Alfabetizzazione digitale
Prendendo per esempio in considerazione i Paesi dell’area Mena (Middle East and North Africa), come Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Siria e Arabia Saudita, si può notare come l’aumento dell’utilizzo e del coinvolgimento della Rete porti via via a delle restrizioni sempre maggiori.
Le tecniche di controllo adottate non sono paragonabili a quelle di Cina e Iran, per esempio. Tuttavia da un’analisi più approfondita si evince che, in base alla percentuale di persone che utilizzano la Rete, vengono presi provvedimenti dal governo autoritario. In Algeria per esempio non sono state adottate delle politiche repressive nei confronti della Rete. Ma la percentuale di persone che la utilizzano è pari appena all’11%. Diversa è la situazione in Tunisia dove grazie a una partecipazione maggiore, ovvero del 28%, le maglie della Rete sono state ristrette. La Siria, invece, cerca artificialmente di mantenere il grado di partecipazione basso.
Censura preventiva e pressione indiretta
I governi di Siria, Tunisia e Arabia Saudita si sono specializzati in una forma di censura che si chiama “censura preventiva“. Sono inoltre i Paesi dell’area Mena che esercitano il maggior controllo dei contenuti che vengono diffusi via Internet. La censura preventiva consiste nell’inserire i siti web ritenuti scomodi nelle cosiddette “liste nere”. Non solo: i risultati dei motori di ricerca vengono filtrati e viene anche evitato l’accesso a persone non gradite dallo Stato. Per fare questo è stata istituita un’unica compagnia nazionale con il compito di gestire il servizio telematico seguendo il regime di monopolio.
In Siria è anche presente un sistema di “cyber polizia” che ha il compito di intervenire per manomettere le pagine dei blog che presentano contenuti sconvenienti e i profili social degli attivisti. Nei regimi più oppressivi i sistemi di sorveglianza della rete sono molto sviluppati, talvolta sono persino collegati alle forze di polizia e ai servizi segreti che hanno dei reparti appositi per monitorare le attività sul web. Chiunque tenti di scrivere o diffondere articoli provocatori viene arrestato con l’accusa di “opinione illegale”.
Tra i governi di Siria, Tunisia, Arabia Saudita ed Egitto è stata inoltre adottata una legislazione nazionale che prevede il controllo degli accessi, del contenuto delle email dei cittadini e del traffico on-line. In Egitto per esempio ogni Internet Cafè ha l’obbligo di chiedere i documenti dei clienti che vogliono utilizzare la connessione Internet. La Tunisia invece tiene il prezzo degli accessi molto alto, ma altri Paesi passano invece a intimidazioni fisiche e verbali per “salvaguardare” l’accesso.
Il caso Arabia Saudita
Il dissenso in Arabia Saudita è punito con la galera, che è il mezzo più comune per trattare con i ribelli: ne sono ben consapevoli gli imam con idee contrarie a quelle imposte dal regime, gli attivisti dei diritti umani e i blogger sciiti. Talvolta basta l’accusa di “disturbo verso terzi” per finire in prigione. A volte però quelli considerati ribelli vengono puniti con la morte.
Raif Badawi, un blogger e attivista, è stato condannato a dieci anni di carcere e 1000 bastonate e una multa di oltre un quarto di milione di dollari, con l’accusa di aver divulgato messaggi dannosi per la sicurezza del Paese. Questo caso ha attirato l’attenzione dei responsabili di Amnesty International che si sono dichiarati totalmente contrari alla condanna. Secondo i direttori si tratta di un grave attacco alla libertà di espressione. Infatti il confine tra diritto di espressione e tutela della sicurezza è sempre più labile, a maggior ragione sul web.
La colpa di Badawi sarebbe stata quella di aver insultato i sacri principi dell’Islam divulgando commenti televisivi e tramite il suo sito web «Free Saudi Liberals» dei messaggi di dissenso contro il Governo saudita e proclamando messaggi di pace e uguaglianza fra tutte le religioni del mondo. A causa di questa presa di posizione, Raif Badawi ha dovuto scontare dieci anni di carcere, 1000 frustate e l’esilio in Libano dei propri familiari.
Nonostante il dissenso di Amnesty International e i molti personaggi schierati al suo fianco a esprimere il loro dissenso per la vicenda, Raif Badawi è stato scarcerato solo quest’anno, dopo aver scontato la sua pena.
Liberalizzazione del web?
In Egitto, per esempio, la stretta legislativa e la necessità di regolamentare la presenza online è da imputare sia alla riuscita a più riprese da parte dei blogger egiziani di esprimere il loro dissenso, attraverso delle campagne di opposizione alle politiche egiziane, sia alla necessità di mettere sotto sorveglianza la rete organizzativa degli estremisti islamici dopo gli attentati del 2006 di Dahab. È infatti dal 2007 che sono iniziati controlli più rigidi in Egitto.
La Libia invece solo di recente ha cominciato nuovamente a inasprire le politiche di monitoraggio delle reti. Infatti nel 2008 aveva scarcerato i dissidenti portando avanti la liberalizzazione del web.
Secondo l’intelligence americana, l’Egitto ha condiviso le conoscenze di “Cyber Warfare” con il Sudan e con l’Uganda. Tuttavia, nonostante la condivisione delle conoscenze che sta avvenendo tra i Paesi, gli stati Mena non sembrano aver adottato le forme di repressione della libertà di espressione in rete, come ad esempio le tecniche di manipolazione dei consensi in rete, già utilizzati da Cina e Iran. Questa tecnica consiste nell’utilizzare del personale per creare materiale di propaganda online, facendolo apparire però totalmente spontaneo. Questo servirebbe per lavorare sull’inconscio delle persone saturando il web nei momenti ritenuti critici per il regime.
Per quanto riguarda i Paesi Mena, non è da escludere che questo tipo di pratiche non vengano utilizzate in futuro. Al momento sono troppo dispendiose e considerando che l’utilizzo del web nei Paesi presi in considerazione non ha delle percentuali troppo alte, probabilmente non sarebbe nemmeno utile. Immaginando però l’espansione digitale, unita all’abbattimento dei costi, potrebbe non essere un futuro troppo lontano.
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