Animali Fantastici: I Segreti di Silente, uscito in sala lo scorso 13 aprile, è il terzo capitolo della (presunta) pentalogia spin off di Harry Potter. Il progetto, sceneggiato da J.K. Rowling, era nato infatti con l’obiettivo di ampliare i confini del Wizarding World e intersecare le avventure del magizoologo Newt Scamander, di un giovane Albus Silente e del mago oscuro Grindelwald, in un periodo di tempo compreso tra il 1926 e il 1945.
Se il primo capitolo, Animali Fantastici, era riuscito a convincere i fan del maghetto con gli occhiali e a riproporre parte della magia della saga principale, lo stesso non si può purtroppo dire dei sequel. I Crimini di Grindelwald, affossato da pubblico e critica, ha infatti dato inizio a un inesorabile fase di declino; un declino di qualità e coinvolgimento della fan base all’interno del quale si è inserito anche I Segreti di Silente.
Al momento, il terzo capitolo rappresenta il peggior incasso del Wizarding World e, per quanto sia necessario attendere ancora alcune settimane prima di poter emanare un verdetto che tenga conto anche delle inevitabili difficoltà pandemiche, il rischio che la Warner decida di porre fine al progetto è più che mai concreto.
Resta da chiedersi che cosa non abbia funzionato e, soprattutto, se il terzo tassello della saga abbia fallito per mancanze proprie o per difetti congeniti sviluppati da I Crimini di Grindelwald.
Un film grigio e insoddisfacente
Come spesso accade la risposta sta nel mezzo. I Segreti di Silente, da buona parte di critica e pubblico considerato un lieve passo in avanti rispetto al predecessore, può invece considerarsi un degno erede delle brutture messe in mostra dal secondo film. Semmai, alla cupezza e alla confusionaria gestione del materiale narrativo de I Crimini di Grindelwald, l’ultimo capitolo sostituisce un piatto grigiore, privo di qualsivoglia velleità artistica e colmo di risposte insoddisfacenti. Ma facciamo un passo indietro.
Tra gli errori più conclamati della seconda pellicola del lotto si possono annoverare la messa in disparte degli animali fantastici, l’esorbitante pletora di personaggi mal scritti e mai approfonditi, nonché una serie di dubbi riguardanti lo strambo percorso evolutivo della legilimens Queenie (Alison Sudol) e l’identità segreta di Credence (Ezra Miller). Ebbene, nonostante I Segreti di Silente tenti disperatamente di correggere la rotta, la sensazione che il film lascia è quella di un maldestro e mal riuscito rattoppamento, inefficace se non addirittura dannoso.
La sceneggiatura è un pianto
Le difficoltà di J.K. Rowling nel ruolo di sceneggiatrice erano già abbondantemente emerse ne I Crimini di Grindelwald. E l’inserimento in corsa di Steve Kloves, già all’opera in Harry Potter e assunto in qualità di sostegno all’autrice, è servito a ben poco.
Se gli animali tornano infatti a vestire un effettivo ruolo all’interno del racconto (sebbene l’operazione risulti a tratti parzialmente forzata), il vero problema de I Segreti di Silente sono, come accadeva per il predecessore, i suoi personaggi. Alla già numerosa conta di figure prive di introspezione psicologia, la saga sembra non poter fare a meno di aggiungerne di nuove; con il risultato di un universo espanso colmo di motivazioni risibili e di una piatta divisione tra buoni (perché sì) e cattivi (perché sì). Un universo in cui emozionarsi, schierarsi e seguire “gli eroi” nelle loro (inesistenti o mal tratteggiate) evoluzioni o trasformazioni risulta di fatto impossibile (Newt Scamander e Jacob forse gli unici a salvarsi).
Alison Sudol e Ezra Miller rappresentano il fulcro di tale problematica. La prima in veste di una Queenie schizofrenica, costantemente in bilico tra bene e male per motivazioni ignote o difficilmente comprensibili. Il secondo interprete di un Credence tormentato ma abbandonato a se stesso, centro focale del cliffhanger finale del secondo capitolo divenuto comprimario per lo più inutile del terzo.
Film o puntata?
Al di là della bravura di Jude Law e dell’esordiente Mads Mikkelsen, anche i personaggi di Silente e Grindelwald faticano a convincere e regalare non più di qualche sussulto e promessa infranta. Il tutto condito non solo da una trama che gira su se stessa per più di metà della pellicola risultando riassumibile in una comoda puntata di 40 minuti; bensì anche da una regia che, affidata al solito irricevibile David Yates, non riesce minimamente a nobilitare la materia in suo possesso, finendo per delinearsi come colpo di grazia al film e garanzia della mediocrità dello stesso.
Difficile dire se, tralasciando la critica specializzata, la più che tiepida risposta del pubblico sia in parte da attribuirsi alle vicende off screen che hanno coinvolto prima Johnny Depp (licenziato dal progetto) e poi Ezra Miller. Quel che è certo è che i dirigenti Warner stanno attuando caute riflessioni sul futuro della saga; se questa andrà a configurarsi come una trilogia, una tetralogia o terminerà il corso inizialmente previsto è un qualcosa che non ci è ancora dato sapere. Le premesse, però, sono tutt’altro che incoraggianti.