Cibo e salute mentale: intervista alla Dottoressa Barbara Citella

Anoressia, bulimia, obesità: in questi ultimi anni è capitato a tutti, almeno una volta, di sentire questi nomi. Si stanno diffondendo sempre di più, infatti, i Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione, un gruppo di patologie complesse, caratterizzate da una condotta alimentare disfunzionale.

L’ultima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, il DSM-5, pubblicato dall’American Psychiatric Association, definisce così i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione:

I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati con l’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale.

Nel periodo di pandemia, poi, questi fenomeni sono aumentati spaventosamente: i sintomi associati a disturbi alimentari sono cresciuti del 36% e i ricoveri del 48%. Sono i dati emersi da uno studio pubblicato sull’International Journal of Eating Disorder, una revisione di 53 ricerche sul tema con oltre 36 mila pazienti, oltre il 90% donne di età media di 24 anni.

Il tema è delicato ma al tempo stesso fondamentale: per questa ragione abbiamo contatto un’esperta, la Dottoressa Barbara Citella, biologa nutrizionista, per farle alcune domande.

Cosa ha studiato? Dove si è formata?

La mia formazione è iniziata all’Università degli studi di Milano Bicocca, dove ho frequentato il corso di laurea triennale in Scienze Biologiche. Ho proseguito presso l’Università Statale di Milano, dove ho seguito il corso di Laurea Magistrale in Biologia applicata alle scienze della Nutrizione. Al termine del mio percorso di studi ho superato l’esame di stato per l’abilitazione alla professione di Biologo e ho frequentato negli anni diversi corsi di formazione e aggiornamento.

Il suo motto è “mangiare bene significa volersi bene”: da cosa è nata la sua passione per la nutrizione? E la conseguente divulgazione sui social di buone abitudini alimentari?

Nella mia attività quotidiana cerco sempre di trasmettere la passione per il mio lavoro ai miei pazienti, dedicandomi ad ognuno di loro in modo attento, scrupoloso e personalizzato al 100%.

Credo fermamente che intraprendere un percorso nutrizionale non significhi solo raggiungere degli obiettivi in termini di peso, ma soprattutto in termini di salute, in tutte le sue sfaccettature. Salute fisica (prevenzione), salute mentale e salute sociale; va da sè quindi che dieta per me significhi stile di vita, nuove abitudini, che in modo graduale portino il paziente a sentirsi meglio di prima e quindi a non voler più tornare indietro.

La passione per l’ambito della Nutrizione è nata strada facendo, soprattutto perchè amo il rapporto umano con le persone e poter trasmettere loro le mie conoscenze, mettendo in pratica il mio lavoro. La divulgazione sui social è iniziata all’incirca nel 2017, soprattutto su Instagram, dove ho iniziato a postare semplici ricette; l’evoluzione più grande è avvenuta durante il primo lockdown nel 2020, periodo che mi ha permesso di avere molto più tempo libero da dedicare all’attività online. Oggi, cerco di essere quanto più possibile attiva e presente sui social, anche se il mio primo e “vero” lavoro si svolge in studio tutti i giorni con i miei pazienti.

Che differenza c’è tra biologo nutrizionista, dietologo e dietista? E per cosa è più indicato il biologo nutrizionista?

La differenza tra le varie professioni indica un diverso tipo di studi, non indica certamente la bravura o meno del professionista. Il/la Dietologo/a è medico, specializzato in Dietologia; mentre il/la Dietista ha frequentato il corso di laurea di tre anni in Dietistica; il/la Biologo/a Nutrizionista ha invece superato l’esame di stato di Biologo, dopo cinque anni di studio.

Sulle altre professioni non mi espongo non essendo il mio ambito; ma sulla professione di biologo nutrizionista posso dire che: il biologo può autonomamente elaborare profili nutrizionali al fine di proporre alla persona che ne fa richiesta un miglioramento del proprio benessere, quale orientamento nutrizionale, finalizzato al miglioramento dello stato di salute. Il biologo nutrizionista può svolgere la sua professione in totale autonomia, senza la presenza del medico. Il biologo può inoltre prescrivere integratori, non può prescrivere farmaci (solo il medico può farlo).

Perché è spesso difficile avere un rapporto sano con il cibo? Quale è il modo migliore per affrontare un percorso nutrizionale?

Credo che la società di oggi metta a dura prova il nostro rapporto con il cibo, e questo vale non solo per i più giovani. Uno degli obiettivi durante un percorso nutrizionale con i miei pazienti è quello di far avere loro un sano e sereno rapporto con il cibo e con il proprio corpo. Per questo motivo non propongo mai diete drastiche e approcci “tutto subito”; è importante sottolineare che per ottenere risultati soddisfacenti e duraturi nel tempo non è necessario fare diete strane e molto restrittive. A volte basta cambiare in modo graduale ed efficace le proprie abitudini, grazie a un professionista della nutrizione che sappia individuare i punti più importanti su cui lavorare insieme.

