Poche opere, nel loro ritrarsi, instaurano una simile presenza. Saremmo inclini a credere che sia in questo modo che gli dei e le muse vedono gli oggetti, al di là cioè dei conteggi con cui le limitiamo ai nostri usi, così come alla nostra geometria. L’oggetto in Morandi non è una rappresentazione, ma un dono fatto all’invisibilità.
Robert Marteau
Giorgio Morandi. Il tempo sospeso
La mostra, a cura di Marilena Pasquali, si articola in due tappe: Roma e New York. La fondatrice e direttrice del Centro Studi Giorgio Morandi di Bologna ha scelto gli spazi della Galleria Mattia De Luca di Roma, dal 30 aprile a 2 luglio 2022, per far ricordare la grandezza del pittore bolognese. I dipinti e le opere su carta si articolano in quattro sale e si suddividono per anno e area tematica: natura morta, paesaggio e incisioni su carta.
La mostra romana prosegue il percorso che la galleria sta dedicando ai maestri del Novecento. Giorgio Morandi. Il tempo sospeso ha l’obiettivo di approfondire e di far conoscere la sua arte difficile e segreta. Inoltre, con questa mostra, la curatrice vuole valorizzare il Morandi uomo prima che pittore, cercando di eliminare l’alone di una figura schiva e fuori da ogni corrente artistica. Morandi è un uomo che ha vissuto due guerre e che per questo è stato al centro dei cambiamenti epocali dell’arte del Novecento. Futurismo, Metafisica e Cubismo hanno sfiorato il pittore, il cui obiettivo era sempre quello di dare un ordine mentale alla realtà. Morandi ha provato il peso della disillusione fascista e la conseguente perdita di ogni credo e riferimento, sensazioni che si spiegano nella sua volontà di cercare un’ordine mentale al susseguirsi della quotidianità.
Nelle sale della galleria lo spettatore è messo di fronte a una realtà che prende le distanze dalle forme dell’abitare. Morandi accetta questo e lo restituisce senza far perdere l’autonomia agli oggetti rappresentati. Le sue composizioni sono reali, cromaticamente armoniose e senza confini. Tutto all’apparenza è neutrale, dove è il colore a dare senso al tutto. Le grandi pennellate ondulate e “a zig zag” definiscono la rarefatta atmosfera che circonda le sue opere. Morandi pone gli oggetti in un equilibrio precario, tra tempo e spazio, dove tutto sta cambiando e, nonostante questo, gli oggetti trovano la loro dignità estetica.
La vita
Giorgio Morandi nasce a Bologna nel 1890. Fin da giovanissimo manifesta un interessa per la pittura, come dimostra il piccolo dipinto Fiori, realizzato a circa quindici anni. Nel 1907 Morandi entra a far parte dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove incontra Osvaldo Licini e Severo Pozzati. Se i primi anni in Accademia sono stati fondamentali per la sua formazione, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da alcuni contrasti con i professori. Un atteggiamento che si deve al cambiamento degli interessi dell’artista, che era già alla ricerca di un proprio linguaggio pittorico. Nel 1915 Licini va a Parigi e Morandi, tramite alcune lettere e riviste speditegli dalla capitale francese, entra in contatto con il locale e fervente ambiente artistico. Sono gli anni della formazione e della conoscenza dell’arte europea: Derain, Picasso, Rousseau e soprattutto Cézanne; senza dimenticare Giotto, Piero della Francesca e Paolo Uccello.
Nel frattempo era però il Futurismo a sollecitare l’animo del bolognese. Come ogni giovane accademico che voleva uscire da questa gabbia concettuale, Marinetti era visto come l’uomo della provvidenza e infatti partecipa a varie serate futuriste tra Modena e Bologna. Morandi, inoltre, visita l’esposizione di Pittura Libera Futurista nel 1914, organizzata a Firenze dalla rivista «Lacerba». Sebbene Morandi sia stato molto legato alla poetica futurista egli riesce a mantenere una forte indipendenza rispetto alla poetica marinettiana, trovando ispirazione nelle sperimentazioni cubiste e nelle opere di Cézanne. Morandi quindi è stato uno spirito libero, senza dimenticare cosa stesse succedendo intorno a lui nel mondo dell’arte.
Come ad esempio accade durante la Prima Guerra Mondiale, quando si avvicina alla Metafisica di De Chirico, oppure quando negli anni Venti scrive e condivide alcuni concetti di Mario Broglio nella rivista «Valori Plastici». Morandi partecipa, inoltre, nel 1926 e 1929 a due esposizioni con Novecento a Roma e a Parigi. In Italia la sua consacrazione invece avviene alla Biennale di Venezia del 1948, quando riceve il primo premio alla pittura. Amato e apprezzato da critici come Longhi e Brandi, negli anni Cinquanta prosegue la sua vita alla ricerca dell’ordine fino al 1964, anno della sua scomparsa.
La mostra a Roma: le pitture
Il primo piano della galleria si articola in tre sale, ciascuna delle quali contiene i dipinti che vanno dal 1921 alla metà degli anni Cinquanta. Morandi aveva una natura incline alla contemplazione e per questo egli intendeva il percorso della pittura convergente alla vita. In queste nature morte ciò che si evince è la necessità di aggrapparsi alle piccole cose, per cercare il radicamento in una realtà in continuo stravolgimento. Come scrive Renzo De Felice, Morandi insieme a Carrà e Soffici, ha vissuto l’urgenza di ripensare l’Italia quando il Fascismo da movimento si è fatto partito e poi regime. Tutti i sogni di un futuro migliore si sono infranti alla metà degli anni Venti ed è qui che si collocano le opere in mostra.
