La guerra in Ucraina destabilizzerà (ulteriormente) la MENA?

In un mondo e in un sistema economico completamente globalizzato, si sa, l’effetto farfalla è dietro l’angolo. Una crisi in una parte del globo può facilmente scatenarne una apparentemente estranea da tutt’altra parte. A maggior ragione, un conflitto come quello russo-ucraino sta avendo effetti devastanti su alcune aree del pianeta, e i risultati a lungo termine sono ancora tutti da scoprire per l’area della MENA.

La “MENA”

La MENA (“Middle East-North Africa“, come indicata da diversi studiosi) è da tempo immemore una delle aree più instabili al mondo. I conflitti tra nazioni, quelli intestini tra diverse fazioni, la malnutrizione e la povertà quasi assoluta di alcune sue zone ne hanno fatto sempre la protagonista, suo malgrado, dei titoli di cronaca internazionale. La presa in esame di un’area tanto vasta e variegata (abbastanza da includere Paesi tanto diversi tra loro come Emirati Arabi Uniti e Libano, Yemen e Arabia Saudita) è giustificata dal fatto che, spesso, questi Paesi tendono ad avere alcune caratteristiche in comune. Per citare solo l’esempio meno felice: gli effetti del surriscaldamento globale, secondo le stime degli esperti, si faranno sempre più sentire con maggiore anticipo e violenza proprio nella MENA, prima di interessare il resto del globo.

Oltre a una serie di motivazioni ambientali e strutturali ben complesse, esistono indubbiamente dei fattori storici che hanno portato, negli anni, a una sempre maggiore instabilità nell’area. Esempio emblematico è lo Stato d’Israele: la sua nascita nel 1948 (oltre a una lunga e mai terminata serie di vicende a essa connesse) creò forti tensioni sia con la popolazione araba palestinese che abitava quei territori, sia i rapporti con la maggior parte dei Paesi confinanti, anch’essi di religione e cultura musulmana.

Non c’è però solo Israele, del resto. Impossibile dimenticare gli sconvolgimenti che gli interessi delle maggiori potenze hanno causato in Nord Africa, tra la Libia e lo Yemen. In generale, quest’area non sembra mai aver ottenuto una decolonizzazione compiuta, ma appare come ancora soggetta a lotte di potere internazionali e ingerenze estere che, a prescindere dalle prese di posizione politiche, hanno creato per lo più ulteriori disordini.

Crisi economico-alimentare

Come accennato, oggi a infierire su quest’area si è aggiunta la guerra in Ucraina. Non se ne parla molto, ma mentre l’Occidente si preoccupa per la possibile fine dei rifornimenti di gas dalla Russia, altri Paesi stanno subendo contraccolpi economici ben più immediati, e ben più pesanti. Non va dimenticato anzitutto che l’Ucraina, prima dell’invasione, disponeva di oltre trentadue milioni di ettari di terreno sistematicamente coltivato: un’area più grande dell’Italia. Questi numeri immensi hanno fatto del Paese il quinto esportatore al mondo di grano (circa il 9% del grano globale, più di Asia e Oceania insieme), il terzo di mais e il primo di olio di semi. Il 95% di queste esportazioni passava per il Mar Nero, le cui coste ucraine sono però quasi completamente occupate da truppe russe. Metà di questo grano aveva una direzione ben precisa: il Nordafrica.

Si aggiunga un ulteriore dato: il primo esportatore al mondo di grano è proprio la Russia di Putin. Nel 2020 circa un quinto del grano esportato globalmente proveniva da qui. Oggi però le cose sono ben diverse, perché la Russia è sotto sanzioni. Il risultato è che aree come lo Yemen, la Siria o il Libano (il quale, dopo l’esplosione del porto di Beirut lo scorso anno, ha perso tre quarti delle sue riserve alimentari e ha visto il prezzo del pane quadruplicare), Paesi già scossi da crisi umanitarie da diversi anni e dove il 90% del cibo viene importato (dato UNICEF), vedono la crisi alimentare aggravarsi.

Nel solo 2021 il paniere alimentare aveva visto il suo prezzo raddoppiare complessivamente, e le conseguenze della guerra non potranno che aggravare ulteriormente una situazione già critica. Secondo ActionAid, attualmente almeno venti milioni di persone stanno subendo i contraccolpi della crisi alimentare, e i numeri non sembrano destinati ad abbassarsi.

Crisi geopolitica

A pesare sulla MENA non è, però, solo il contraccolpo economico. Non bisogna dimenticare che il Nord Africa è da tempo al centro degli interessi di diversi Paesi europei sia per le sue risorse sia per motivazioni strategiche, come il rischio di un’ulteriore crisi migratoria che già negli ultimi anni ha creato difficoltà in tutta l’UE.

Uno degli “osservati speciali” è senza dubbio la Turchia: il Paese governato da Erdogan sta tentando da diversi anni di avvicinarsi all’Occidente, anche per riuscire a entrare nell’Unione Europea. La candidatura ha destato però diverse reazioni negative nel Vecchio Continente, dove molti osservatori contestano la possibilità dell’ammissione di uno Stato al centro di indagini per violazioni dei diritti umani e civili.

