Un tatuaggio può far bene? L’aspetto psicologico del tatuarsi

In Occidente, negli ultimi decenni la pratica di incidere un tatuaggio sulla propria pelle è aumentata, e con essa anche tutti i pregiudizi di cui è sempre stata soggetta. Gli stereotipi vedono nella persona con tatuaggi un individuo più ribelle e sfrontato ma spesso, dietro alla scelta di incidere sulla propria pelle un messaggio, c’è molto di più di un semplice istinto. Il tatuaggio diventa simbolo di amor proprio, un modo per reclamare la propria corporeità ed esprimere la creatività umana.

Una pratica di lunga data

Nel 1991 nei pressi di Bolzano è stata rinvenuta la mummia di un uomo di circa 5,300 anni fa che ci ha fatto ricredere sull’originalità di questa pratica. Il fascino della scoperta è dovuto ai numerosi tatuaggi presenti in diverse zone della sua pelle. I primi studi ne individuarono un numero variabile tra i quarantanove e i cinquantasette a causa della difficoltà di identificazione a occhio nudo, ma maggiori osservazioni ne stabilirono un numero pari a sessantuno. Nonostante molti di essi siano soggetti piuttosto piccoli (semplici linee, punti e crocette) colpiscono per il numero, elevato anche per gli standard odierni. Altre testimonianze, questa volta risalenti all’Antico Egitto, ci confermano che la pratica dei tatuaggi ha sempre accompagnato la storia dell’uomo.

Come si crea un tatuaggio?

Come in ogni cosa, anche la tecnologia dei tatuaggi è andata incontro a un’evoluzione significativa con il passare dei secoli. Ai tempi di Ötzi (l’uomo del ghiacciaio Similaun) l’arsenale tecnologico metteva a disposizione ossa animali e legnetti appuntiti. Oggi, invece, possiamo giovarci di moderne macchinette a motore che, oltre a garantire un risultato più complesso e funzionale, ci permettono di prevenire possibili conseguenze negative, come malattie o infezioni. La macchinetta inietta l’inchiostro nel derma, il secondo strato della nostra pelle, dove viene assorbito in modo permanente tramite vari meccanismi messi in atto dal nostro corpo.

Fa male?

Sorge naturale porsi questa domanda, soprattutto per chi è estraneo al mondo dei tatuaggi ma la risposta può variare molto da persona a persona. C’è chi risponde senza ombra di dubbio di no e chi, invece, ammette di aver sentito dolore. A ogni modo, a prescindere dalla sofferenza avvertita dall’individuo, il corpo umano percepisce il dolore come un trauma, richiedendo una risposta immediata da parte del sistema nervoso. Il risultato è una scarica di adrenalina e il rilascio di endorfine, che provoca sulla persona uno stato di forte emotività e di rilassamento allo stesso tempo. L’effetto può durare anche oltre due ore, a seconda dalla persona.

Molto più di un accessorio estetico

Dopo aver considerato questa breve parentesi, è inevitabile rispondere che “Sì, fare un tatuaggio può fare male”. Considerato ciò è naturale chiedersi cosa spinga una persona a tatuarsi, tenendo presente che la sua pratica può anche essere fonte di dolore. Prima di trovare una risposta a questa nuova domanda, possiamo capire fin da subito che il tatuaggio ha un valore che supera la semplice definizione di accessorio estetico. 

Una nuova prospettiva

Il professor Viren Swami, psicologo all’Università Anglia Ruskin a Cambridge, si occupa di corporeità e immagine e da sempre ritiene che gran parte delle spiegazioni superficiali dei tatuaggi siano errate e svianti. Secondo alcune teorie, un tatuaggio poteva essere mezzo di attrazione sessuale per un partner. Essendo realizzato con metodi molto precari non era raro che potesse diventare fonte di infezioni e malattie. Avere un tatuaggio significava essere sopravvissuti a un’infezione e, quindi, avere dei geni forti da trasmettere alla progenie.

Tuttavia, Swami rifiuta questa visione, inquadrando il tatuaggio sotto una prospettiva sociale e culturale. Secondo lui, infatti, il tatuaggio è sempre stato usato per esprimere l’interiorità dell’individuo e la creatività umana.

Il tatuaggio come “una finestra sulla psiche”

Un tatuaggio può simboleggiare una storia, un’avventura o un ricordo passato che ha forgiato la personalità della persona. Nell’istante in cui una persona decide di farsi un tatuaggio, esso diventa parte del suo corpo, in un legame che non si scinderà mai. In alcune delle sue ricerche, Swami si è occupato di intervistare alcune persone prima e dopo aver fatto un tatuaggio. Intervistando i soggetti ha scoperto che l’insoddisfazione per il proprio corpo e l’ansia di apparire sono diminuite notevolmente a seguito dell’incisione. Questo sentimento di rinnovato ottimismo e di riconciliazione con il proprio corpo era ancora evidente settimane dopo, segno che la sensazione di benessere citata prima non è una questione momentanea. Una volta che le persone hanno fatto un tatuaggio, infatti, la relazione con il proprio corpo si fa più intima.

Uno strumento per superare un trauma

Un altro esempio della funzione del tatuaggio è legato al tentativo di superare un trauma. Non è un caso che, ora che la pandemia di Covid-19 sembra essere meno urgente rispetto a quanto succedeva qualche mese fa, sono aumentati i cosiddetti “tatuaggi da pandemia”. L’esigenza di farsi un tatuaggio, in questo caso, è dovuta alla necessità di marcare l’apparente ritorno alla normalità dopo anni di pandemia. A questi si aggiungono anche i tatuaggi dei sopravvissuti, per tutti coloro che sono guariti da gravi problemi di salute, e i tatuaggi memoriali, eseguiti in ricordo di una persona cara che è venuta a mancare. In quest’ultimo caso il tatuaggio non ha a che fare con la morte, ma diventa l’espressione di quel dolore e di come esso ha influenzato la persona. Marcare il proprio corpo con un tatuaggio, quindi, diventa il modo di processare una difficoltà passata e di acquisire maggiore consapevolezza.

Un desiderio senza età

Ogni volta che una persona decide di farsi un tatuaggio deve essere pronto a sentirsi rivolgere la fatidica domanda “ma cosa farai quando sarai vecchio?”. Il pregiudizio secondo cui i tatuaggi sarebbero un’usanza esclusivamente giovanile è errato perché, come abbiamo visto, i benefici che esso comporta possono aiutare tutti. L’esigenza di accettare il proprio corpo e iniziare finalmente ad amarlo non ha età, e questo non dovrebbe portare a conclusione frettolose per cui una pelle più matura stonerebbe con del colore sopra. Ne sa qualcosa Isobel Varley, classe 1937, che a quarantanove anni ha deciso di farsi il suo primo tatuaggio e in breve tempo ha vinto il Guinness dei Primati per essere la senior più tatuata al mondo, o Sadie Sellers, scappata dalla casa di riposo con sua nipote che farsi tatuare un cuore sulla spalla.

Quindi un tatuaggio può far bene?

Proprio così, farsi un tatuaggio può essere fonte di benessere personale. Considerante tutte le ragioni per cui una persona può farsi un tatuaggio, continuare ad associarlo ad ambienti criminali è un peccato. È tempo di riconoscere questa pratica al pari di altre arti e concederle il valore che merita.

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