In base alla sua esperienza, pensa che la diffusione dei social network e l’uso quotidiano che ne facciamo abbiano influenzato il nostro rapporto con il cibo? Quanto contano l’impatto con la società e il paragone con le altre persone nella nostra alimentazione?

A mio parere i social possono essere una meravigliosa risorsa e allo stesso tempo una fonte di informazioni spesso fuorvianti e sbagliate. La cosa più pericolosa nel mondo dei social attualmente per me è rappresentata da pagine di persone che, abusando di professione, danno consigli alimentari senza avere alcuna qualifica in merito. Purtroppo, però, vedo anche professionisti qualificati che banalizzano sui social molti temi importanti e seri, dando informazioni parziali e non chiare.

Secondo me dal momento in cui si pubblicano dei contenuti online è fondamentale che si sia certi che chiunque ne fruisca possa trarne solo beneficio, cercando di evitare di spiegare concetti molto complessi in due parole e senza rischiare di voler diventare dei “tuttologi”.

Sta sempre a noi utenti decidere chi seguire, quindi penso che creare consapevolezza nel proprio pubblico porti a fare una scrematura di tutti i profili che ci recano solo danno.

In questo quadro, qual è stato il ruolo giocato dalla Pandemia?

Durante la pandemia ho praticamente sempre lavorato, tranne l’iniziale mese e mezzo da inizio marzo a metà aprile. Credo che il rapporto con il cibo delle persone sia spesso cambiato in negativo (più stress, smart working e maggiore accesso agli alimenti, organizzazione difficile), ma in alcuni ho riscontrato anche un risvolto positivo. Molte persone infatti si sono ritrovate ad avere molto più tempo da dedicare alla spesa e alla cucina. Il mio lavoro quindi è stato duplice: aiutare a recuperare delle sane abitudini per alcuni, cercare di portare avanti le buone abitudini acquisite per altri.

Nel 2021, come riporta «Il Giorno», è stato registrato un boom dei casi di anoressia tra i giovani. Infatti, se in genere le prime visite annuali al San Paolo per disturbi del comportamento alimentare ammontavano a 150, solo a novembre 2021 il numero è arrivato a 225. Con una lunga lista d’attesa. Secondo lei, perché proprio in questo ultimo anno è stato registrato un così forte aumento?

Da alcune evidenze si evince che in realtà i casi di diagnosi dei disturbi del comportamento alimentare siano aumentati perchè le famiglie si sono ritrovate più tempo insieme e si sono accorte di più degli atteggiamenti disfunzionali dei/delle propri/e figli/e. Certamente però, l’isolamento sociale che hanno subito i ragazzi e le ragazze nella pre adolescenza e adolescenza, unito spesso all’aumento della sedentarietà (stop allo sport, alla vita di gruppo, alle uscite…) ha portato per molti di loro a rifugiarsi nel cibo come valvola di sfogo e di compensazione.

Secondo la sua esperienza i disturbi alimentari vengono sottovalutati? Serve una maggiore sensibilizzazione su questo argomento? In che modo?

Credo che negli ultimi anni si stia cercando di fare molta più divulgazione a riguardo, ma ci tengo a sottolineare l’importanza di prestare attenzione anche a tutte le condotte disfunzionali verso il cibo che sovente non trovano una chiara diagnosi, ma sono comunque sintomo di disagio e difficoltà.

Con le giuste domande e con una buona capacità di anamnesi ed ascolto, siamo noi professionisti a dover indirizzare il paziente a prendersi cura di sé sotto ogni aspetto, anche quello psicologico, relazionale ed emotivo.

Sul suo profilo Instagram, qualche mese fa, ha parlato anche dei cosiddetti “nuovi disturbi alimentari”: ortodossia, bigoressia e drunkoressia. In cosa consistono? Ne esistono altri?
Ortoressia

L’ortoressia è un disturbo caratterizzato da un’ossessione per il cibo ritenuto sano, che porta al totale rifiuto ed evitamento di quello considerato potenzialmente dannoso. Le persone affette da questa patologia praticano una dieta estremamente rigida e controllata, che le porta ad escludere tutti quegli alimenti che ritengono nocivi per la salute. L’individuo ortoressico pianifica i propri impegni e le proprie qiornate guidato dall’ansia che ha sviluppato rispetto all’alimentazione, evitando le situazioni sociali nelle quali sarebbe costretto a trasgredire. La trasgressione delle proprie regole gli causerebbe ansia e vergogna; e pertanto l’ortoressico vive all’interno di un sistema di schemi rigidi che lo portano a limitare o a escludere relazioni sociali e affettive. Questa patologia ha delle conseguenze mediche severe, derivanti dalla totale esclusione dalla propria dieta di molte categorie di alimenti; causa ad esempio di osteoporosi o avitaminosi.