La posizione della Turchia sulla guerra è, del resto, piuttosto ambigua: si propone da tempo come mediatore (il primo incontro diplomatico di alto livello tra Kuleba e Lavrov, Ministri degli Esteri ucraino e russo, si è tenuto proprio in Turchia), e non può sbilanciarsi più di tanto per mantenere i suoi interessi. Se infatti si tenta di dare un volto “europeo” al governo di Ankara, questo è anche sempre stato storicamente vicino alla Russia per convenienza, vista la vicinanza geografica e la convergenza degli interessi. Basti ricordare che la Turchia ha il controllo sugli stretti del Bosforo e dei Dardanelli (secondo la Convenzione di Montreux del 1936): due sbocchi cruciali per la Russia, dal punto di vista economico ma anche strategico-militare.

Nuove alleanze

Un altro Paese dalla posizione fin qui più ambigua che equidistante è stato Israele. Il governo di Gerusalemme, storicamente vicino agli interessi degli Stati Uniti (che hanno spesso avuto il ruolo di “protettori” di Israele in un clima da tempo ostile), si è recentemente avvicinato a Putin, il cui sostegno militare e diplomatico consente a Israele di proseguire indisturbato i raid aerei in Yemen, Paese prigioniero di una guerra senza fine e la cui popolazione sopravvive solo grazie alle importazioni alimentari figlie del supporto internazionale, ora per lo più a rischio a causa della crisi sopra citata.

Si inserisce tra i Paesi interessati anche la Libia, dove le promesse elezioni non si sono ancora tenute dopo diversi mesi. Putin sostiene la fazione del generale Haftar, ma potrebbe richiamare le forze russe all’estero per sostenere l’invasone dell’Ucraina, con conseguenze imprevedibili per i delicati equilibri del Paese. Ecco che lo “zar” acquista anche ulteriore potere contrattuale con l’UE: se la situazione in Libia dovesse degenerare, alle porte d’Europa si vivrebbe una nuova crisi umanitaria legata all’immigrazione.

Quale ruolo per i Paesi OPEC?

Tra i Paesi più interessati alla situazione spiccano quelli del Golfo. Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita sono storicamente Paesi che hanno fondato la propria sicurezza sull’alleanza con gli USA, ma negli ultimi anni, con la revisione da parte di Washington del suo impegno militare all’estero (emblematico l’Afghanistan), hanno iniziato a guardarsi attorno.

L’Arabia Saudita in particolare ha stretto una debole alleanza militare con Mosca, con la quale guida anche l’OPEC (l’organo internazionale che racchiude i Paesi produttori di petrolio). Anche gli EAU hanno mantenuto una posizione prudente, senza mai schierarsi contro l’invasione né aderire alle sanzioni imposte a Mosca. Per i due Paesi la crisi ucraina può rappresentare una grande opportunità: il loro ruolo strategico nell’area e il controllo di una risorsa sempre più vitale come il petrolio potrebbe spingere l’Occidente a rivedere la loro posizione sullo scacchiere internazionale, anche a costo di “dimenticare” di criticità come quella legata al caso-Khashoggi (che può essere approfondito qui.) Oppure spingere questi Paesi a sostituire l’America con nuovi, più convenienti partner, come Russia, Cina o India (che da tempo li “corteggiano”).

Intese

Impossibile poi non citare la delicata situazione dell’Iran. Il governo di Teheran, da tempo immemore isolato a livello internazionale, ha trovato nella Russia il suo unico mediatore con l’UE sul delicato tema del suo programma nucleare. I rapporti tra Mosca e Teheran sono piuttosto tiepidi, ma il possibile allentamento delle sanzioni russe potrebbe portare a una vera e propria boccata d’ossigeno per un Paese che da oltre vent’anni si trova sommerso dalle sanzioni internazionali.

Bashar al-Assad, Presidente della Repubblica Araba di Siria dal 2000

Più nelle retrovie, ma non per questo trascurabile, sta la Siria. Il regime di Assad deve la sua stessa sopravvivenza al supporto militare di Mosca, che nel 2015 ha consentito di schiacciare l’opposizione interna al Paese e i rivoltosi jihadisti. Non è certo un caso che Assad oggi sia tra i pochi capi di Stato internazionali a sostenere pubblicamente l’intervento russo. Un altro dato da non sottovalutare: in Siria, circa dodici milioni di persone mangiano grazie al grano russo. Anche su quest’area, Putin può certamente dire la sua.

Un futuro tutto da scrivere

Crisi alimentari. Interessi economici. Esportazioni energetiche. Conflitti geopolitici che si credeva spenti, ma a ben vedere solo assopiti. Il variegato insieme della MENA, a ben vedere, ha una caratteristica fondamentale che accomuna tutti i Paesi: l’instabilità generale. Questa instabilità non riguarda solo la compassione cristiana dell’Occidente, ma anche una moltitudine di interessi internazionali che si intersecano in un groviglio di difficilissima interpretazione, anche per i più esperti. E la guerra tra Russia e Ucraina, come visto, va inevitabilmente a influenzare una miriade di questi fili, rendendo il quadro generale ancor più difficile da interpretare, e soprattutto da prevedere.

Nessuno è in grado di dire con certezza come e in che misura il conflitto in corso influenzerà le società dell’area. Una cosa però è certa: per le popolazioni che la abitano, già stremate da decenni (o secoli) di conflitti e crisi, il futuro sembra tutt’altro che radioso.

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