“Vortex” di Gaspar Noè

La vita è un sogno dentro un sogno.

Con queste parole che si apre il nuovo film del regista visionario Gaspar Noè, affermato nel panorama cinematografico contemporaneo come uno dei registi più provocatori. Se si pensa alla sua filmografia vengono in mente Enter the void e Climax, viaggi allucinogeni in cui sesso e droga la fanno da padroni. Il regista argentino ha sempre dimostrato come fosse possibile far percepire allo spettatore una realtà distorta intervenendo sul senso della vista. Piani sequenza, soggettive e riprese aeree creano un mix letale di linguaggi cinematografici sovversivi.

Come nasce un film

È la vigilia di capodanno quando Gaspar Noè si trova in Argentina con il padre, ed è durante quell’occasione che nasce l’idea di realizzare un film che si adattasse ai tempi del Covid-19: due o tre protagonisti all’interno di uno spazio chiuso e angusto che rappresentassero il periodo di isolamento che ciascuno di noi è stato costretto a vivere. La madre, malata di demenza senile, è stata sicuramente un’ispirazione per la realizzazione della pellicola che può essere considerata come una sorta di autobiografia atta a descrivere un periodo particolarmente difficile della vita del regista.

Quando ho visto mia madre sotto “l’incantesimo” della demenza era in uno stato di terrore che non augurerei a nessuno. Non è come in Climax in cui la demenza dura solo una notte. Quando il tuo cervello inizia a sgretolarsi, diventa un biglietto di sola andata.

In un film come Enter the void — basato sul libro tibetano dei morti — che è stato realizzato quando il regista aveva 20 anni, la morte fa più paura rispetto a quando si invecchia, poiché si ha una vita davanti. Il timore scompare lentamente con l’avanzare dell’età e Noè decide di rappresentare questa visione differente del lutto come non aveva mai fatto prima.

La violenza dell’esistenza umana

Presentato alla 74esima edizione di Cannes, Vortex è stato ingiustamente snobbato a causa di una programmazione notturna che ha dissuaso gli spettatori dal presenziare alla proiezione del film più maturo del regista. Perché Vortex non parla di sesso e droga, non parla di vite al limite segnate dalla tossicodipendenza in cui si assiste al declino psico-fisico dei protagonisti. Gaspar Noè mette in scena la crudezza della vita da una prospettiva diversa: quella della vecchiaia. Paragonabile all’Amour di Haneke per le fitte somiglianze della trama, la pellicola si differenzia tuttavia nel modo in cui viene mostrato l’inesorabile declino della mente.

Ero molto infastidito dal fatto che tutti i miei ultimi lavori avessero a che fare solo con giovani personaggi che scoprivano il sesso, l’amore e la droga, allora mi sono detto “la vita non è solo questo” (…) e ho pensato sarebbe stato molto toccante trattare un argomento del genere, anche perché è universale. In ogni famiglia c’è una nonna, un padre o uno zio con demenza, e faccio fatica a comprendere perché non si facciano più film su argomento.

Girato solamente in 5 settimane, molti lo definiscono come il film più violento del regista in termini di ciò che viene rappresentato. Un film di “corpi” ma che porta all’estremo il concetto di esistenza umana.

Lo sdoppiamento

In Vortex — letteralmente “Vortice” — si assiste agli ultimi giorni di vita di un’anziana coppia di coniugi francesi. Lui (un insolito Dario Argento), critico cinematografico alle prese con la stesura del suo romanzo “Psyche” e lei (una commovente Françoise Lebrun), un’ex psichiatra malata di Alzheimer. Le uniche droghe presenti sono le innumerevoli medicine che tentano di salvare la coppia dal loro inevitabile destino.

Dopo i primi minuti lo schermo di sdoppia: uno split screen in cui la macchina da presa diventa un’ombra che insegue i due protagonisti distintamente. Per tutta la durata della pellicola lo spettatore decide cosa guardare, che storia seguire, se quella di lei o quella di lui. Il regista si fa da parte lasciandoli gironzolare per le stanze anguste della loro casa parigina mostrando la loro lenta quotidianità. Una scelta stilistica audace e stimolante che permette di catturare ogni singolo movimento ed emozione dei due attori in scena.

Durante i primi due giorni di riprese il regista ammette di aver usato una sola telecamera, mentre nei giorni successivi due: riguardando il materiale capì che sarebbe stato molto più interessante girare l’intero film con un doppio schermo. Lo split screen permette infatti di seguire due vite che sono collegate, ma allo stesso tempo vengono separate. Questo si avvicina molto di più alla realtà rispetto ai linguaggi cinematografici più famosi, come per esempio la tecnica del campo-controcampo, che viene percepito come fittizio e non abbastanza lineare. 

 

La coppia Argento-Lebrun

È risaputo che Gaspar Noè non faccia uso di copione, se non un esiguo canovaccio che subisce continue variazioni con il proseguimento delle riprese. Dario Argento non si fa però intimidire dimostrandosi a proprio agio recitando in un francese italianeggiante e improvvisando battute che fanno anche emozionare. Qualche cameo lo aveva già fatto in Amore all’ultimo morso e ne Il cielo è sempre più blu, ma mai aveva assunto il ruolo da protagonista. La Lebrun si rivela indubbiamente più espressiva, merito anche della sua carriera attoriale. I due però si compensano vicendevolmente facendo trasparire le debolezze di una coppia che cerca di sopravvivere nonostante le avversità della vita.

Gaspar Noè rappresenta gli eventi di vita reale così come li aveva sperimentati sulla propria pelle attraverso la sua famiglia, rendendo più spontanea una produzione che non aveva nessun tipo di programmazione.

La morte come nuovo inizio

Il film è anche un palese omaggio al cinema: un appartamento tappezzato di locandine di Lang e Godard e una moltitudine di libri diventano una sorta legame con il passato da cui la coppia non riuscirà a separarsi. La memoria è un tema centrale non solo per la malattia, ma per l’accumulo di ricordi che pervade ogni millimetro della casa, le cui stanze diventano meandri della loro stessa mente.

“Il cinema è come un sogno”, dice Dario Argento in una sequenza estremamente dolce e sincera. Una dichiarazione d’amore verso la settima arte che rievoca grandi maestri come Fellini e Mizoguchi, che hanno indagato con le loro pellicole il legame tra cinema e sogni. Non è un caso che il protagonista stia scrivendo un romanzo proprio su questo duplice rapporto.

“Psyche” diventa quindi perno della vicenda, una sorta di canto del cigno di un uomo che cerca disperatamente di concludere il lavoro di una vita. Dall’altra parte abbiamo Gaspar Noè con il suo lavoro più maturo e sincero: la rivelazione di un regista che ha sempre giocato con la provocazione ma che ora si apre alla sfera emotiva in maniera più pura e sincera.

 

FONTI

youtube.com

CREDITI 

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