Al centro c’è il nozionismo, per giunta scorretto. Ai lati ci sono gli insegnanti, bocciati oggi e in classe domani perché servono. Nove candidati su dieci non hanno superato la prova scritta del concorso.
Concorso: un buco nell’acqua
Il recente concorso scuola si è rivelato un flop: in migliaia non hanno superato la prova scritta a crocette, si stima che su dieci candidati nove non siano passati all’orale. Gli aspiranti docenti – che poi tanto aspiranti non sono, visto che lavorano a pieno ritmo a scuola da anni – avevano a disposizione cento minuti per compilare cinquanta quesiti a crocette, molti dei quali sono stati segnalati essere non solo insensati ma addirittura scorretti.
Un esempio è una domanda sull’articolo 34 della Costituzione. Si chiedeva che cosa riconoscesse e tra le risposte multiple, quella considerata corretta era la “libertà d’insegnamento”. Peccato che questa sia contenuta nell’articolo 33. Diventa naturale chiedersi chi abbia preparato i quesiti e con che criterio, come insegnano a scuola una ricontrollata veloce nei libri di testo non sarebbe stata male.
Al centro del concorso sembra, quindi, esserci stato il nozionismo puro, e persino sbagliato. Ma sono davvero solo concetti, date e figure retoriche a fare della persona un insegnante? Non sembrano esserci state domande sulla didattica, niente che potesse davvero servire ai docenti, solo trabocchetti con lo scopo di far inciampare i candidati. Uno sgambetto al contrario: i professori sono stati messi fuori gioco dal Ministero.
Controsenso in aula
I migliaia di docenti che non hanno superato la prima prova del concorso, pur non venendo considerati sufficientemente idonei dal Ministero per poter avere una cattedra, la mattina dopo sono tornati a scuola perché – è risaputo – gli insegnanti in aula servono. Registro elettronico firmato e pennarello della LIM in mano, hanno ripreso le loro lezioni dall’esatto punto in cui le avevano interrotte con l’amara consapevolezza di non essere reputati competenti da chi dà loro uno stipendio.
Nessuno di loro è stato valutato per la propria competenza o attitudine all’insegnamento, nessuno ha ricevuto domande che potevano testare la flessibilità, le competenze trasversali o la didattica. Puro e semplice nozionismo, quello che in classe si cerca di superare per puntare a una scuola che sia un luogo formativo della persona e non una fabbrica di soldatini in grado di ripetere a memoria definizioni e date. A quei docenti a cui viene chiesto di abbandonare l’idea che gli studenti siano dei vasi da riempire viene anche detto loro che no, la loro formazione non basta, sono più vuoti dei loro alunni.
Cambiare paradigma
Cos’è la scuola? Un edificio con grandi finestre e banchi sbeccati, direbbe qualcuno. Un’istituzione su cui si fonda il futuro di un Paese, direbbe qualcun altro. Una trasmissione di saperi, azzarderebbe il prossimo. La scuola è chi la vive. La scuola sono gli insegnanti e gli alunni che la abitano, animandola, trasformandola.
In passato il paradigma che veniva adottato metteva il sapere al centro, la conoscenza era il fine ultimo e tutto il resto un accessorio. Oggi la pedagogia ha fatto passi avanti, mostrando come la relazione docente-studente non sia una pura trasmissione di nozioni e dati ed evidenziandone, invece, la biunivocità. Io ti do, tu mi dai. Nella scuola di oggi l’altro viene visto come un valore, o almeno dovrebbe.
In Italia, si sa, la teoria non va mai di pari passo con la pratica. Sulla carta la ricerca è progredita, ma la scuola sembra sempre quella della “maestrina con la penna rossa”. Diventa necessario, quindi, cambiare paradigma. Abbandonare la concezione di scuola che abbiamo ereditato dai secoli precedenti a favore di una in cui l’apprendimento sia finalizzato alla realizzazione della persona in quanto tale, e non all’inserimento nel mondo del lavoro.
Diventare insegnanti oggi
La considerazione che lo Stato ha degli insegnanti si vede dal percorso che ha previsto per chi vuole intraprendere questa professione. Il cosiddetto PF24 prevede il conseguimento di 24 crediti universitari in quattro ambiti diversi: psicologia, bioetica, pedagogia e didattica. Sei crediti qua e sei crediti là. Ma davvero basta un esamino di pedagogia per diventare docente? Conoscere la propria disciplina – qualsiasi essa sia – non basta per svolgere al meglio il proprio lavoro che non è sicuramente uno facile. Bisogna anche sapere come approcciarsi alla classe, alle differenze interculturali, alle diverse realtà sociali che abitano le aule, ai disturbi dell’apprendimento sempre più in crescita.
In Svezia – uno dei Paesi in cima alle classifiche europee per l’istruzione – per poter insegnare è previsto un apposito corso di laurea. Stiamo parlando di anni in cui lo studio viene combinato all’esperienza pratica a scuola, contro i quattro esamini richiesti in Italia. La differenza è lampante e riflette anche la diversa concezione che i due Paesi hanno della figura dei professori.
Se per diventare docenti bastano 24 crediti vuol dire che gli insegnanti sono ancora considerati come dei semplici tramite tra le nozioni e gli studenti. In quest’ottica, è ovvio che il concorso testi esclusivamente concetti e definizioni. Ma davvero una figura retorica è più importante del saper gestire la classe? Davvero una data di storia vale più del tempo passato a predisporre lezioni interessanti e interattive?
Diventare insegnanti oggi è relativamente semplice: basta essere in regola con il piano di studi e prendere i 24 cfu di abilitazione all’insegnamento. Basta imparare a sopravvivere in classe. Ma per diventare di ruolo bisogna superare un concorso fatto di domande inesatte e inutili.