Una delle piaghe del nostro tempo, dell’era dell’abbondanza (per alcuni almeno), è il diabete, ovvero la malattia che colpisce uno statunitense su dieci. La questione ci dà inoltre il pretesto per approfondire il funzionamento sia della sanità statunitense sia di quella nostrana e fare una breve considerazione sulla differenza fra la sanità pubblica e quella privata.
La piaga degli stati uniti: il diabete
Diabete: dal latino diabetes e dal greco διαβήτης, dal verbo διαβαίνω “passare attraverso”, letteralmente “sifone”, “Termine usato in passato per indicare una condizione morbosa caratterizzata da eccessiva e durevole eliminazione di urina” (treccani.it). Una delle malattie più problematiche negli Stati Uniti, vuoi per la sua altissima e crescente incidenza, vuoi per le non indifferenti spese che comporta (per la società e per i privati).
Una carrellata di dati: 37,3 milioni di americani hanno il diabete (all’incirca uno su dieci); la spesa medica pro-capite per le persone con diabete si aggira attorno ai 16.750 $ all’anno (di cui 9.600 $ attribuibili al diabete), sono quindi 2,3 volte più alta di quella delle persone senza diabete; il costo del diabete a livello nazionale è di 327 miliardi di dollari, di cui 237 miliardi consistono in spese dirette e novanta miliardi in spese indirette: 26,9 miliardi per la ridotta produttività degli stipendiati, 2,3 miliardi per la riduzione della produttività dei non assunti, 3,3 miliardi per l’assenteismo, 37,5 miliardi per l’impossibilità al lavoro e, infine, 19,9 miliardi a causa delle ridotta produttività dovuta alle morti premature.
Obamacare: un’importante riforma
La legge federale Patient Protection and Affordable Care Act del 2010, promossa dall’allora presidente Barack Hussein Obama II, nota semplicemente come Obamacare, è stata una delle riforme più importanti, criticate e discusse di entrambi i mandati del presidente in questione. Con la suddetta riforma si è andato a modificare radicalmente il sistema sanitario statunitense, che per lunga tradizione ha sempre teso verso la liberalizzazione e il privatismo, con mosse che hanno portato a una maggiore copertura pubblica.
In particolare con la riforma: le compagnie assicurative non hanno più potuto negare le assicurazioni alle persone afflitte da patologie particolarmente gravi; sono aumentati gli incentivi fiscali per l’acquisto di polizze assicurative; i datori di lavoro con più di cinquanta dipendenti sono tenuti a partecipare alla spesa per l’acquisto delle assicurazioni sanitarie dei loro dipendenti; la copertura del Medicaid (che, insieme a Medicare è l’unico programma sanitario pubblico) è stata incrementata; 32 milioni di cittadini in più sono stati tutelati dal sistema sanitario statunitense.
C’è chi dice no
Ma c’è chi dice no, e non è Vasco Rossi, bensì alcuni repubblicani che hanno fortemente osteggiato la riforma, a causa dell’aumento a breve termine della spesa pubblica, della diminuzione del margine di profitto per le aziende assicurative e dell’aumento dei prezzi per le le tariffe assicurative premium. Alla base del malcontento repubblicano c’è certamente una questione ideologica, i repubblicani difatti tengono in gran conto il principio del laissez faire: ovvero del “lasciar fare” che “riassume il principio secondo il quale lo Stato non deve imporre alcun vincolo all’attività economica, allo scopo di affermare il postulato della libertà individuale” (www.treccani.it).
Non a caso l’ex presidente repubblicano Donald Trump aveva affermato di voler intraprendere delle “riforme che aumentino la possibilità di scelta, abbassino i costi e garantiscano contemporaneamente una sanità migliore“. Già nel 2017 infatti l’ex presidente degli Stati Uniti aveva tentato di abolire l’Obamacare ma, nonostante la vittoria alla Camera dei rappresentanti (con 217 voti a favore dell’abolizione e 213 contro), la riforma non ha trovato l’approvazione del Senato (con 45 sì e 55 no), malgrado la maggioranza repubblicana presso lo stesso. Nel corso della sua legislatura, Trump ha potuto intaccare solo in parte la riforma democratica, per esempio abolendo l’individual mandate che obbligava ogni cittadino ad assicurarsi.