Bigoressia

La parola bigoressia, invece, deriva dall’inglese big, ovvero grande, e dal latino orex, appetito, quindi letteralmente significa “fame di grandezza”. È il desiderio di avere un corpo più muscoloso, a causa dell’idea ossessiva di essere troppo esili. La persona affetta da bigoressia cerca la muscolatura perfetta con la pratica compulsiva di allenamento fisico e un’alimentazione iper-proteica, che include spesso l’abuso di steroidi e anabolizzanti. L’intensa attività fisica svolta in palestra, spesso priva di una adeguata preparazione atletica di base, può essere causa di problemi muscolari e osteoarticolari, quali tendiniti e lombalgie.

La bigoressia può causare seri problemi di salute a livello metabolico, cardiovascolare, renale ed epatico, oltre ad avere un forte impatto sulla sfera sociale relazionale che può risultare compromessa. Dati statistici: Il disturbo si evidenzia in particolare nei maschi tra i 15 e i 23 anni, soprattutto tra quanti frequentano le palestre e tra gli appassionati di body-building. In Italia si segnalano circa 60.000 casi.

Drunkoressia

Il termine drunkoressia deriva dalle parole drunk, ubriaco, e anorexia; è stato utilizzato per la prima volta da alcuni giornalisti del New York Times, che riferivano della presenza di tale disturbo tra la popolazione giovanile dei college e campus universitari negli Stati Uniti, in particolare tra i cultori del fitness e della forma fisica. È una patologia in cui un uso massiccio di sostanze alcoliche è accompagnato dalla riduzione drastica del cibo e delle calorie al fine di evitare l’aumento di peso. La persona drunkoressica pertanto si sottopone a lunghi digiuni per poter assumere ingenti quantità di alcool a stomaco vuoto. L’obiettivo è quello di stordirsi e ubriacarsi evitando nel contempo il surplus di calorie. La drunkoressia è assimilabile ai più noti disturbi dell’alimentazione quali la bulimia e anoressia. All’utilizzo dell’alcool a digiuno si può associare anche il vomito auto indotto per evitare di prendere peso.

La drunkoressia ha delle conseguenze gravi sulla salute, quali stati di intossicazione, difficoltà cognitive, amenorrea; e può inoltre determinare danni al cervello, al fegato e al cuore con conseguenze potenzialmente letali. Dati statistici: tale comportamento patologico sembrava riferito in prevalenza alla popolazione femminile, ma con l’aggiornamento statistico del 2016 questa patologia è stata rilevata anche tra la popolazione maschile.

Sono definiti “nuovi” perché prima si era meno sensibili a queste tematiche, oppure perché la situazione per i giovani oggi è più difficile rispetto a quella delle generazioni precedenti?

Sono definiti “nuovi” sicuramente perchè derivano dal cambiamento dello stile di vita e delle aspettative degli ultimi anni del 21esimo secolo. Certamente erano già presenti in passato, ma la sempre più costante attenzione a riguardo li ha fatti emergere di più.

Quale è il modo migliore per far sì che uno stile di vita sano entri a far parte delle nostre abitudini alimentari a lungo termine?

Non fare fatica. Intraprendere un percorso che non faccia soffrire fisicamente e/o emotivamente; seguire buone abitudini che non siano drastiche e che quindi possano essere auspicabilmente portate avanti per sempre. Niente attenzione ossessiva verso le grammature e le Kcal, più attenzione verso la qualità nutrizionale degli alimenti e l’utilizzo di cibo sempre meno processato.

Come funzionano le visite?

Il percorso inizia con la prima visita, momento nel quale si cercano di ottenere più informazioni possibili dal paziente. Viene svolta un’anamnesi personale, familiare, patologica, storia del peso; vengono indagate le abitudini alimentari in base all’attuale stile di vita (abitudini di vita, tipo di lavoro, turni lavorativi, condivisione con familiari o conviventi…). Vengono infine eseguite le misurazioni antropometriche e poi formulato un piano alimentare personalizzato al 100%.

Il percorso procede con le visite di controllo (definite nelle tempistiche insieme al paziente); momento nel quale ci si confronta e si trovano soluzioni ad eventuali problemi. Non è un momento da vivere con ansia o apprensione; infatti dico sempre che non si viene a “timbrare il cartellino”, ma si fa il controllo per condividere le sensazioni riguardo il percorso e monitorare insieme i risultati.

L’obiettivo per ogni mio paziente è quello di renderlo autonomo nelle proprie scelte alimentari, così da poter avere sempre con sè un bagaglio ricco di informazioni e consigli utili per la sua vita di tutti i giorni.


FONTI

Intervista della redattrice alla Dottoressa Barbara Citella

nutrizionistacitella.com

dallegrave.it

corriere.it

onlinelibrary.wiley.com

CREDITS

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