Bottiglie, brocche, bicchieri, manichini e altri utensili da cucina costituiscono lo spazio privato di Morandi. Come è tradizione, la natura morta descrive uno spazio in un determinato tempo, spesso scelto da chi dipinge. Morandi, invece, va oltre la semplice rappresentazione e mostra gli oggetti così come appaiono. Usura, collocazione e reazione alla luce sono le caratteristiche che il tempo riserva alla vita degli oggetti e che Morandi realizza magistralmente.
I mutamenti politici influiscono sulle sue composizioni. Se i quadri degli anni Venti e Trenta sono realizzati secondo un principio euritmico differenziando l’altezza degli oggetti, negli anni Quaranta questi assumono le sembianze di cubi aventi le stesse misure. I piani si sfaldano così come i confini delle bottiglie e dei bicchieri, come se anche loro sono invecchiati come chi li ha realizzati. Nelle opere degli anni Cinquanta tornano i colori e il ritmo, simbolo che la storia sta facendo i suo corso, anche se tutto diventa più rarefatto e sfumato. Nei paesaggi grandi e verdi vallate appenniniche sono abitate da casupole ocra circondate da campi coltivati che vanno dal bruno al verde grigio. Tuttavia i perimetri rimangono sempre ben definiti e algidi, in quanto Morandi è interessato a fissare i contorni del reale per renderlo eterno.
Dalle nature morte ai paesaggi
Morandi è consapevole della fugacità del tempo e dello spazio. Il paesaggio, infatti, è trattato da Morandi come un luogo che ha visto il passare dell’uomo e della storia e questo ne ha assorbito usi e costumi. Ma c’è anche un tempo interno che dialoga molto bene con gli oggetti che sono idealmente dentro le mensole di quelle case. Ciò che colpisce in tutte le composizioni è la totale assenza di aria. Sia le nature morte che gli scorci dei paesaggi appenninici sono realizzati senza indicazioni atmosferiche per dare l’impressione di essere in luoghi dove ogni cosa può succedere e dove tutto è asfittico e in una immobilità apparente. Morandi non è interessato a rappresentare ma a restituire la fugacità dei suoi soggetti caratterizzati dal passaggio del tempo.
Le opere grafiche
L’unico mezzo di esprimere un’emozione in forma d’arte è di trovare un correlativo oggettivo, ossia una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi che diverranno la formula di quella particolare emozione; e così, essendo dati i fatti esterni che devono concludersi in un’esperienza sensibile, l’emozione viene immediatamente evocata.
Thomas Stearns Eliot
Scendendo le scale si può osservare la precisione del lavoro di Morandi. Le opere su carta testimoniano l’accuratezza e la puntualità della sua ricerca. I temi ricorrenti assumono più storicità se messi in rapporto anche con i documenti inediti qui esposti. Fotografie di famiglia e corrispondenze personali con amici e critici dell’arte sono la testimonianza di come Morandi non si sia rifugiato in collina ma era ben connesso con il resto del suo ambito. Dai delicati limoni che posano su un ripiano dal non preciso limite a una veduta di Roma, il tutto inciso su carta, fermato nell’eternità. Il tratto in queste opere si fa definito, sicuro e conscio del tempo che passa. Le opere grafiche sottolineano proprio come i suoi soggetti siano ben definiti matericamente anche se è il tempo a modificarli.
Per una Conclusione, la poetica di Morandi
Morandi ha attraversato la storia dell’arte ma da questa non si è fatto contaminare. A partire dallo pseudo periodo futurista che ha infiammato il suo spirito giovanile senza intaccare la sua ricerca. Morandi, infatti, è interessato alla costruzione razionale piuttosto che alla scomposizione geometrica e fisica attraverso le forze della velocità. Una costruzione che guarda sia a Cézanne, del quale Morandi era affascinato, ma soprattutto all’arte italiana del Rinascimento. La precisione e il rigore di Paolo Uccello piuttosto che la retorica e il dramma della rappresentazione di Michelangelo quindi, che porta Morandi a guardare alla Metafisica. Ma qui egli si accorge che la forma e la sostanza non sono considerate insieme, cosa che invece interessa al pittore bolognese.
Morandi ha fissato sulla tela l’evidente fisicità degli oggetti e, come Cézanne, è interessato a coglierne l’essenza in quanto la sua arte voleva dare la sensazione del procedere del tempo. Lo sguardo classico per Morandi è sinonimo di rigore e purezza a differenza del ricercato arcaismo di Valori Plastici e Novecento; la condizione metafisica, che per Morandi è un sinonimo di equilibrio che si concretizza in una sapiente alternanza di volumi e colori senza rimandare ad un altrove indefinito: queste le due linee di ricerca di Morandi.
La dignità estetica della vita dell’oggetto che Morandi ricerca ci permette di guardare per una volta alla lingua inglese. Osservando le sue opere il termine “natura morta” dà la sensazione di qualcosa di finito e senza prospettiva. Invece still life, natura silente, offre l’opportunità di rendere giustizia al lavoro di Morandi. Una natura che vive, esiste e si mostra; che esiste consapevole della sua essenza e che, in quanto tale, si offre alla genio di Morandi. Morandi trova nella semplicità il massimo grado della completezza un po’ come Leopardi intendeva la noia, ossia come il «maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana».
Fonti
Giorgio Morandi. Lettere, a cura di Lorella Giudici, Abscondita, Milano 2004.
Credits
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