Successivamente il nuovo Presidente, Joe Biden, ha rilanciato con un ordine esecutivo l’Obamacare e ha riaperto le iscrizioni alle polizze assicurative statali (che erano state precedentemente chiuse).
La sanità in Italia
In Italia, come ben sappiamo, il sistema sanitario è pubblico. I suoi principi, come riportato sul sito ufficiale del Ministero della Salute, ai sensi della legge numero 833 del 1978, sono l’universalità, l’uguaglianza e l’equità. Il primo principio stabilisce che tutti i cittadini hanno accesso alle prestazioni sanitarie, intendendo con questa legge, la salute “non soltanto come bene individuale ma soprattutto come risorsa della comunità“, come riportato sul sito ufficiale del Governo. Il secondo sancisce che tutti i cittadini possono accedere al Servizio sanitario nazionale (SSN) senza che vengano applicate distinzioni di sorta in base alla loro condizione sociale o economica. Il terzo infine garantisce “parità di accesso in rapporto a uguali bisogni di salute“, sia fornendo a tutti i cittadini una comunicazione adeguata al loro livello di istruzione e di comprensione, sia garantendo loro “qualità, efficienza, appropriatezza e trasparenza del servizio e in particolare delle prestazioni“, al fine di superare ogni discriminazione nei trattamenti sanitari.
Come ogni sistema sanitario nazionale anche il SSN ha un costo piuttosto elevato sui contribuenti, in particolare la spesa pro-capite per la sanità è di 2.473 euro, a livello nazionale la spesa costa l’8,7% del PIL nazionale (di cui il 6,4% viene coperto dallo Stato e il 2,2% dai privati). Invero non è neanche una cifra così alta, se paragonata ad altri Paesi europei come la Francia e la Germania per cui la spesa pro-capite legata alla sanità è rispettivamente di 3.644 euro e i 4.504 euro, mentre la percentuale del PIL utilizzata per la sanità equivale 9,4% (per la Francia) e all’11,7% (per la Germania). Ma c’è poco da rallegrarsi: il nostro sistema sanitario costa di meno non già per un qualche virtuosismo frugale e parsimonioso, bensì a causa dei pesanti tagli sulla sanità effettuati fra il 2008 e il 2013 a causa della crisi economica.
Sanità pubblica o sanità privata?
In conclusione, al netto dei problemi e delle specificità di ogni Paese, cos’è meglio: la sanità pubblica o quella privata? Non spetta certo a noi trovare in una soluzione in questo contesto. Possiamo solamente dire che, al di là dei problemi strutturali che potrebbero frapporsi alla realizzazione di un dato modello di sanità, al di là delle spese e di tutto il resto, rimane senza dubbio una questione di princìpi. Da una parte c’è chi spera in un economia fortemente liberista e in uno Stato che meno fa meglio è (il laissez faire di cui prima); dall’altro abbiamo chi si rifà a ideali più socialdemocratici (in vista della giustizia sociale) e/o a una certa tradizione cattolica (non è questa la sede adatta, ma vale la pena accennare al fatto che molti studiosi abbiano trovato delle forti correlazioni fra capitalismo ed etica protestante).
Insomma non si può negare che ci sia una componente ideologica, e non solo pragmatica, nelle posizioni che ciascuno assume riguardo questo tema, non è un caso d’altronde che siano gli Stati del vecchio continente quelli storicamente più legati al welfare. L’unica considerazione degna di essere formulata a tal proposito è quella che invita a non cadere in gabbie ideologiche e a non polarizzare il dibattito in “buoni” e “cattivi”, ma, pur memori delle proprie idee e dei propri ideali, confrontarsi confrontarsi con apertura e razionalità.
Vale la pena infine tirare le fila e riprendere il discorso relativo al diabete per sottolineare come questa e molte altre patologie siano spesso correlate o aggravate da una cattiva dieta o da uno stile di vita sedentario; inoltre bisogna considerare il peso economico che una persona malata ha, in un sistema di sanità pubblico come il nostro, su tutti i propri concittadini. Alla luce di ciò e dei non così rosei dati riguardo la sedentarietà degli italiani ecco dunque che andare a correre diventa, non solo un abitudine virtuosa per la propria salute, ma anche un gesto altruistico.
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