“L’uomo senza sonno”: colpa, memoria e redenzione

Il Cavaliere Oscuro, The Prestige, The Fighter, La grande scommessa, Vice. Questi sono solo alcuni dei titoli che compongono la favolosa filmografia di Christian Bale, attore multiforme, pluripremiato e dalla fama ormai consolidata. Un artista celebrato per i suoi esordi al servizio di Steven Spielberg (L’impero del sole, 1987), per  l’esplosione agli inizi del nuovo millennio con American Psycho (2000) e per la definitiva consacrazione sulla scena avvenuta nelle vesti dell’uomo pipistrello disegnato da Christopher Nolan.
Non molti tuttavia ricordano una delle sue più ispirate e al contempo disturbanti performance. Non molti ricordano L’uomo senza sonno.

Diretto da Brad Anderson e rilasciato nel 2004, il film, di produzione spagnola, è un thriller psicologico di pregiata fattura, divenuto con gli anni un vero e proprio cult di genere, grazie alla sua intrigante sceneggiatura e all’interpretazione magnetica del suo protagonista.

 

The Machinist

Un cadavere occultato in un tappeto, un fardello caricato in auto e trasportato in riva a un fiume. La fioca luce di una torcia a sorprendere il volto del colpevole; una profonda voce maschile a domandarne l’identità.

Fumo Sigaretta Fumare - Foto gratis su Pixabay

Minuti iniziali, intensi, a cui Anderson consegna un flash forward di chiara apparenza, ma di complessa lettura e, insieme, un quesito elementare. Un quesito la cui risposta è nascosta nelle pieghe di una vicenda di sconcertante quotidianità, negli occhi arrossati di un uomo tormentato dall’errore.
L’uomo senza sonno racconta la storia di Trevor Reznik, operaio, uomo qualunque, la cui monotona routine trascorre fra pericolose macchine industriali, fumo, caffè e insonnia. Un male che affligge Trevor da oltre un anno e da cui l’uomo tenta invano di fuggire rifugiandosi tra le angeliche braccia di una prostituta e nella compagnia di una anonima cameriera in aeroporto.

A logorare fisico e mente di Trevor è uno shock confinato nel passato, nella memoria, nei ricordi di un volto scavato e di un fisico ormai scheletrico. Un ricordo fumoso, annebbiato. Il ricordo di una colpa e di una pena mai scontata.

 

Who are you?

Tre parole, una domanda a legare fine e principio e a scandagliare la vita di un uomo rimasto solo con i propri demoni, alla ricerca di un riposo che abbia il dolce sapore di perdono. Una domanda che si fa perno dell’intera pellicola e a cui Anderson dedica buona parte delle sue scelte registiche. Numerosi sono i primi piani di Trevor allo specchio, alla disperata ricerca di una risposta, occhi negli occhi con se stesso. Uno specchio teso a dare risalto al principale nucleo tematico del film, fondato sul medesimo meccanismo di sdoppiamento che fece la fortuna di Fight Club; un meccanismo foriero di un’atmosfera thriller particolarmente angosciante, racchiusa nelle poche lettere di un’infausta rivelazione e intrisa dell’inquietudine sonora donatale dalle musiche di Roque Baños.

Il doppio e l’inferno. L’inferno evocato dalla opacità della vita di Trevor e manifesto negli orrori di una giostra, non più ludica attrazione fanciullesca, bensì metafora di una redenzione ancora lontana. Un inferno che si fa trappola meccanica, orario immutabile e montaggio frenetico, celato da occhiali scuri e fumo di sigaretta, suggerito per contrasto dalle pagine dell’Idiota di Dostoevskij, lettura quotidiana del protagonista.

 

Bianco e Nero

Il triste logoramento interiore di Trevor trova adeguato riflesso nelle fotografia curata da Xavi Giménez, quasi del tutto desaturata e capace, per larghi tratti della narrazione, di simulare un bianco e nero opprimente, a richiamare un’esistenza grama e priva di colore. Un simbolismo cromatico catturato anche dal controluce di alcune inquadrature, selezionate da Anderson al fine di consegnarci la sola sagoma di un uomo che pare l’ombra e il fantasma di se stesso.

Se fossi più magro non esisteresti…

Efficaci e misurate eccezioni sono le tonalità verde putrido della fabbrica e il biondo oro dei capelli della prostituta Stevie (Jennifer Jason Leigh). Da un lato la sporcizia e il fetore di un lavoro alienante e pericoloso; dall’altro la pallida speranza di un amore, incarnato nell’imperfezione di un’amica sincera e affettuosa.

 

Trasformismo

Regia, fotografia e montaggio convergono ne L’uomo senza sonno a donare ulteriore lustro alla magistrale interpretazione del suo protagonista. Christian Bale, sottopostosi a condizioni fisiche e salutari estreme, sorregge sulle deboli spalle il peso dell’Intera narrazione, offrendo una prestazione stand alone che affonda le proprie radici nel Robert De Niro di Taxi Driver e avrà poi modo di influenzare il Joaquin Phoenix di Joker.

Christian Bale | Greg Report

All’interno di una struttura mistery che richiama il Memento nolaniano, Bale tenta di restituire il profondo straniamento di un uomo in cerca di se stesso, divorato dal senso di colpa, piegato da una vita sconvolta all’improvviso. A colpire e impressionare lo spettatore è uno sguardo capace di trasmettere le differenti sfumature che dipingono lo stato d’animo del protagonista. Uno sguardo in grado di comunicare stanchezza, rassegnazione, timore, follia; tappe necessarie di un percorso purgatoriale che ha come traguardo l’accettazione di sé, dei propri errori, di quel mostro celato dietro una comune disattenzione, a uno sguardo incredulo, a una fuga codarda dalle proprie responsabilità.

L’uomo senza sonno è una pellicola dagli accentuati risvolti psicologici, storia comune dell’uomo ordinario, imperfetto, peccatore. Storia comune di un attimo, bastevole a separare vita e morte, nel segno di un rimorso che non lascia via di scampo.
Storia comune di luce e oscurità, reminiscenza dantesca di un ascensione verso la salvezza, dalla gabbia di una quotidianità stravolta al ristoro di una candida cella.

 

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