Interpreti differenti, nuove storie, nuovi casi da risolvere; tre stagioni diverse, scollegate fra loro; una seconda più deludente, una terza in grande ripresa. Il reale successo di True Detective trova infatti radici nelle sue prime otto puntate, andate in onda su HBO nei primi mesi del 2014. Una prima stagione che ha stregato pubblico e critica, che ha saputo ammaliare attraverso una poetica criminale unica, mescolando noir, thriller e filosofia, arrivando finanche a toccare corde nascoste dell’animo umano. Una prima stagione intricata, dai fitti risvolti polizieschi. Un’eterna battaglia fra luce e oscurità, là dove il confine tra bene e male si assottiglia fino a scomparire.
L’orrore umano
Ideata, prodotta e sceneggiata da Nic Pizzolato, la prima stagione di True detective deve la sua ottima regia a Cary Joji Fukunaga e racconta una storia triste, di orrore, di violenza e morte. Sviluppati su tre piani temporali differenti, gli otto episodi narrano le vicende di due detective della Louisiana, Marty Hard e Rust Cohle, incaricati nel 1995 di investigare su quello che, solo in apparenza, è un macabro omicidio isolato. Una donna morta, legata e inginocchiata davanti a un albero; segni sulla schiena, delle corna posate sul suo capo come una corona. Solo il primo tassello di una lunga serie di cadaveri e terrificanti scoperte; una strada tortuosa pronta a svelare le perversioni occulte di uomini indegni.
Quella ideata da Pizzolato è una gestione degli eventi calibrata al millimetro, uno dei numerosi punti di forza della narrazione. La storia si apre nel 2012, punto di partenza e d’arrivo del racconto. Le domande di due poliziotti della Louisiana agli ormai ex detective Marty e Rust consentono un intrigante riavvolgimento del tempo, fino al 1995, e un continuo alternarsi dei piani temporali conduce lo spettatore in un’immersione misurata attraverso il flusso degli eventi. La curiosità cresce, gli indizi vengono seminati con cura e dovizia, il quadro acquista ogni minuto un piccolo decisivo tassello. La storia criminale si mescola alla vita privata di Marty e Rust, in un coinvolgente e inarrestabile turbinio di emozioni. Otto episodi, quasi otto ore di show, da gustare nei suoi minimo particolari senza poter distogliere lo sguardo dallo schermo.
Un percorso a tinte filosofiche
Un mirabile intreccio, un continuo susseguirsi di colpi di scena. La componente crime della prima stagione di True Detective non è tuttavia la sola grande attrazione dello show targato HBO. A pervadere ogni singola puntata sono le riflessioni filosofiche spesso affidate al personaggio di Rust, al suo pessimismo, alla sua visione della vita forgiata da un mondo che pare destinato allo sfascio. La storia dei detective, il loro investigare diviene presto percorso intimo. Un percorso che permette ai due di scavare all’interno di se stessi, di scoprirsi sotto una nuova luce. L’espediente del flashback e della gestione temporale anticronologica rappresentano una lente di ingrandimento sulle scelte di Marty e Rust, sulla loro etica e moralità, sulle loro convinzioni, sulle promesse tradite, le difficoltà, gli ostacoli che li hanno segnati nel corso di diciassette lunghi anni. Ad attenderli, alla fine del tunnel, una nuova versione di loro stessi, non migliore o peggiore, solo più consapevole e pronta, forse, a lasciarsi il passato alle spalle.
E io credo che la cosa più onorevole per la nostra specie sia rifiutare la programmazione, smetterla di riprodurci, procedere mano nella mano verso l’estinzione…un’ultima mezzanotte in cui fratelli e sorelle rinunciano ad un trattamento iniquo.
Woody e Matthew
Un’idea geniale, un ottimo impianto tecnico, una sigla iniziale da brividi. Eppure difficile pensare al successo di True Detective senza nominare i suoi due incantevoli interpreti. La coppia Marty e Rust trova infatti la sua consacrazione in un casting hollywoodiano, che affida le sorti dello show ai volti di Woody Harrelson e Matthew McConaughey. Difficile determinare chi, in questa straordinario gara di bravura, abbia prevalso. Se il buon vecchio Woody, perfetto in ogni suo ruolo e qui meraviglioso nelle vesti del detective esperto, con i piedi per terra, ma anche padre di famiglia dalla vacillante moralità. Oppure Matthew, lucido nel suo stato di perdizione, dall’arroganza spigolosa, famelico nel suo desiderio di giustizia ma forsennatamente tormentato.
I due donano lustro ad ogni singola inquadratura, e la loro costante evoluzione accresce a dismisura la dimensione magnetica di un prodotto che, almeno nel suo genere, ha avuto e avrà davvero pochi eguali nel tempo.
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