calciatori (AIC) nel 1981 (accordo modificato due volte in seguito); con il suddetto accordo si stabiliva che
i calciatori hanno la facoltà di utilizzare in qualsiasi forma lecita e decorosa la propria immagine anche a scopo di lucro, purché non associata a nomi, colori, maglie, simboli o contrassegni della Società di appartenenza o di altre Società e purché non in occasione di attività ufficiale
Ne consegue che ogni atleta può gestire la propria immagine come meglio crede e cederla a fini pubblicitari liberamente, anche qualora la società sponsorizzata sia diversa da quella sponsorizzata dalla squadra; l’unico limite per il calciatore è che, nelle suddette sponsorizzazioni, non può ovviamente apparire nulla che lo riconduca alla squadra per cui gioca. Alla squadra rimangono invece i diritti sulle foto del giocatore con il resto della squadra, le foto di gruppo in pratica.
Contratti, ingaggi e scappatoie
In ogni caso la maggior parte delle società compra (anche solo in parte) i diritti dei propri giocatori e questo denaro, non venendo considerato come parte dello stipendio dei giocatori, è dunque sottoposto a una tassazione differente. È inoltre consuetudine che questo ulteriore pagamento sia versato non già nelle tasche dei giocatori, ma in apposite società create dagli stessi per gestire i propri diritti di immagine. Qualcuno ne ha allora approfittato versando i proventi relativi ai diritti di immagine in società offshore per evitare di pagare le tasse su questo compenso.
Il primo caso di questa lunga tradizione risale al 1995 e riguarda Dennis Bergkamp e David Platt, entrambi sotto contratto con l’Arsenal. Il fisco britannico, sospettando che i salati compensi sui diritti d’immagine pagati ai due giocatori fossero solo un escamotage per pagare meno tasse sugli stipendi, avviarono un’indagine a tal proposito. Sebbene il compenso sui diritti di immagine fosse esagerato e utilizzato per pagare meno tasse, la giustizia inglese dovette sancire la legittimità dell’operazione; ma tutto ciò portò all’imposizione di un tetto sui compensi da pagare per i diritti di immagine del 20% dello stipendio totale del giocatore.
Passando a recenti esempi e celebri, citiamo i due giocatori unanimemente considerati i più forti in circolazione: Lionel Messi e Cristiano Ronaldo. Entrambi sono stati accusati di aver aperto società offshore per eludere il fisco spagnolo; l’argentino fu condannato a ventuno mesi di carcere con 2 milioni di euro di pena pecuniaria, al portoghese toccarono invece due anni di carcere e il pagamento di 18,8 milioni di euro. Per entrambi la pena carceraria fu sospesa.
D’altronde, come dicono gli inglesi, avanguardisti delle società offshore e inventori del calcio, nulla è certo nella vita “but death and taxes”.
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